Dietro ai titoli di giornale e alla brutalità della guerra civile siriana, esistono meravigliosi esempi di autogestione, la cui storia è ampiamente sconosciuta in gran parte dell’Occidente. Ed è questa autogestione, non gli aiuti sauditi o turchi, che ha permesso alla rivolta di auto-sostenersi in questi lunghi e brutali sei anni di repressione e guerra.
di Mark Boothroyd – The Project
Le prime forme di autogestione nella rivoluzione siriana sono state le tanseeqiyat, dei comitati di coordinamento formati da gruppi di amici ed attivisti di vari quartieri e villaggi che radunavano le loro comunità preparandole alle proteste e alle dimostrazioni. Con l’avanzare della rivoluzione, le tanseeqiyat furono superati dai Comitati di coordinamento locale (CCL), dal carattere decisamente più politico. Erano dei comitati composti da attivisti – eletti o nominati – da diverse aree del paese. Erano contro ogni settarismo, opposti all’intervento straniero, dediti ad una rivolta non violenta contro la dittatura, e volevano la formazione di uno stato civile democratico. Organizzavano manifestazioni, diffondevano filmati e report sulla rivoluzione, si occupavano del coordinamento durante le giornate di protesta e, con l’aumento della repressione, fornivano aiuto umanitario ai quartieri in rivolta. Il loro obiettivo era spingere le proteste verso un abbattimento non violento del regime.
Con la crescente militarizzazione del conflitto, i CCL iniziarono ad occuparsi sempre meno dell’organizzazione delle proteste, fornendo sempre più aiuto umanitario alle comunità attaccate dal regime. Gli attivisti organizzavano la distribuzione del cibo e delle medicine alle periferie assediate dal regime, supportavano i detenuti nelle prigioni governative e si impegnavano a rendere pubblici gli abusi del regime e di alcune fazioni ribelli sempre più inaffidabili.
La mancanza di solidarietà verso questi organi popolari e democratici ha ostacolato in modo cospicuo il loro lavoro; con pochissime risorse e fondi, e con una rivoluzione sempre più militarizzata, iniziarono a perdere supporto e subirono diverse divisioni e defezioni verso organizzazioni che invece avevano come obiettivo la lotta armata, come ad esempio la Commissione Generale sulla Rivoluzione Siriana, o le milizie ribelli meglio finanziate che avrebbero potuto provvedere maggiore aiuto e protezione alle comunità sotto assalto. Di tutti gli organismi di opposizione in Siria, i CCL ricevevano i minori finanziamenti perché fedeli all’ideale della non violenza, perché si rifiutavano di sostenere gruppi armati e perché non avevano alcuna affiliazione religiosa.
La brutale violenza settaria del regime fece affondare la voce dell’opposizione non violenta. Il governo imprigionò e torturò decine di migliaia di manifestanti pacifici, e l’esercitò siriano portò avanti delle campagne di stupri nei quartieri ribelli che ebbero come risultato migliaia di donne e ragazze arrestate e soggette ad abusi terribili. Poi iniziarono a essere sganciati i barili bomba – in modo indiscriminato – sulle città liberate. Dopo tutte queste atrocità sempre più persone preferirono imbracciare i fucili piuttosto che scendere in strada a dimostrare e a urlare il proprio desiderio di rimuovere il regime.
Questo permise al regime di aumentare la violenza della sua repressione, e fu così che il conflitto si fece più intenso. E questa è sempre stata l’intenzione del regime; i suoi abusi sui dimostranti pacifici avevano esattamente l’obiettivo di provocare queste reazioni. Era questa la logica brutale dietro alla prassi di restituire ai cari i corpi dei detenuti morti sotto tortura. La maggior parte delle dittature fanno scomparire le proprie vittime, per loro è meglio evitare di far innervosire la popolazione. Ma il regime di Assad ha fatto l’opposto, consegnando cadaveri mutilati e sfigurati alle famiglie, in modo che le loro atrocità fossero ancora più visibili. Tutto ciò era mirato a far infuriare il popolo e a spingerlo verso la rivolta armata.
Ma molti attivisti rimasero fedeli al principio di non violenza e alla lotta per uno stato civile democratico. Il Movimento non-violento siriano ha continuato a coordinare proteste pacifiche, festival e altre tipologie di attivismo non violento in tutto il paese, sebbene in aree protette da gruppi armati ribelli. Le proteste erano rivolte principalmente contro il regime, ma le manifestazioni sfidavano spesso il crescente settarismo e denunciavano gli abusi dei gruppi armati. Il collettivo di attivisti siriani Dawlaty produsse un pamphlet (“Il Movimento non-violento siriano, Prospettive dal campo“) documentando l’esperienza del MNVS. Il Violations Documentation Centre e il Syrian Network for Human Rights hanno raccolto e dati sugli abusi da parte del regime siriano e di tutti gli altri gruppi armati attivi nel conflitto. La responsabile del VDC Razan Zaitouneh – operativa da Ghouta, nei sobborghi liberati della Damasco orientale – fu rapita insieme a tre suoi stretti collaboratori nel dicembre 2013. Si ritiene che la potente fazione ribelle che controlla la zona, Jaysh al-Islam, sia responsabile.
