Continuare a guardare all’Europa? Per l’America Latina sarebbe un suicidio collettivo

L’intellettuale e sociologa boliviana Silvia Rivera Cusicanqui spiega quali sono le possibili vie per la decolonizzazione. Da un’intervista di Fabiana Bringas per il programma radiofonico argentino “Bajo el mismo sol”, pubblicata sulla rivista digitale La Tinta e tradotta dallo spagnolo da Maria Rossi per lamacchinasognante.com*


Identificazione e decolonizzazione

Silvia Rivera crede che “decolonizzazione” – termine di riferimento in tutta la sua produzione accademica – sia diventata una parola “magica”, tanto da contenere tutto e niente. Segnala che sta succedendo qualcosa  di pericoloso, la tendenza è pensare che la colonizzazione riguardi solo gli indigeni, quando in realtà “i più coinvolti sono i meticci”, persino il colonizzatore deve decolonizzarsi perché inserito in una relazione di potere “illegittima, spuria e violenta”.

Dall’altro lato, afferma che non le piace parlare di “identità”, preferisce piuttosto “identificazione” – Con cosa ci identifichiamo? – perché “identificarsi è un processo, invece identità è come una maglietta o un tatuaggio che uno non può togliersi”. Durante tutta la vita siamo coinvolti in diverse identificazioni, alcune più forti di altre. Rispetto ai due concetti, Rivera Cusicanqui si “identifica” come una “meticcia che cerca di decolonizzarsi dalla sua stessa soggettività”.

Europa come nord

Attualmente, il problema che la sociologa individua è che siamo immersi in una “crisi planetaria”. “Quei referenti che sembravano egemonici, che sembravano indiscutibili, hanno iniziato a sfaldarsi”. Ora gli europei stanno iniziando ad affrontare ciò che lei definisce “l’altra faccia della dominazione”, conseguenza della polarizzazione che loro stessi hanno generato per sostenere i loro privilegi.

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Rivera Cusicanqui deduce che se i latinoamericani smettessero di guardare agli Stati Uniti o all’Europa, e si soffermassero sull’America Latina, capirebbero di essere una fonte maggiore di resistenza e di avere gli strumenti per far fronte alla crisi. La sociologa afferma che “attualmente stiamo vivendo un processo di capitalismo selvaggio, di saccheggio senza limite”, il sistema produttivo estrattivista, il settore minerario a cielo aperto, la frattura idraulica, tutto porta a un “vicolo cieco, continuare a guardare all’Europa significa scommettere su un suicidio collettivo”.

Il problema, secondo lei, è di “buon senso”, non si può continuare a dissipare e a esaurire i beni comuni. Attualmente c’è una esplosione dei movimenti indigeni che iniziano a identificarsi con i loro antenati e soprattutto con la terra, si creano dunque due processi, molto positivi: il “recupero della spiritualità”, e la “politicizzazione dell’etnicità”, non l’etnicità vincolata al folklore o al turismo.

Patriarcato

Silvia Rivera Cusicanqui si occupa anche di ripensare al Patriarcato. Lo definisce come un “complesso di centralizzazioni”, si è centralizzata la conoscenza in Europa generando l’etnocentrismo, si è centralizzato il diritto alla parola e al pensiero in Europa creando il “logocentrismo”, si è centralizzata la nozione di cultura e di civilizzazione nel colonizzatore. “L’androcentrismo fa parte di un complesso coloniale”, la soluzione proposta dalla sociologa è decentrare tutto.

Dall’altro lato e oltre ad essere il patriarcato un “fenomeno planetario”, questo non ha indicato un cammino comune per il femminismo, “ci sono tanti femminismi quante culture”. La sociologa crede che ci troviamo in un processo volto a “trovare e formulare un ideale di convivenza ed equilibrio che non suppone cancellare l’altro né privilegiare uno dei due poli”, ma piuttosto “camminare assieme”.

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L’ “antropocentrismo” cammina di pari passo con l’androcentrismo. Esiste tutta una rivoluzione epistemologica relativa ai movimenti indigenisti, e si inizia a riconoscere altri soggetti e i loro diritti. Gli animali, i vegetali, la pachamama vengono riconosciuti come soggetti di diritto, è l’inizio del definitivo superamento dell’antropocentrismo.

Per quanto riguarda i governi che sono arrivati al potere in America Latina, con una proposta progressista, Rivera Cusicanqui ha parlato di “proposte” che non hanno connessione nella pratica. Quindi diventano proposte che hanno la funzione di nascondere quello che succede nella pratica.

“Mai prima la Natura era stata tanto violentata in Bolivia come con questo governo” afferma parlando del governo di Evo Morales, a partire da questi discorsi indigenisti che occultano le vere intenzioni e che inoltre rappresentano un “deterioramento della parola pubblica”.


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