Un idraulico salentino in Burkina Faso. Nonostante terroristi e climate change

È partita l’ottava missione di We Africa to Red Earth per il Burkina Faso. A due anni di distanza, torniamo a parlare con il fondatore, Adriano Nuzzo. 

Sabato 28 settembre è partita l’ottava missione di Adriano Nuzzo e la sua We Africa to Red Earth in Burkina Faso. Una missione diversa dalle altre, per pericolosità e responsabilità, che porterà l’idraulico salentino a trascorrere tre lunghi mesi con un duplice obiettivo: costruire il decimo e l’undicesimo pozzo e trasformare la no profit in una onlus.

È una missione diversa dalle altre, dicevamo, perché la situazione geopolitica dell’ex Repubblica dell’Alto Volta non è tra le più semplici. Dal 2015, infatti, il Burkina Faso è vittima di una crescente situazione di insicurezza, segnata da attacchi di inaudita gravità nella capitale Ouagadougou e dal moltiplicarsi delle rivolte nelle regioni settentrionali e orientali. Nonostante le misure di sicurezza e il dispiegamento di forze militari, dal 2018 alcune parti del Paese hanno assistito a un incremento febbrile delle violenze.

Gli inizi, la storia e gli obiettivi

Partito per curiosità nel dicembre 2014 grazie a un missionario cristiano conosciuto in Salento (Umberto Trapi, ndr), Adriano – con il supporto e l’ausilio di sua moglie Giulia (cofondatrice di We Africa to Red Earth) –  decide di dare vita a un’Associazione senza scopo di lucro per operare in Burkina Faso. “Vivevamo in Svizzera, ma per motivi familiari siamo dovuti tornare in Puglia. Dopo aver conosciuto Umberto ed essere partito due settimane in missione con lui, con mia moglie abbiamo deciso di creare una no profit. Quando abbiamo iniziato era difficile raccogliere fondi. Il primo anno abbiamo realizzato due pozzi (uno a settembre e uno a dicembre). L’anno successivo (2016) siamo riusciti a costruirne altri due.

Poi è arrivata l’idea di costruire una scuola elementare, su richiesta dei locali. Così, a 50 metri dall’unico asilo della zona, abbiamo deciso di realizzare due classi elementari per i bambini dei villaggi circostanti, per permettergli di poter continuare a frequentare la scuola senza doversi allontanare troppo. Fu difficile inizialmente, perché il municipio non accettava di buongrado la costruzione di scuole private, avvantaggiando quella pubblica”. Con il passare degli anni, We Africa to Red Earth ha iniziato a crescere sempre di più, così da spingere Adriano a una scelta di vita importante. “Col tempo e grazie ai social e a Dio l’associazione è cresciuta, sono aumentati gli aiuti economici e oggi le missioni annuali sono diventate tre. Ho lasciato il mestiere di idraulico, scelta presa con l’ausilio di mia moglie, che appoggia ogni mia decisione. Ora mi dedico esclusivamente a We Africa, e quando non sono in missione trascorro dei periodi in Svizzera, lavorando come idraulico”.

Da quest’anno We Africa to Red Earth diventerà una odv, ci spiega il fondatore: “Abbiamo deciso di formare una onlus, che sarà una organizzazione di volontariato. Mi dedicherò al Burkina Faso a tutto tondo e avremo anche la possibilità di ricevere aiuti economici dalle aziende. Avremo molti vantaggi grazie a questo cambio da no profit a odv e potremo aumentare il nostro operato in Africa. Avremo più lavoro, aumenteranno i pozzi. Ora rimarrò per 3 mesi e rientrerò prima di Natale. Sarò lontano dalla mia famiglia, ma è un atto dovuto per regolarizzare la Onlus e per non avere problemi burocratici. Tra le due missioni (ottobre e novembre) resterò un mese da solo. We Africa continua a crescere, devo occuparmi anche dei villaggi dove abbiamo realizzato pozzi per vedere se tutto funziona e cercare di continuare ad aiutarli. Il nostro obiettivo è aumentare tasselli; questo sarà possibile anche grazie alle nuove donazioni che ci auguriamo arriveranno”.

