Quei due bambini italiani rapiti in Pakistan e ignorati dalla politica

Tradita e maltrattata dal marito, Sheneeza si è per questo vista strappare via i suoi figli – cittadini italiani – ormai segregati da un parente a Islamabad. Una tragica storia di incontro tra cultura del patriarcato e indifferenza delle istituzioni italiane, emersa solo grazie a un’associazione marchigiana.

di Joshua Evangelista


AGGIORNAMENTO (10 giugno 2020): Dopo che Frontiere e poche altre testate hanno denunciato la gravissima situazione dei due bambini a Islamabad, l’ambasciata italiana in Pakistan ha comunicato che la Farnesina si è attivata per riportarli in Italia. L’8 giugno 2020 abbiamo ricevuto una fotografia dei due bambini – che riportiamo censurando nomi e volti – con i loro passaporti, pronti per prendere un aereo verso l’Italia. Comunichiamo questa notizia con grande felicità, ringraziando tutte le persone coinvolte nelle operazioni per riportare i bambini a casa, in primis l’associazione Donne e Giustizia che ha fatto emergere una storia altrimenti destinata a rimanere nell’ombra. 


Sheneeza vive nascosta in un centro emiliano. Fa parte di un programma di alta protezione sotto l’egida dell’associazione Donne e Giustizia. Ha 41 anni e da due non vede più Asma e Serif, nove e otto anni, protetti da uno zio nei pressi di Islamabad.

Lo diciamo da subito: per motivi di sicurezza tutti i nomi di questo articolo sono inventati. Purtroppo, però, la vicenda è totalmente vera.

Partiamo dall’inizio. Il cittadino italiano Hamza, 38 anni, nato e cresciuto in Pakistan da famiglia pachistana, marito di Sheneeza, probabilmente ha un’amante. Sheneeza aveva avuto il dubbio che qualche altra donna occupasse i pensieri del marito, eppure mai avrebbe pensato che le cose sarebbero finite in questo modo. La situazione precipita irreversibilmente durante un viaggio in Pakistan. È l’estate del 2018.

Decidono di fare una tappa nella casa del fratello di lei, Sheneeza non lo vede da un po’. Una sera il marito esce e non torna più. Si limita a fare una chiamata al cognato, per notificargli che da quel momento sarebbe spettato a lui prendersi cura di tutto. Sheneeza prova a contattare ripetutamente Hamza. Telefono, messaggi Whatsapp. Lo invita a tornare, ma senza risultato.

Le sorprese sono appena iniziate. Una volta tornata a casa, una nuova sconvolgente scoperta: è stata derubata di tutti i suoi risparmi e della dote del matrimonio. Ma, soprattutto, sono scomparsi i suoi documenti e quelli dei bimbi.

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La prima idea è rivolgersi all’ambasciata italiana. Dopotutto i suoi figli sono cittadini italiani. In ambasciata viene fermata prima di riuscire a mettere piede in reception: per avere duplicato dei documenti occorreva il consenso del padre. Senza, non può nemmeno avvicinarsi agli uffici dell’ambasciata. Delusa ma combattiva, decide di mandare una mail. Nessuno le ha mai risposto.

È un crudele gioco dell’oca, dove ogni piccola mossa sbagliata può significare l’allontanamento definitivo dai bambini. Decide di non dichiarare il furto, ma lo smarrimento. Spera così di accelerare il rilascio del duplicato del proprio passaporto pachistano e tagliare i tempi burocratici delle indagini per il furto.

Riesce a ottenere una copia e lascia il Pakistan per la Gran Bretagna, dato che la circolazione fra i due paesi non prevede alcun visto. Dal Regno Unito – pre-brexit, God save the Queen – torna in Italia, sperando di riottenere i documenti dei bambini.

Raggiunge Sant’Angelo in Vado, dove ha la residenza, per chiedere aiuto al comune. Il tempo di fare denuncia ai Carabinieri ed è di nuovo costretta a fuggire, dopo essere stata intercettata da membri della famiglia del marito che ancora risiedono in città. Tornando in Italia autonomamente, facendo delle denunce, Sheneeza non ha rispettato le regole che prevedono che, in quanto donna rifiutata, si limiti ad accettare il suo ruolo di scartata.

Come ha scritto Rafia Zakaria su Dawn, in un articolo in seguito tradotto su Internazionale, “l’ideale pachistano di brava ragazza è quello di colei che affida di buon grado e fiduciosamente la sua vita agli uomini. Se si ribella a queste premesse una ragazza e poi una donna sarà etichettata come cattiva sia dagli altri sia dalla sua stessa coscienza”.

