I ribelli siriani avrebbero ricevuto mitragliatrici pesanti provenienti da una fabbrica di proprietà della Serbia. Il traffico sarebbe avvenuto tramite un magnate bulgaro, passando per un campo d’addestramento saudita. L’inchiesta di BIRN e OCCRP
Febbraio 2016: indossando scarpe da ginnastica, jeans scoloriti e un maglione decorato con la parola “Life”, il ventitreenne Salam (nome fittizio) posa insieme al suo ultimo kit, una mitragliatrice pesante, fresca di produzione e di recente consegnata al battaglione del Free Syrian Army, di cui è membro.
Le foto, pubblicate sul profilo Facebook del combattente, non hanno attirano subito l’attenzione, perdendosi nel flusso dei selfie con armi provenienti dalle fazioni in guerra in Siria.
La provenienza dell’arma e come ha viaggiato per giungere in un cortile polveroso nel nord della Siria risultavano dati di scarso interesse per gli uomini della 13° Divisione che combatte contro le forze del Presidente Bashar al-Assad ad Aleppo. Per Salam, quella è semplicemente l’arma più nuova e la migliore che ha imbracciato sin dall’inizio del conflitto.
Ma la caratteristica forma e le ottime condizioni dell’arma hanno ben presto risvegliato l’attenzione degli esperti online, i quali hanno suggerito che si tratti di un M02 Coyote di recente produzione, fabbricato nello stabilimento Zastava a Kragujevac, in Serbia.
Il Balkan Investigative Report Network, BIRN, e l’Organized Crime and Corruption Reporting Project, OCCRP, hanno avviato un’indagine per capire come la potente arma abbia percorso i circa 6.000 chilometri dalla linea di produzione statale della Zastava per arrivare nelle mani di Salam, parte di una consegna di almeno 205 armi nel 2015 e nel 2016 per l’Esercito siriano libero, con il coinvolgimento di Serbia, Bulgaria, Arabia Saudita, Turchia e Stati Uniti.
Si tratta della prima volta in cui viene tracciato il percorso di armi destinate ai ribelli siriani e provenienti direttamente da un produttore in Europa centrale e orientale: l’indagine fornisce la prova più lampante, fino ad oggi, dell’esistenza di un canale di rifornimento di armi, in precedenza già rilevata da BIRN e OCCRP.
Tale canale ha diffuso fino a 1,2 miliardi di euro di armi provenienti da Balcani, Repubblica Ceca e Slovacchia nel Medio Oriente, con il supporto di finanziamenti sauditi e, secondo un ex ambasciatore degli Stati Uniti in Siria, della logistica della CIA.
La scoperta illustra anche il sistematico ed illegale dirottamento di armi da parte del regime saudita e l’accondiscendente atteggiamento dei governi degli stati balcanici, disposti a chiudere un occhio di fronte a questo commercio, altamente lucrativo.
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L’indagine evidenzia anche il ruolo cardine svolto dai trafficanti di armi. BIRN e OCCRP hanno scoperto che la ditta che ha mediato l’accordo è di proprietà del potente imprenditore bulgaro Petar Mandjoukov, trafficante d’armi, magnate dei media ed ex agente della sicurezza di stato in epoca comunista.
Salam e il “Dushka”
Salam potrebbe essere stato il primo combattente del FSA a condividere una foto del nuovo arrivato su Facebook, il Coyote prodotto in Serbia, ma non è stato certo l’ultimo.
A poche settimane dal suo post, la mitragliatrice pesante ha cominciato a fare la sua comparsa su Twitter, YouTube e altre piattaforme social, da tutti i campi di battaglia della Siria settentrionale, a volte ancora imballata e con le istruzioni contenute nel cellophane, il che indica l’arrivo di un grande fornitura di nuove armi.
BIRN e OCCRP hanno rintracciato Salam attraverso il suo profilo Facebook, chiedendogli di fornire ulteriori informazioni sulle origini delle mitragliatrici pesanti e sulla loro rotta verso Aleppo.
Il ventitreenne siriano ha voluto raccontare al mondo la situazione dei suoi compatrioti e ha fornito una serie di foto e il video di un carico di Coyote nel retro di un pick-up Toyota.
