di Jean Claude Mbede Fouda
Egregio Presidente,
due settimane fa, quando le indiscrezioni hanno confermato la Sua visita di Stato nel paese che mi ha visto nascere più di trent’anni fa, la notizia ha invaso il web scatenando una valanga di consensi e commenti favorevoli. Nonostante in questo momento la popolazione africana nutra un sentimento xenofobo nei confronti di un Occidente considerato responsabile della povertà e del sostegno ai regimi a tempo indeterminato fintamente democratici.
Tale reazione è stata l’espressione di un sentimento paradossalmente positivo nei confronti dell’Italia. Sì, l’Italia è una di noi, pensa la gioventù del Camerun. Non a caso: l’ha da sempre considerata un gran paese amico, solidale, grazie a una politica di assoluta neutralità rispetto alle vicende che nel corso degli anni hanno messo a disagio vari aspetti della dinamica sociopolitica del paese. L’Italia dunque è un gran paese, ai nostri occhi, a partire dalle tante opere di natura sociale e culturale a favore dei camerunesi.
Del resto ogni agosto un contingente di 400 giovani del Camerun (che hanno già una conoscenza dell’italiano di livello B2) vengono immatricolati negli atenei italiani. Questo dato fa del Camerun il più grande contingente studentesco straniero in Italia dopo l’Albania. Se ne evince che la comunità camerunese in Italia è essenzialmente sinonimo di un’immigrazione regolare di soggetti con competenze di alto livello.
Tale consapevolezza guidò, nel 2008, la mia “scelta” per l’Italia. Fui costretto a lasciare paese, lavoro e famiglia dopo che tanti esponenti del governo, della finanza e di alcune potenze straniere (che impoveriscono culturalmente e materialmente il Camerun) avevano deciso di attentare alla mia vita. Oggi sono contento di essere diventato un cittadino “pieno”, capace di promuovere gli scambi tra i due paesi passando da “semplice” esiliato a, per l’appunto, cittadino.
Destino incrociato, il Presidente della Repubblica italiana sabato 19 marzo ha visitato la ong COE (Centro orientamento educativo), dove ho segnato i primi passi nella cooperazione tra Italia e Camerun. E’ proprio lì che ho sono entrato per la prima volta in contatto con le prime tre parole italiane.
Signor Presidente, com’è logico che sia, la mia emozione è stata forte: la sede del COE a Mblamayo si trova a due miglia della casa della mia infanzia. Il COE si trova nel cuore della città che mi vide nascere e crescere, in mezzo ai missionari cattolici italiani, sacerdoti e suore, da cui ho imparato i concetti e i valori della onestà e della tolleranza. Tali valori, un’infinita ricchezza umana, possono però diventare purtroppo un “pericolo” in seno a regimi dittatoriali ed intolleranti, dove l’onestà è odiata e il malaffare osannato.
A Mbalmayo Lei si è trovato in una città rovinata ed abbandonata la cui storia si scrisse nel sangue dei martiri che combatterono il colonialismo fino ad essere definita dagli scrittori occidentali come “Ville Cruelle”. Ma questa città cosmopolita dove convivono in maniera pacifica tutte le 250 etnie del Camerun in un clima di tolleranza, fratellanza e rispetto, di sicuro sono state oggetto di qualche cura di circostanza in Suo onore. La popolazione non ha mai ricevuto una visita del presidente del Camerun in 34 anni del suo regno (la attraversa in auto ad alta velocità settimanalmente per recarsi nel suo paesino senza mai fermarsi) e ha quindi un bel motivo per ringraziarLa. Perché Lei è stato il primo capo di Stato in assoluto ad onorare questa città, situata a soli 50 chilometri da Yaoundé.
Per questo motivo si è ritrovato in mezzo ad una folla eteroclita, numerosa, commossa, entusiasta. Tra di loro c’erano anche mia madre e i miei familiari, ma non mia sorella Theresa, ex studentessa del collegio Nina Gianetti, mancata lo scorso 7 gennaio senza che le potessi dare di persona l’ultimo addio. Solo grazie ad amici che mi trasmettevano immagini dei funerali su Whatsapp ho potuto vivere gli ultimi momenti commoventi “con” mia sorella.
Il grande entusiasmo nei Suoi confronti che ha trovato sia a Yaoundé che a Mbalmayo è stato un modo per ringraziare l’Italia, paese che non ha mai fatto del male in Camerun. E’ anche un gesto di riconoscimento del successo del nuovo approccio della rappresentanza diplomtico-consolare italiana nel paese, in particolar modo dell’Ambasciatrice Samuela Isopi, la quale ha saputo avvicinarsi alle popolazioni viaggiando instancabilmente e cercando di capire di persona le problematiche della vita dei cittadini. Agli occhi dei giovani futuri leader del Camerun, l’Ambasciata d’Italia è la migliore rappresentazione diplomatica del paese. Un lavoro iniziato tanti anni fa dalla Comunità di San’Egidio che ebbe laggiù personalità efficace e consensuale come il viceministro Mario Giro.