Ma nonostante questi abusi, le organizzazioni della società civile hanno resistito e, nelle aree liberate, sono addirittura cresciute. Nei villaggi liberati di tutta la Siria si sono costituiti consigli locali per organizzare il governo dei cittadini, per fornire aiuti e tentare di costruire una nuova società democratica. I consigli locali furono l’innovazione ideata dall’anarchico siriano Omar Aziz, che ha teorizzato l’esigenza di tale forma di organizzazione politica in risposta alla completa assenza di alcun tipo di autogestione nella Siria pre-rivoluzionaria, al continuo dominio sulla vita quotidiana da parte del regime e alla necessità di organizzazioni che incoraggiassero una rivoluzione politica e sociale. Nell’articolo “Discussione sui consigli locali in Siria”, pubblicato nel novembre 2011, Aziz scrisse:
“Il movimento rivoluzionario resta comunque sganciato dalle attività quotidiane delle persone e non è in grado di avere un impatto sulla vita di tutti i giorni. Ci sono delle discrepanze pratiche tra le attività della vita quotidiana e le attività legate alla rivoluzione. Questo implica che le formazioni sociali siriane vivono due momenti sovrapposti: il periodo del potere, in cui il regime continua a manovrare le attività di tutti i giorni, e il periodo della rivoluzione, in cui gli attivisti si danno da fare regolarmente per rovesciare il regime. Il pericolo non è dato dalla sovrapposizione dei due momenti, giacché è nella natura delle rivoluzioni, bensì nell’assenza di alcun tipo di correlazione tra la sfera della vita quotidiana e quella della rivoluzione stessa. Ciò che temiamo per il futuro prossimo del movimento, è dato da due cose: che il popolo si stufi della rivoluzione e del suo distaccamento dalla vita reale di tutti i giorni, oppure che venga estremizzata la militarizzazione del dissenso, rendendo la rivoluzione stessa ostaggio dei fucili.
Ne consegue che i rivoluzionari debbano fare di tutto per rendere il proprio gruppo indipendente da qualsiasi autorità centrale, e che in base al rapporto tra quei due “periodi”, il periodo del potere e il periodo della rivoluzione, si riuscirà o meno a creare i presupposti per la vittoria. Va ricordato che il supporto medico e legale avvenuto nei mesi scorsi nelle aree di emergenza è stato un grande banco di prova, e che bisogna incoraggiare e favorire questo tipo di iniziative includendo altre sfere di vita quotidiana. L’aderenza ai ritmi della società civile è un requisito fondamentale affinché una rivoluzione possa proseguire fino alla vittoria. Richiede una struttura sociale flessibile che sia basata sulla collaborazione tra la rivoluzione stessa e la vita quotidiana del popolo. Questa forma di struttura sociale verrà chiamata “consiglio locale”.
Lo scopo di questo prologo e di ciò che seguirà nel trattato è indagare sulla praticabilità della formazione dei consigli locali con membri provenienti da diverse culture e appartenenti a divisioni sociali diverse che però lavorano insieme per raggiungere i seguenti obiettivi:
- Sostenere il popolo a organizzare la propria vita in modo indipendente da istituzioni e agenzie statali
- Formare uno spazio per l’espressione collettiva che supporta la collaborazione di individui promuovendo attività politiche quotidiane
- Avviare attività che mirino alla rivoluzione sociale partendo dai quartieri cittadini in una cornice di sostegno reciproco nazionale”
L’anarchico Aziz pagò la sua opposizione al regime con la vita. Imprigionato dal governo di Damasco nel novembre 2012, morì d’infarto nella prigione di Adra nel febbraio dell’anno successivo. La sua eredità morale sopravvive sino ad oggi nei movimenti autonomi che sostengono la rivoluzione.
Nella Siria liberata ci sono oltre 400 consigli locali, affiancati da tantissime altre organizzazioni della società civile: centri femminili, stazioni radio, associazioni di giornalisti e molte altre. Ci sono stati dei conflitti con alcune fazioni armate, ma tutte sono necessariamente costrette a rispettare l’autorità dei consigli, in quanto emersi proprio dalle gesta della rivoluzione e accolti dal supporto delle comunità da cui provengono i combattenti degli stessi gruppi armati.
Sull’esistenza di questi consigli locali non vi è alcun segreto, molti di essi hanno persino sito e pagina Facebook, come il Consiglio locale di Aleppo. Questi canali vengono utilizzati per rendere pubblico il proprio budget, per rendicontare degli incontri ufficiali e delle proprie attività, che siano la riparazione di linee telefoniche, la pulizia delle strade, la sistemazione delle condutture, l’istituzione di corsi per la formazione femminile, l’attuazione del controllo dei prezzi delle materie prime o la distribuzione del pane. Il mondo esterno ignora quasi del tutto l’esistenza di queste società autogestite a causa del successo della narrativa anti-rivoluzionaria del regime e del completo abbandono della rivolta da parte delle forze progressiste di tutto il mondo.