Ha dichiarato a BIRN e OCCRP che, in quanto semplice soldato, non poteva essere a conoscenza di come il FSA si fosse assicurato le armi, ma ha ammesso di sapere che “diverse” armi erano state consegnate dopo la sua partecipazione ad un campo di addestramento in Arabia Saudita.
Nei primi mesi del 2016, lui e altri 150 combattenti destinati alla formazione hanno lasciato la Siria per la capitale turca Ankara. Dopo una settimana di controlli medici e militari, un aereo militare li ha condotti in Arabia Saudita.
I ribelli sono stati guidati dall’aeroporto ad un campo militare segreto. Privati dei loro telefoni cellulari, sono stati tagliati fuori dal resto del mondo, in una località segreta nel deserto saudita.
“L’ho visto [il Coyote] con i miei occhi in Arabia Saudita: lo stavano testando gli americani”, racconta Salam. “C’erano numerosi diversi ufficiali, da Regno Unito, Stati Uniti, Libano, Arabia Saudita. Erano presenti anche ufficiali dei servizi segreti americani, persone di grande esperienza, la cui maggior parte ha combattuto in Iraq”.
Tornato in Siria, Salam di li a poco ha potuto posare esibendo la nuova arma su Facebook, prima di essere arruolato per la lotta contro Assad e lo Stato islamico. “Abbiamo modificato il Coyote e lo abbiamo montato su un camion”, ha spiegato.
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“Il mio fucile è arrivato dalla Turchia, al termine dell’addestramento”, ha aggiunto. Salam riferisce che tutte le armi per il suo battaglione sono passate attraverso uno dei “MOC” in Turchia, centri di comando delle operazioni militari, istituiti nel Golfo, Turchia e Giordania, gestiti dai servizi segreti arabi, turchi e occidentali. Sono usati come basi logistiche e di formazione.
“Non so esattamente quante armi c’erano, ma erano diverse e il mio gruppo ne ha ottenuto una”, ha aggiunto.
Il percorso intrapreso dal suo Coyote coincide con i risultati della precedente inchiesta di BIRN e OCCRP, in virtù della quale era stato provato il ruolo centrale dei sauditi nella fornitura di armi del blocco orientale ai ribelli siriani.
Da giugno 2015 ad agosto 2016, almeno 50 voli cargo hanno trasportato armi e munizioni provenienti dall’Europa centrale e orientale verso le basi militari saudite. BIRN e OCCRP hanno individuato i voli che trasportano attrezzature militari tra il regno del Golfo e la Turchia, da dove le armi transitano nella Siria settentrionale.
Alla domanda sul perché avesse postato una foto della mitragliatrice, Salam ha spiegato: “E’ stata la prima volta che avevamo ricevuto una tale arma, dopo sei anni di combattimenti. Era leggera ed efficace ed è stata l’arma più nuova che abbiamo mai avuto”.
I suoi commilitoni lo hanno chiamato “Dushka”, da un’arma simile di produzione sovietica, il DShK.
“Era in una scatola, separata in pezzi che abbiamo dovuto assemblare; era nuova, c’era anche un catalogo”.
Salam ha fornito ai giornalisti il numero di serie unico dell’arma, 3007.
In una dichiarazione scritta, un portavoce del Ministero della Difesa della Serbia ha confermato a BIRN e OCCRP, che la Zastava ha venduto, nel 2015 e nel 2016, “un certo numero” di Coyote alla Bulgarian Industrial Engineering and Management, BIEM, una ditta di Sofia distributrice di armi destinate all’esportazione verso l’Arabia Saudita. Ma, ha aggiunto, le foto apparse sui social media non costituirebbero una prova che l’arma in questione sia effettivamente un Coyote.
Quando gli è stato fornito il numero di serie dalla mitragliatrice, il Ministero ha inizialmente dichiarato di non poter rintracciare l’arma. In seguito a molte email di sollecitazione e chiamate, tuttavia, un portavoce ha ammesso che un M02 Coyote con quel numero di serie è stato venduto a BIEM nel 2015.
L’accordo e il magnate
Quell’anno, BIEM aveva effettuato una grande ordinazione alla serba Zastava Armi, che produce la propria popolare versione del famigerato AK-47 russo, così come della mitragliatrice Coyote.