Signor Presidente, Lei è arrivato in Camerun in un momento di forte tensione sociale. Per questo è stata un’occasione di sigillare l’alleanza con i cittadini del Camerun. Non ho dubbi nella Sua capacità di saper cogliere la grande occasione storica per fare dell’Italia il partner e alleato di cui sognano i camerunensi, stufi dei diktat e dell’arroganza della Francia. Spero che la sua visita sia stata un’occasione di rilancio o di incremento dei rapporti sani e proficui per i due Paesi, non un’occasione persa. Il Camerun chiama l’Italia, il Camerun è una giovane signora africana, intelligente e con una bellezza selvaggia e naturale, con tante qualità da far emergere. Una bellezza innamorata dell’Italia. Saprà il Bel Paese valorizzare questa bellezza e convincere questa ragazza abusata mentre credeva nell’amore?
Le espongo due fatti di cronaca che si sono verificati in Camerun e che in Italia avrebbero messo a rischio qualsiasi governo di qualsiasi schieramento politico.
Sabato 12 marzo, a pochi giorni dal Suo arrivo, appena celebrata la festa della donna, una giovane Donna, già madre di tre bambini, è deceduta nella corte dell’ospedale Laquintinie, il più importante di Douala. Il motivo? Monique Kamoute, 31 anni, non ha potuto pagare anticipatamente i 20.000 FCFA (circa 30 euro) necessari per la prima visita. Ha capito Presidente? In Camerun, bisogna pagare soldi ai medici e al personale sanitario, altrimenti si muore. E non è la prima volta. Monique ha perso la vita insieme ai due bambini nel suo grembo. Tre vite per le quali la gioventù camerunese sta chiedendo dei conti al governo che, come al solito non risponde. Molto spesso, ogni velleità di manifestazione viene repressa a colpi d’armi da fuoco dall’esercito e dalle milizie del governo. Vincent Sosthene Fouda, ospite di una tv di Yaoundé, è stato arrestato dalle forze dell’ordine che hanno interrotto una trasmissione durante la quale l’uomo politico chiedeva ai vertici di governo di fare un passo indietro per gli scandali della sanità. Una Sua parola per queste tre vite perse avrebbe potuto asciugare le lacrime di un popolo stanco, massacrato dal proprio governo. Una parola per Monique e le sue gemelle sarebbero state un’ulteriore conferma di quella della sensibilità dell’Italia rispetto alla vita della persona.
Signor Presidente, a causa di un calendario diplomatico definito tanto tempo prima, Lei ha visitato il Camerun in un momento di grandissima tensione politica: ministri, amministratori di aziende statali e altri funzionari zelanti che approfittano della durata del regime, hanno chiesto al presidente Paul Biya, 83 anni, al potere da 34 anni, il cui mandato dovrebbe arrivare al termine nel 2018 (dal 1962 non è mai uscito dal governo dove è stato ministro e premier) di organizzare delle elezioni anticipate e di ricandidarsi. Dopo 54 anni di pieno servizio in cima al governo, come può il presidente camerunese rimanere ancora al potere e pretendere un altro mandato di sette anni? La questione non è banale. Secondo i ben informati, il governo si sta preparando per la settima modifica della costituzione. Se Paul Biya venisse eletto tramite consultazioni illecite e lo scenario di una elezione anticipata divenisse realtà, finirebbe il suo mandato a 90 anni, di cui 60 al potere. Nella nomenclatura camerunese i vari appelli dell’elite sono considerati una indicazione dello stesso presidente. Questa ennesima modifica della costituzione programmata subito dopo la sua visita, come tante altre, non è stata fatta con il coinvolgimento della società civile e dei partiti politici.
Nel 2008, per far passare con la modifica della costituzione che eliminava la limitazione dei due mandati il presidente usò la forza dell’esercito, uccidendo circa 300 giovani manifestanti pacifici in varie manifestazioni. La stampa francese, beneficiaria del budget governativo per la pubblicità, le presentò come manifestazioni per il pane. Perché in Camerun il presidente è il proprietario dell’agenda politica: nessuno conosce mai la data delle elezioni fino ad un mese prima, quando viene convocato, a sorpresa, il corpo elettorale.
Non potrei terminare la mia lettera, carissimo Presidente, senza ricordare che questa volontà di non cedere ne condividere la gestione della Città, viene “inquadrata” da varie intimidazioni nei confronti della stampa. Un anno fa, per preparare il terreno alla repressione giuridica e militare dei contestatori, il governo ha fatto approvare dalla sua maggioranza (in parlamento solo 40 deputati su 180 non sono membri della maggioranza, ma alleati del presente) una legge contro il terrorismo. In questo momento, quattro giornalisti vengono processati e rischiano l’ergastolo davanti alla corte militare per non aver divulgato le loro fonti giornalistiche sulla guerra contro la setta di Boko Haram.
Con la coincidenza che questa ennesima forzatura avverrà subito dopo la sua storica visita, si teme che il governo del Camerun la spacci come sostegno diretto dell’Italia alla politica interna e a questo hold up. Per questo motivo, la gioventù, la società civile e la classe politica del Camerun hanno monitorato ogni parola da Lei pronunciata durante questo viaggio. Come può capire, la prima visita di stato di un capo di stato italiano in un paese così giovane, sensibile e con tanta voglia di un cambiamento non può essere compito facile, e niente può essere dato per scontato. E’ una visita, la Sua, che rimarrà nella storia. Nel bene o nel male.
Spero che abbia passato del buon tempo nella terra dei miei antenati.
Con rispetto,
Jean Claude Mbede Fouda
Giornalista professionista e rifugiato politico
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