Due anni dopo la fuga del papà, i due bimbi vivono in Pakistan affidati a uno zio, non frequentano la scuola e non hanno assistenza sanitaria. Sono a Islamabad, senza documenti. Una sorta di affidamento fai-da-te, come spiega Grazia Satta dell’associazione PortAmico, che segue la vicenda di Sheneeza. “Quando un uomo si stufa della propria moglie la rispedisce semplicemente alla sua famiglia come una merce scaduta. Poi il marito, padre e padrone, ritorna in Europa, si risposa con chi vuole lui perché il secondo matrimonio è sempre più libero – anche se le regole di casta vanno lo stesso rispettate – e non ha nessun obbligo di restituire la dote e, soprattutto, di accollarsi il mantenimento dei figli”.

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Intanto, a Islamabad, la famiglia di Hamza ha fatto istanza al tribunale per avere la tutela dei bimbi. Lui monitora la situazione dal Regno Unito, dove vive al momento. Il tempo stringe. Le attiviste di PortAmico si sono rivolte a tutte le istituzioni, dalla Farnesina alla Presidenza della Repubblica, affinché l’ambasciata italiana a Islamabad rilasci la copia del passaporto rubato ai due bambini e questi possano tornare in Italia.

In tribunale, oltretutto, risulterebbe un documento di richiesta di divorzio con una firma falsificata di Shaneez. Lo scopo, evidente, è di ostacolare la richiesta della donna di cittadinanza italiana e di usare la custodia dei bambini come ricatto contro colei che ha avuto l’ardire di ribellarsi.

Sheneeza è disperata. Con Hamza viveva da segregata (non aveva nemmeno mai messo piede in un supermercato, la prima volta è stata con PortAmico), ora – libera, ma a rischio in Italia come in Pakistan – aspetta con apprensione che qualcosa accada.

La politica italiana è fortemente complice. Come ha giustamente scritto il nostro Riccardo Bottazzo sul Manifesto, “se non ci fossero stati i decreti Sicurezza che hanno bloccato la sua richiesta di cittadinanza in itinere, forse sarebbe anche lei una cittadina italiana e tutto le sarebbe stato più facile”.

La storia di Sheneeza è in una fase di preoccupante stasi, che può essere rotta solo attraverso l’intervento delle istituzioni italiane. “Queste vicende sono purtroppo molto comuni”, ci dice una fonte dentro il Ministero degli Interni italiano. “Così comuni che passano totalmente inosservate. Raccontare il dramma di donne come Sheneeza può essere fondamentale affinché non si ripetano e qualcosa cambi veramente”.

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Se c’è da ringraziare (anche) Salvini per l’impasse in cui versa Sheneeza, va detto che è importante che avvenga un cambio di passo nelle politiche di inclusione delle donne pachistane nel tessuto italiano. Secondo un rapporto del 2018 del Ministero del Lavoro, nel confronto con le principali comunità non comunitarie, la pachistana è quella che fa rilevare il più basso tasso di occupazione (47,2%) e contemporaneamente il più alto tasso di inattività femminile (93%). L’esclusione dal mondo lavorativo e della formazione delle donne è confermata dalla quota della componente femminile tra i NEET pachistani, pari al 75,2%.

Condizione ideale per ricreare i disagi sociali e i maltrattamenti verso le donne comuni in Pakistan. Sempre Rafia Zakaria spiega che “la realtà a quanto pare è che, se si esclude una piccolissima parte della popolazione, pochi hanno la capacità di comprendere quanto disperata sia la situazione. Metà della popolazione del Pakistan è, in forme diverse, schiava dell’altra metà, e tutti sembrano accettarlo”.

Il Pakistan è considerato il sesto paese al mondo in cui è più pericoloso essere donna. Per sostenere le tantissime Sheneeza che non hanno voce, dal 2018 ogni 8 marzo migliaia di donne e uomini manifestano in varie città del Pakistan nella Aurat March, chiedendo la fine dell’oppressione del patriarcato e il riconoscimento dei diritti fondamentali di ogni essere umano, senza distinzione di genere.



Foto copertina: “STOP” di Aasawari Kulkarni per Feminism In India


Profilo dell'autore

Joshua Evangelista

Joshua Evangelista
Responsabile e co-fondatore di Frontiere News. Scrive di minoranze e diritti umani su Middle East Eye, Espresso, Repubblica, Internazionale e altre testate nazionali e internazionali

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