Kannouta, del perché saliamo sulle barche

Un docu-fiction di 40 minuti sul perché si fugge illegalmente dalla Tunisia. Kannouta, un film di Zied Ben Taleb e Margarete Twenhoeven, prende in considerazione le vere motivazioni che spingono i giovani tunisini a imbarcarsi, rischiando consapevolmente le proprie vite, pur di lasciare il paese nordafricano e raggiungere l’Europa.

Il lavoro si basa sulle interviste a undici persone di età diverse. Ciascun protagonista racconta la propria storia e il perché ha deciso di imbarcarsi. Ci sono i giovani che sognano di lasciare, altri che non hanno scelta. Ma gli autori ci fanno conoscere anche persone che hanno cercato di andarsene senza riuscire a raggiungere l’Italia e persone che ce l’hanno fatta ma alla fine sono tornate. Non solo, c’è anche un papà che ha perso il figlio in mare e un trafficante.

A intersecare le interviste e il crescendo di tensione dei racconti personali, c’è la storia di finzione di un ragazzo tunisino, della sua quotidianità violata dalla disperazione che ben presto lo costringerà a organizzarsi per lasciare tutto e tutti in direzione ignota, nonostante ciò possa comportare il rischio di perdere la vita.

Dietro Kannouta (una parola che in Tunisia si usa per dire barca) ci sono Zied Ben Taleb, regista tunisino e attivista, spinto a raccontare le migrazioni dei tunisini dopo essere stato lui stesso testimone di tante storie di fuga attraverso il mare, e Margarete Luetke Twenhoeven, attivista coinvolta nelle battaglie per la libertà di movimento e in Tunisia da molti anni.

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“Qui in Tunisia – spiegano gli autori – ci troviamo di fronte a migrazioni ‘illegali’ tutti i giorni. Le parole haraga (chi brucia le frontiere, ndr) e Labedusa sono sempre nelle nostre orecchie e nelle menti. A lasciare sono i nostri amici; a perdere la vita sono i figli dei nostri vicini. Ma perché? Perché?”

Il film prova a rispondere a questa domanda. Che va ben oltre la libertà di movimento. “E’ un bel concetto, e abbiamo sicuramente bisogno di lottare per esso, ma per la maggior parte delle persone che lasciano non si tratta solo di essere in grado di viaggiare con la stessa facilità degli altri”.

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C’è di più, e per comprenderlo è necessario capire in profondità il percorso sociale e psicologico di chi rischia la vita per fuggire. “Vogliamo lasciare che queste persone spieghino le loro ragioni, le loro vite e le loro speranze. E la loro visione del mondo, e di come il sistema li abbia resi”.

E così nel film si percepiscono, ad esempio, i sentimenti di un adolescente che si vergogna di tornare a casa e guardare negli occhi la madre perché non ha trovato i soldi per comprare il latte. O quelli di chi decide di unirsi a Daesh, l’Isis, per racimolare il denaro necessario per sopravvivere. O quelli di un papà che paga i soldi del viaggio in barca del figlio, pur consapevole di rischiare di non vederlo mai più.

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Il film è stato elaborato in nove mesi, attraverso un lavoro di ricerca che ha portato gli autori a viaggiare in diverse città tunisine e a soffermarsi in quei quartieri dove un numero elevato di adolescenti ha deciso di partire. “Quando abbiamo iniziato il progetto, volevamo fare la parte di quelli obiettivi, osservando gli argomenti da punti di vista differenti, lasciando a psicologi e diretti interessati il compito di spiegare il fenomeno. Ma andando avanti ci siamo resi conto che le loro teorie sono spesso frutto di luoghi comuni e concetti largamente noti. Parole come disoccupazione, regime di frontiera, povertà e corruzione sono in fin dei conti termini teorici che non possono esprimere  speranze, sofferenze, paure e vincoli delle persone. Così abbiamo deciso di concentrarci sulle testimonianze di coloro che hanno sperimentato questa realtà”.

Il film è attualmente in post-produzione. Su gotgetfunding.com è possibile sostenere il progetto.


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