Il Burkina Faso e la minaccia jihadista

Con Adriano Nuzzo ci soffermiamo anche sull’attuale situazione del popolo burkinabé: “Della reale situazione geopolitica, politica, territoriale ed economica di questo Paese difficilmente sentirete parlare sui telegiornali nazionali”. Repubblica semi presidenziale, prima colonia francese (ottenne nel 1960 l’indipendenza con il nome di Repubblica dell’Alto Volta), divenne Burkina Faso (Terra degli uomini integri) nel 1984 grazie al presidente rivoluzionario Thomas Sankara, di cui ancora oggi gli africani dell’intero continente parlano.

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L’attuale presidente è Roch Marc Christian Kaboré, eletto nel dicembre 2015. Fino al 2014 il Paese non era stato attaccato dagli jihadisti. “Ora dai confini del Mali si sono spostati, spingendosi verso il meridione. Nel Paese c’è stato sempre un elevato tasso di corruzione, che permetteva ai burkinabé di non essere attaccati. Probabilmente l’attuale presidente non è corrotto, tantomeno corruttibile, quindi il popolo viene attaccato più frequentemente dagli jihadisti”.

Il Burkina Faso è un Paese simbolo della convivenza pacifica tra differenti religioni, ci spiega Adriano. “Musulmani e cristiani vanno d’accordo tra loro, coesistono e convivono. I terroristi non lo accettano, ultimamente fanno scoppiare chiese, scuole, palazzi governativi e ambasciate. Stanno attaccando un po’ di tutto, stanno mettendo paura e terrore tra gli abitanti. Inevitabilmente questa situazione mi spaventa, non è stato facile partire e lasciare la mia famiglia”.

Adriano ci racconta anche l’economia reale del Paese: “il Burkina Faso rimane uno dei Paesi più poveri al mondo, la maggior parte della popolazione vive di agricoltura, fondata su pochi cereali adatti ai climi asciutti. C’è una grande produzione di miglio. L’economia ufficiale dipende dalla vendita di materie prime di cui il Paese è ricco, ma c’è sempre lo zampino di multinazionali occidentali a non permettere al Paese di crescere. Prendiamo ad esempio il cotone: questa materia si trasforma – attraverso varie fasi – in un paio di jeans partendo proprio dal Burkina Faso, uno dei principali produttori africani della fibra, passando per il Bangladesh (Paese trasformatore), fino ad arrivare negli Stati Uniti, paese distributore nel mercato mondiale. Gli americani sfruttano questa equazione qui. C’è lavoro in Burkina Faso, ma c’è tanto sfruttamento”.

“Stesso discorso per l’oro: è facile trovare bimbi nei campi alla ricerca dell’oro. Tutto il giorno per pochi grammi, quando va bene. È un popolo sfruttato dagli europei e dagli americani, unici a guadagnarci. C’è sempre stata tanta corruzione tra politici e governi e a pagare sono esclusivamente i burkinabé. Per questo era importante creare un’associazione umanitaria che si occupasse esclusivamente di dare un aiuto concreto sul posto. Sono molte le organizzazioni che se ne approfittano; so di un’associazione che aveva raccolto 50mila euro e sul posto ne ha fatti arrivare solamente 3mila”.

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E ancora: “la Francia controlla 14 Paesi africani, il franco coloniale garantisce a Parigi un forte controllo della loro moneta, oltre al monopolio esclusivo sulle materie ricche di cui abbondano: oro, uranio, gas, caffè, petrolio, cacao. C’è lo zampino francese sempre, è uno sfruttamento totale. La Francia non è mai andata via realmente dal Burkina Faso. Ma anche la stessa Italia è presente. Questa gente non ce la fa più, gli africani stanno morendo di fame. Sono convinti che il bianco è cattivo, che viene qui a rubare. Ho dovuto lavorare su questo aspetto, farmi conoscere. Si fidano di me, sanno che vengo qui per aiutarli concretamente. Ci lamentiamo tanto degli sbarchi, ma dovremmo capire perché queste persone se ne vanno dall’Africa e combattere lo sfruttamento che va avanti dai tempi delle colonie”.