Nonostante questo abbandono, le repubbliche dei sobborghi stanno resistendo, e costituiscono una luce nelle tenebre che attanagliano la Siria. La loro persistenza spiega la longevità della rivolta, permettendo alle comunità di sostenersi a vicenda nonostante il caos che regna. E spiega anche perché il regime continua ad esercitare una violenza inaudita nei confronti dei civili. Fino a quando esisteranno queste formazioni associative, il regime tenterà di sradicarle. Dei modelli di sistemi democratici in Siria costituiscono la più grande minaccia verso il regime, perché portano avanti la speranza di un futuro progressista e non settario, libero dalla tirannia del regime, che possa accogliere a sé anche quelle comunità che attualmente sono ancora fedeli al regime stesso.
UNA rIVOLUZIONE CULTURALE
La rivolta ha anche stimolato una massiccia rivoluzione culturale. Una volta che i siriani hanno spezzato le catene della paura che aveva fatto conoscere la Nazione come il “Regno del silenzio”, ha avuto luogo un’esternazione senza precedenti di cultura ribelle.
Come dimostrato dalle strofe urlate a squarciagola nelle proteste di massa, la rinascita della società civile è un processo inarrestabile. Gli attivisti hanno iniziato a comunicare tra loro riempendo di graffiti e poster i quartieri governati dal regime. Stazioni radio e televisive legate all’opposizione hanno stabilito la propria base in Turchia trasmettendo i propri programmi in Siria. Le aree liberate hanno costituito subito le proprie radio locali. Attivisti provenienti dalla società civile hanno tenuto dibattiti sulla Rivoluzione francese, sui diritti delle donne, sulla tolleranza religiosa e hanno tentato di incoraggiare la formazione di una cultura del confronto e della libertà di pensiero, così importante per la costituzione di una società democratica. Sono nati gruppi teatrali che hanno portato sul palco opere legate alla rivoluzione, i rifugiati hanno creato spettacoli satirici e nella Città vecchia di Aleppo, liberata dal regime, è stata girata una soap opera con bambini attori.
Questi sono soltanto alcuni degli esempi del grande risveglio culturale nato grazie alla rivoluzione. Sul sito Creative Memory of the Syrian Revolution ne potete trovare molti altri. Persino nelle ore più buie ribelli e rivoluzionari hanno prodotto dei film per rendere pubblica la loro lotta. Quando il regime di Assad “ripulì” i quartieri di Homs, tra il 2014 e il 2015, i ribelli sotto assedio produssero il corto satirico “Official Statement” con cui hanno parlato della propria situazione, senza risparmiare critiche a chi li ha abbandonati.
“L’ultima scena de “Official Statement” mostra il leader di un battaglione e un guerrigliero solitario con il capo coperto di bende bianche, troppo debole per alzare il proprio fucile d’assalto.
“Annunciamo che non annunceremo più nulla dopo oggi, perché non abbiamo più risorse per diffondere altri annunci”, dice il leader del battaglione.
“Tutto ciò che abbiamo è la nostra resistenza. E tutto ciò che avete voi sono le vostre promesse e il vostro tradimento. La Storia ci è testimone”.
Nel quartiere di al-Waer, l’ultima area di Homs controllata dai ribelli in cui vivono oltre 100mila sfollati, un’assemblea civile fornisce aiuto umanitario, istruzione e organizza attività culturali di vario tipo per provare a sostenere la vita del quartiere assediato. A Daraya, nella periferia di Damasco, 8000 persone vivono sotto assedio dal 2012; qui gli attivisti hanno costruito una biblioteca sotterranea in cui i civili e i combattenti possano andare a leggere e ripararsi dall’orrore della guerra, e un kickboxer di Muay Thai ha aperto una palestra per dare ai residenti un modo con cui passare il tempo e alleviare la pressione e lo stress dell’assedio.
Gli attacchi russi ed iraniani mettono a forte rischio questi sforzi di rinascita culturale. E tutto ciò è una testimonianza della volontà dei siriani di resistere, della loro tenacia e della lotta tra la vita e la morte che prosegue da ormai troppo tempo. Ma più la guerra va avanti e più diventano forti le fazioni islamiche radicali, con una sofferenza sempre maggiore della popolazione civile, che subisce ulteriori deportazioni, carestie e stragi.
Per garantire un futuro al popolo siriano, tutti gli attivisti socialisti e progressisti dovrebbero dedicare tempo e solidarietà attiva alle organizzazioni democratiche presenti nell’ambito della rivolta siriana. Se queste dovessero venire spazzate via dalla barbarie di Assad o del sedicente Stato Islamico, allora non rischierà di essere grigio soltanto il futuro dei siriani, ma anche quello di tutti gli abitanti dell’intera regione.
[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]
Una versione in inglese del presente articolo è stata pubblicata su “The Project – A Socialist Journal“
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