Il film del regista israeliano Eran Riklis – Il giardino di limoni (2008) – offre un interessante affresco della società palestinese e di quella israeliana dopo il 1949, data che segnò da un lato la fine della prima guerra Arabo-Israeliana e dall’altro la fondazione, nel 1948, dello Stato di Israele.
Una delle immediate conseguenze del conflitto fu la partizione della Palestina geografica in tre zone: Israele (circa 77% del territorio), la Cisgiordania (sotto il controllo giordano) e la Striscia di Gaza (controllata dall’Egitto). La storia presentata nel film di Riklis è ambientata sulla Green Line, la linea di demarcazione tra Israele e Cisgiordania stabilita con l’armistizio del 1949.
La protagonista della storia è Salma Zidane, una contadina palestinese, vedova, che vive coltivando il limoneto ereditato dal padre su una piccola striscia di terra al confine con Israele. La storia si complica non appena il Ministro della Difesa Israeliano, Israel Navon, fa costruire la propria villa esattamente sull’altro lato della Green Line, in territorio israeliano.
Navon teme infatti che il limoneto della signora Zidane possa costituire il nascondiglio per eventuali terroristi palestinesi e dà pertanto l’ordine di farlo sradicare. Salma riceve la lettera in cui viene informata del provvedimento del ministro israeliano, che tuttavia è interamente scritta in ebraico. Decide pertanto di far visita ad Abu Kamal, uno degli anziani del villaggio, per farsi tradurre il documento. Alla notizia dell’ordine di sradicamento del limoneto, Salma non accenna a tirarsi indietro né ad accettare alcun indennizzo, al contrario, si reca presso lo studio di un giovane avvocato di nome Ziad, intenzionata a portare la sua causa davanti al tribunale.
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Nel mentre, la moglie del ministro israeliano, Mira, contraria alla decisione del marito, inizia a mostrare un certo interesse per la sua vicina. In diversi momenti della storia, le due donne si trovano ad osservarsi, separate non solo da una recinzione metallica, ma altresì da un barriera linguistica (Salma parla arabo e Mira ebraico), che impedisce loro ogni sorta di comunicazione. L’appello di Salma viene rifiutato e le viene altresì interdetto l’accesso al limoneto, ma la donna, senza arrendersi, decide di portare la sua causa davanti alla Corte Suprema.
I suoi incontri con Ziad diventano così sempre più frequenti, sollevando le perplessità di Abu Kamal che fa visita a Salma, ammonendola per il suo comportamento disdicevole. Nel frattempo, la causa di Salma ha sollevato un grosso polverone mediatico e fatto sì che la sua storia sia diventata di interesse globale. Ad acuire ancor di più la tensione ci pensa Mira, che consegna a un’amica giornalista una confessione in cui esprime il suo totale dissenso riguardo alla decisione del marito, discreditandolo così agli occhi di tutti. Venuto a conoscenza dell’accaduto, il ministro obbliga la moglie a ritirare immediatamente la sua dichiarazione.
La reazione di Mira è radicale: dopo aver lasciato scritto una lettera, abbandona la casa a bordo della sua auto. La storia si conclude con un parziale insuccesso per Salma: l’ingiunzione del tribunale prevede infatti che solo parte dei suoi alberi di limoni vengano tagliati. Il film termina con Salma che guarda il muro in cemento che ora separa il suo limoneto dalla villa ministro.
Un primo aspetto interessante di questo film è, a mio avviso, la decisione del regista di eleggere una donna palestinese, più esattamente una contadina, come protagonista della storia. Tale scelta rende più complessa la classica opposizione tra palestinesi e israeliani, sollevando non solo una questione relativa all’identità nazionale (cosa significa essere un palestinese dopo il 1948), ma altresì una questione più prettamente di genere (cosa significa essere una donna palestinese).
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Quest’ultimo aspetto è secondo me ciò su cui insiste il regista, cercando anche di far leva su uno dei luoghi comuni più diffusi riguardanti il mondo arabo in generale: il ruolo subordinato della figura femminile. Salma è indubbiamente tutto fuorché una figura passiva: sin dall’inizio si dimostra determinata a far valere i propri diritti, rifiutandosi persino di ascoltare gli ammonimenti di Abu Kamal, il quale le aveva consigliato di desistere nella sua battaglia legale.
La figura di Abu Kamal è altresì importante all’interno del film: l’anziano del villaggio rappresenta una visione tradizionalista e conformista della società palestinese, incentrata su valori patriarcali. Più di una volta, non a caso, Salma viene redarguita per la sua dubbia relazione con l’avvocato Ziad, non moralmente accettabile: secondo Abu Kamal, Salma dovrebbe mostrare rispetto per il defunto marito e sicuramente evitare relazioni con uomini molto più giovani di lei. In questo senso, Abu Kamal riesce (probabilmente nell’intento del regista) a far emergere la personalità di Salma, ‘ribelle’ non soltanto nell’impugnare la sua causa contro il governo di Israele, ma anche nell’opporsi a dei valori tradizionalisti che sente estranei.
Salma si dimostra una donna indipendente e fortemente determinata: benché vedova e con un figlio residente in America, riesce a condurre la propria vita in maniera del tutto autonoma coltivando il proprio limoneto. Inoltre, il rapporto con Ziad contribuisce a rafforzare il ruolo attivo di Salma. Nel film, è Salma a condurre la loro collaborazione/relazione: è Salma che decide di portare la sua causa di fronte alla Corte Suprema, ed è sempre lei, alla fine, a riconoscere l’impossibilità di un futuro rapporto con l’avvocato.
La sua figura viene quindi a mettere in discussione non solamente il rapporto di disparità tra palestinesi e israeliani (rappresentato dalla battaglia legale di Salma contro il governo di Israele), ma anche la classica visione occidentalizzata della donna nel mondo arabo (attraverso i personaggi di Abu Kamal e Ziad), offrendo un interessante spunto di riflessione.
L’ARTICOLO È PARTE DEL 6° NUMERO DE LA MACCHINA SOGNANTE, UNA RIVISTA DI SCRITTURE DAL MONDO. OGNI SETTIMANA FRONTIERE NEWS PUBBLICA UN ARTICOLO SELEZIONATO DALLA REDAZIONE DE LA MACCHINA SOGNANTE.
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