Perché vale la pena ricordare Kobe Bryant

Kobe Bryant ha segnato un’epoca, non solo nell’NBA. Il nostro tributo a Black Mamba, ricordandone il talento sportivo, l’impegno sociale, gli esordi in Italia e la sua eredità morale.

di Luca La Gamma


Un incidente in elicottero, 10 secondi, e la vita di un grande uomo e di una leggenda del basket NBA moderno non c’è più. Lasciando ai posteri l’ardua sentenza sulle possibili cause ed errori umani dell’incidente, oggi non c’è spazio per nient’altro in tutto il mondo dello sport se non per piangere la tragica scomparsa di Kobe Bryant, ex stella dei Los Angeles Lakers, e di sua figlia Gianna Maria, di 13 anni.

È la scomparsa inaspettata di un campione amato in tutto il globo, che nel 2016 lasciò un’eredità pesante sui campi di gioco pro di tutti gli Stati Uniti con il suo ritiro e che, oggi, lascia un vuoto incolmabile nel cuore di tutti gli amanti della palla a spicchi e non solo. Già, perché Kobe Bryant ha fatto appassionare con il suo gioco almeno tre generazioni, calpestando per 20 anni i campi della NBA.

Per noi 30/40enni ha rappresentato colui che ci ha fatto innamorare del Gioco. Perché se Michael Jordan ci ha fatto appassionare, è lui che prendendo in eredità l’operato del più grande di sempre ci ha fatto definitivamente innamorare di un movimento sul piede perno, una finta, la palla che entra nel canestro all’ultimo secondo. Tutti noi amanti del basket, cresciuti tra il 1996 e il 2016, abbiamo nei nostri armadi una “canotta” dei Lakers con il numero 8, o il 24 – o, molto più probabilmente, tutte e due.

Storia di un campione

È difficile spiegare chi era Kobe Bryant e cosa ha rappresentato per la pallacanestro mondiale. Un campione, sicuramente, che ha conquistato cinque titoli NBA con la franchigia di Los Angeles. Un professionista, perfezionista del gioco, che con Phil Jackson head coach è riuscito nell’impresa di emulare Michael Jordan. E, credetemi, c’è riuscito per davvero: sei titoli NBA per il primo, cinque per il secondo. Entrambi con una sola canotta indossata: quella dei Bulls per MJ, quella dei Lakers per Black Mamba (questo il suo soprannome). E a noi giovani appassionati della palla arancione non era ancora chiaro cosa stavamo vivendo vedendoli sfidarsi in campo. Si stava facendo la storia. Lo avremmo capito solo dopo l’addio del 23.

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Michael Jordan, il più grande di tutti i tempi, aveva finalmente un fratello minore cui lasciare in eredità il peso di diffondere il Gioco nel mondo. E con le sue gesta Kobe ci riuscì. Durante la sua strepitosa carriera ha sfidato i grandi campioni del passato e le generazioni future. Non solo Jordan, anche Karl Malone, Shaquille O’Neill (amico/nemico con cui ha vinto tanto a Los Angeles, prima di sfidarlo quando Shaq ha lasciato LA per indossare la canotta dei Miami Heat), Allen Iverson (cui ha negato un titolo NBA in una serie finale strepitosa – anno 2001), Dirk Nowitzki, Kavin Garnett, Ray Allen e molti altri, e poi i successori: LeBron James su tutti, ma anche Dwyane Wade, Stephen Curry, Rajon Rondo, Derrik Rose. Nel 2006 realizzò il massimo di punti in carriera in una sola partita: 81 contro i Toronto Raptors. È il quarto miglior realizzato della storia della NBA con 33.643. Meglio di lui hanno fatto solo Kareem Abdul-Jabbar, Karl Malone e LeBron James (che ha superato in classifica proprio Kobe meno di 24 ore prima del tragico incidente dell’ex stella di Los Angeles).