Sebbene i dettagli dell’affare rimangano riservati, i bilanci di Zastava del 2015 mostrano che BIEM ha versato circa 2,75 milioni di euro allo stabilimento statale di produzione di armi quell’anno. Un commerciante di armi ha specificato a BIRN e OCCRP che il prezzo tipico per un’arma simile ammonta a circa 12.000 euro, portando quindi il conto per 205 Coyotes a circa 2,5 milioni di euro.
L’azionista di maggioranza di BIEM è Mandjoukov, un importante magnate bulgaro con interessi finanziari nell’edilizia, nei media e nella produzione di vino, che in precedenza aveva posseduto anche, congiuntamente, il secondo più grande club di calcio del paese, il CSKA Sofia. Il 74enne è meglio conosciuto in Bulgaria come commerciante di armi. Nel 1977 ha iniziato a lavorare per Kintex, una potente società commerciale di proprietà statale che, sotto il regime comunista, era coinvolta nel traffico di armi con stati canaglia e terroristi, secondo quanto lo Stato bulgaro ha poi ammesso. Allo stesso tempo, Mandjoukov è stato agente della sicurezza di stato durante la guerra fredda, come emerge dai documenti rilasciati dalla Commissione dei casi, un corpo speciale che indaga sugli ex servizi segreti della Bulgaria.
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Poco si sa del lavoro di Mandjoukov nel commercio delle armi. Egli non fa menzione di BIEM sul proprio sito web, sul quale vengono tracciati con dovizia di particolari le operazioni del suo impero commerciale e che ha ricevuto poco copertura mediatica da quando è stato istituito nel 2001 sotto il suo nome precedente, Norwood Bulgaria. I documenti del Registro delle imprese della Bulgaria dimostrano che il magnate detiene il 75% delle azioni dell’intero settore privato.
In una dichiarazione scritta BIEM afferma: “Rispettiamo rigorosamente la legislazione nazionale e internazionale. Create connessioni e traete conclusioni basate sui vostri pensieri ed ipotesi e vi aspettate spiegazioni che non è né nostro diritto né nostro dovere fornire”.
La Siria “inghiotte” le armi serbe
La licenza di esportazione di BIEM per l’accordo Coyote è stata concessa dal Ministero del Commercio serbo sulla base di un documento legale denominato Certificato utente finale, il quale garantisce che le armi saranno utilizzate dalle forze di sicurezza saudite.
Sebbene qualsiasi ri-esportazione dell’apparecchiatura richiedesse l’approvazione della Serbia, l’arma di Salam, molto probabilmente insieme al totale delle 205 vendute a Riyad, sembra essere stata trasferita illegalmente in Siria dal Regno del Golfo, le cui forze armate non usano tali armi, ma armi in gran parte più moderne e sofisticate.
Questa potrebbe non essere una sorpresa per i funzionari serbi responsabili della concessione della licenza di esportazione, nonostante ufficialmente si continui ad insistere sul fatto che essi non sanno se l’Arabia Saudita sta trasferendo le armi in Siria.
Secondo i documenti riservati del Ministero della Difesa della Serbia e i verbali di una serie di riunioni interministeriali del 2013, pubblicate da BIRN e OCCRP nell’ambito dell’indagine precedente, i funzionari hanno bloccato l’esportazione di armi in Arabia Saudita quell’anno temendo che potessero finire illegalmente nelle mani dei combattenti siriani.
La Serbia, nel quadro della propria legislazione contro la tratta di armi, il Trattato sul commercio degli armamenti sostenuto dalle Nazioni Unite e la posizione comune dell’UE sul commercio delle armi a cui si sta allineando, è obbligata a bloccare le esportazioni di armi che potrebbero essere ritrasferite, in particolare in zone di guerra e a gruppi non statali accusati di crimini di guerra.
Tuttavia, nel 2015, la Serbia ha deciso di ignorare le sue preoccupazioni precedenti e ha approvato l’accordo Coyote insieme all’esportazione di altre armi e munizioni in Arabia Saudita, per un totale di 135 milioni di euro.