L’operato di We Africa to Red Earth in Burkina Faso

“Una mano importante, oltre a mia moglie Giulia, me l’ha data e continua a darmela Lisa Trapi, la vedova di Umberto. All’inizio io non sapevo dove costruire, non conoscevo nulla. Ho deciso di fidarmi esclusivamente di Lisa che con suo figlio Isaac ci aiutano sul territorio, consigliandoci dove costruire, portandoci in giro per i villaggi. Oltre a loro due, lavoro con un imprenditore locale, che si occupa della costruzione materiale dei pozzi, dell’installazione delle pompe, della muratura e della manutenzione. Stiamo cercando di creare una rete sul territorio, il decimo pozzo è quasi ultimato e a novembre realizzeremo l’undicesimo. Siamo piccolissimi come associazione. Quello che abbiamo fatto fino ad ora è una goccia nell’oceano, dieci pozzi non sono nulla, ma per noi che siamo partiti da zero e facciamo sacrifici, è un grande obiettivo. Un pozzo costa circa 10mila euro, in 5 anni abbiamo raccolto 100mila euro solo per i pozzi. È un grande traguardo, raggiunto grazie alla sola volontà di una famiglia del Salento. Se sono riuscito a farlo io con la mia famiglia, che siamo semplici persone, mi domando cosa potrebbe fare un potere, o una nazione. Vogliamo costruire una rete tra i vari pozzi che costruiamo, ora tra un pozzo e l’altro ci sono due ore circa di strada. È un deserto enorme, il nostro obiettivo è avvicinare sempre di più i villaggi. Lavoriamo con Lisa Trapi, la sosteniamo, quando dobbiamo fare i bonifici li facciamo tramite banca da associazione ad associazione”.

Adriano e la sua We Africa danno la possibilità di partire in missione, per vedere con i propri occhi come si vive in quella parte del mondo e seguire la costruzione dei pozzi: “Dal 2015 sono partite con noi in missione almeno 40 persone. Do la possibilità alle persone di venire con me per documentare e riportare una testimonianza importante. A dicembre arriverà un gruppo di sei persone”. Un ruolo da leader, ma anche una grande responsabilità: “Per me è difficile guidare queste persone, preferirei venire qui da solo perché è sempre una grande responsabilità prendersi cura di chi non è mai stato sul posto. Non posso commettere errori, deve andare tutto per il verso giusto. È una grossa incombenza, ma resto convinto – da credente cristiano quale sono – che è stato Dio ad avermi assegnato questa missione e ho intenzione di portarla avanti per molti anni ancora”.

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L'immagine può contenere: 34 persone, persone che sorridono, spazio all'aperto

L’importanza dell’acqua

“Veniamo in Burkina Faso per portare acqua. Sono un idraulico, mi ha colpito l’assenza di acqua. Il nostro primo obiettivo è quello di portare acqua, finché possiamo. Il clima sta cambiando, piove sempre meno e questo è un problema. Attualmente, a causa anche dei cambiamenti climatici, piove una volta all’anno per pochi mesi. In quei mesi i burkinabé piantano il miglio, ma il livello dell’acqua piovana sta scendendo e questo rappresenta un vero problema. Arriverà il giorno in cui non potremo costruire pozzi manualmente a causa dell’assenza di acqua. Dovremo inventarci altro, andare più in profondità con macchinari elettrici. Per adesso andiamo avanti così, ma l’assenza di piogge resta un grave problema. La priorità di We Africa to Red Earth è l’acqua, ma continuiamo a sostenere l’operato di Lisa Trapi e il suo asilo. È difficile mantenere ciò che costruisci. Un pozzo può durare 5 o 6 anni senza riparazioni, poi devi cambiare i filtri, la valvola di non ritorno. Sono spese di cui ci facciamo carico ben volentieri. Non abbandoniamo mai il popolo burkinabé. Ogni anno paghiamo le maestre, il materiale, l’elettricità. Tutto ha un costo, ma noi non costruiamo tanto per costruire. Abbiamo costruito una scuola e otto pozzi. In questi 3 mesi capirò anche come migliorare gli aiuti. Devo capire cosa possiamo fare nel nostro piccolo, perché piccoli rimaniamo. Pensa che la nostra sede è sempre casa nostra!”

 


Profilo dell'autore

Luca La Gamma

Luca La Gamma
La sua formazione giornalistica inizia a 20 anni quando avvia una serie di collaborazioni con piccole testate romane occupandosi di sport e sociale. A 25 anni diviene giornalista pubblicista e a 26 decide di partire per la Spagna, tappa fondamentale per la sua crescita personale. Laurea in Lingue e letterature moderne alla Sapienza di Roma e in Editoria e giornalismo alla Lumsa di Roma. Attualmente consulente per la comunicazione in INPS. Viaggiatore, sognatore e amante della vita in tutte le sue sfumature, si identifica in Frontiere News perché è la voce fuori dal coro che racconta quelle storie che non vengono prese in considerazione dall’élite giornalistica.

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