Daniele Bordoli, La Paz
“Evo dichiara lo stato di emergenza e invita a prepararsi al peggio”. Così titola il diffuso quotidiano Pagina Siete all’indomani della conferenza stampa del 21 novembre, con cui il presidente dello Stato Plurinazionale di Bolivia Evo Morales ufficializza quanto già si sospettava: le riserve idriche della città di La Paz sono esaurite.
Approvato da una riunione di gabinetto d’urgenza, il decreto 2987 parla di “siccità e deficit idrico in diverse zone del paese” a causa di un acutizzarsi dei cambiamenti climatici e dell’anno più caldo da cento a questa parte. Il provvedimento autorizza regioni e municipi a riallocare le risorse in maniera tale da far fronte alla situazione e il ministro dell’Economia e della Pianificazione a valutare tutti gli aggiustamenti necessari negli enti pubblici e nel Piano Nazionale di Emergenza.
I FATTI
Da inizio novembre diverse zone della città di La Paz sono rimaste completamente prive di acqua, a partire dalla zona Sur, sino a Miraflores, ma il razionamento è stato poi esteso ad altri quartieri del municipio e a sette distretti della confinante città di El Alto. Anche altre città del paese si sono trovate a fronteggiare la crisi, come Sucre, Potosí (dove si sono verificati scontri tra mineros e campesinos riguardo l’utilizzo del prezioso liquido) e Cochabamba, dove nei giorni scorsi una manifestazione spontanea per chiedere l’utilizzo dell’acqua della laguna La Merced è stata sedata con gas lacrimogeni. Il decreto predispone due team che lavorino coordinati: il primo che gestisca l’emergenza, gestito da EPSAS, l’ente nazionale preposto alla gestione dell’acqua, distribuendo e riempiendo taniche e cisterne nei luoghi colpiti, il secondo (supportato dall’esercito) che si occupi di nuove perforazioni e falde acquifere.
LE REAZIONI
Divide, il decreto d’urgenza: molto critico l’ex Presidente Jorge Quiroga Ramirez, che accusa il Governo ed il partito del MAS di incapacità nel pianificare l’utilizzo delle risorse. Sulla stessa linea anche il Deputato di Unidad Demócrata, Wilson Santamaría, che rincara la dose, insinuando che il decreto sia solo uno specchietto per le allodole: “Ho sentito che ci sarà un ministero che si occuperà delle cisterne. Quante cisterne? Come sarà organizzata la distribuzione?”. E mentre il MAS chiede di non politicizzare la crisi, invitando a collaborare per la sua soluzione, il sindaco di El Alto Soledad Chapetón (Unidad Nacional) fa sapere che ha già inviato due note, che se necessario non esiterà a scriverne una terza, per richiedere una riunione di coordinamento con EPSAS e Ministro dell’Ambiente e Acqua.
Di fatto, nè EPSAS, né Governo, né AAPS (Autoridad de Fiscalización y Control Social de Agua Potable y Saneamiento) hanno presentato un programma ufficiale per il razionamento dell’acqua.
IL PRECEDENTE
In molti qui in Bolivia ricordano la guerra dell’acqua a Cochabamba, quando il popolo unito è riuscito a sconfiggere un grosso consorzio multinazionale chiamato Agua de Tunari a cui il Governo aveva concesso il monopolio di tutte le risorse idriche della zona. Nel 1999, il lavoro del consorzio, seppur utile per il rinnovo delle condutture e delle infrastrutture, aveva causato un innalzamento vertiginoso dei prezzi dell’acqua, compresa quella utilizzata in ambito rurale e agricolo, fonte primaria di sostentamento in Bolivia. Allo stesso innalzamento stiamo assistendo oggi nella città di La Paz, dove per un bidone da 20 litri d’acqua si arriva a spendere 90 boliviani (circa 12 euro), al contrario dei consueti 25. E nonostante questo i supermercati sono presi d’assalto da cittadini benestanti che cercano di accaparrarsi quanta più acqua potabile possibile, nella speranza che la crisi passi in fretta. Mentre gli strati meno abbienti della popolazione chiedono solo tierra, AGUA y libertad.
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