Il Ministero della Difesa della Serbia, uno dei ministeri consultati nell’ambito del processo di concessione delle licenze, ha rilasciato a BIRN e OCCRP una dichiarazione scritta in cui afferma che le licenze di esportazione sono state approvate perché avrebbero un “impatto positivo” sull’industria della difesa della Serbia, a differenza dell’accordo del 2013 nel quale erano coinvolti equipaggiamenti importati.
Un funzionario serbo di alto rango, che ha espresso il timore di essere licenziato qualora identificato, ha dichiarato a BIRN e OCCRP che “tutti sanno” che le armi sono state trasferite dall’Arabia Saudita ai combattenti siriani, che “stanno inghiottendo tutto quello che possono accaparrarsi”.
“Le nostre armi si adattano perfettamente alle loro esigenze perché sono di vecchio e semplice disegno sovietico”, ha aggiunto il funzionario. “Puoi prendere una persona a caso dalla strada e insegnargli ad usarle in poche ore”.
Anche la Bulgaria, paese membro dell’Unione europea, e il suo Ministero dell’Economia, soggetto ad obblighi giuridici simili a quelli della Serbia, ha approvato una licenza di intermediazione per consentire alla BIEM la vendita di Coyote all’Arabia Saudita.
I Sauditi, l’intelligence turca e la CIA, tutti i protagonisti della formazione e della fornitura di armi ai ribelli siriani, avrebbero probabilmente bisogno anche di chiudere un occhio sul Certificato di utente finale, poiché le armi, legalmente destinate alle forze di sicurezza saudite, intraprendono un viaggio, attraverso il Golfo e la Turchia, verso la Siria.
Né i funzionari bulgari né quelli serbi hanno risposto alle domande su quali azioni dovrebbero intraprendere per impedire il trasferimento di armi dall’Arabia Saudita alla Siria.
Anche i ministri degli Esteri sauditi e turchi non hanno fornito alcuna dichiarazione, mentre la CIA ha dichiarato di non voler commentare.
Guerra senza vincitori
Le fabbriche di armi della Serbia stanno lavorando a pieno ritmo, assumendo già nuovo personale e implementando ulteriori turni per far fronte alla crescente domanda, in particolare dall’Arabia Saudita e da Washington.
Il fatturato di Zastava è salito a 36 milioni di euro nel 2015 dai soli 26 milioni di un anno prima, mentre anche Krusik, produttore di missili e munizioni statali, registra un incremento di proporzioni simile all’anno.
Il boom rappresenta anche un buon affare per i mediatori di armi dei Balcani, così come per il BIEM.
Krusik ha dichiarato ai giornalisti che due dei commercianti di armi più importanti della Serbia, Slobodan Tesic e Petar Crnogorac, hanno agito come intermediari in affari con l’Arabia Saudita nel 2016.
I più recenti dati ONU disponibili sul commercio dimostrano che nel 2016 la Serbia ha continuato ad esportare armi all’Arabia Saudita (nel primo trimestre dell’anno per 36 milioni di euro).
Salam ha lasciato Aleppo, senza la sua mitragliatrice, prima della sua cattura da parte delle forze governative ed ora è rientrato nelle file nell’Esercito siriano libero.
Ha raccontato che il suo Coyote è ora in carico alla brigata Moutasem del FSA, che sta combattendo ISIS e le forze curde nella Siria settentrionale, come parte dell’Operazione Euphrates Shield.
Salam sogna il giorno in cui potrà deporre le armi, anche quelle più vecchie e basiche che racconta di aver usato da quando ha lasciato Aleppo.
“Fino a quando continueremo a combattere? I nostri figli non hanno ricevuto un’educazione in sei anni, fino a quando andrò avanti? Questo è il messaggio che voglio inviare”.
Il Ministero del Commercio della Serbia, a seguito della pubblicazione dei risultati dell’indagine di BIRN, ha rilasciato una dichiarazione nella quale afferma che non vige alcun divieto per l’esportazione di armi in Arabia Saudita. “Le esportazioni verso il Regno dell’Arabia Saudita non sono proibite da alcun atto del Consiglio di sicurezza dell’ONU, dell’UE o di qualunque altra organizzazione internazionale. La maggior parte dei paesi dell’UE (Germania, Francia, Italia) e gli Stati Uniti stanno esportando armi e attrezzature militari in questo paese”.
Su gentile concessione di balkaninsight.com – traduzione di M.R.
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