Mosse i primi passi in Italia, Kobe. Perché il padre Joe era un giocatore di basket e ha trascorso 7 anni qui, giocando a Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia, dove il 24 è cresciuto e ha lasciato tanti amici. Era molto legato alla città emiliana, e ogni tanto vi è anche tornato in vacanza.

Dell’Italia ha sperimentato anche la xenofobia: “Mentre stavo crescendo in Italia ho ovviamente sperimentato direttamente il razzismo, andando ad alcune partite di calcio e trovandomi in altre situazioni del genere”, aveva recentemente raccontato durante un’intervista rilasciata alla CNN.

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Inutile nasconderlo, nei nostri cuori abbiamo coltivato la speranza di vederlo giocare nel nostro paese. E chissà se non sarebbe accaduto in un futuro prossimo. Purtroppo però, pur avendo ancora una vita davanti, oggi possiamo solo ricordarlo e fantasticare su come l’avrebbe vissuta. Cosa avrebbe fatto ancora per il basket, e cosa avrebbe fatto fuori – essendo una persona molto attiva nel sociale.



Kobe e le iniziative benefiche

Non solo basket, Kobe andrebbe ricordato anche per il proprio impegno fuori dal rettangolo di gioco. Fondò la Kobe Bryant China Fund per favorire l’educazione scolastica e sportiva dei ragazzi in Cina; nel 2011 con la moglie Vanessa fondò la Kobe & Vanessa Bryant Family Foundation, attiva nel sociale per aiutare i giovani abitanti di Los Angeles in difficoltà economico-sociali.

È stato anche ambasciatore dell’After-School All-Stars, organizzazione non-profit che provvede al doposcuola dei ragazzi di tredici stati degli Stati Uniti d’America, e fu protagonista di tante altre iniziative benefiche. Nel luglio del 2019 donò un milione di dollari per aiutare i soldati a integrarsi nella vita civile dopo le missioni di guerra.

E infine, ha donato oltre un milione di dollari per la costruzione del National Museum of African American History and Culture di Washington, un omaggio all’eredità africana degli Stati Uniti, secondo Kobe “il più grande testamento di questo paese”.

Il potere dello sport

Se ne va un grande campione, nella maniera più tragica. Un maledetto incidente in elicottero mentre con la sua “Gigi” si stava recando alla Mamba Academy, da lui fondata, per un allenamento della giovane promessa del basket femminile.
E una riflessione mi sorge spontanea, in questa giornata terribile per noi amanti del basket: riflettete su quanto siano potenti le arti, di qualunque forma esse siano. Che sia sport, musica, cinema. In questo momento in ogni parte del globo si piange la scomparsa prematura di Kobe. In ogni angolo del pianeta, in queste ore, ci sono migliaia di persone tristi per la scomparsa di un atleta. Tutti ricordano Kobe, pur non conoscendolo personalmente, perché con le sue gesta dentro e fuori dal campo è stato in grado di far appassionare e soprattutto di emozionare. Questo, a mio avviso, è l’insegnamento più bello e autentico: lo sport è vita, perché ci permette di emozionarci.

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Buon viaggio, campione. E grazie per le emozioni che ci hai donato.


Profilo dell'autore

Luca La Gamma

Luca La Gamma
La sua formazione giornalistica inizia a 20 anni quando avvia una serie di collaborazioni con piccole testate romane occupandosi di sport e sociale. A 25 anni diviene giornalista pubblicista e a 26 decide di partire per la Spagna, tappa fondamentale per la sua crescita personale. Laurea in Lingue e letterature moderne alla Sapienza di Roma e in Editoria e giornalismo alla Lumsa di Roma. Attualmente consulente per la comunicazione in INPS. Viaggiatore, sognatore e amante della vita in tutte le sue sfumature, si identifica in Frontiere News perché è la voce fuori dal coro che racconta quelle storie che non vengono prese in considerazione dall’élite giornalistica.

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