Nel trentesimo anniversario dell’indipendenza della Slovenia, Piazza Prešeren a Lubiana si è riempita di manifestanti antigovernativi – come accade ogni settimana da oltre un anno. Una protesta mossa dal risentimento verso un esecutivo considerato abusivo e reazionario, pericolosamente affine alla galassia neo-identitaria europea. E c’è anche chi paragona il governo del primo ministro Janez Janša agli occupatori italiani ai tempi del fascismo. Testo e foto di Mario Messina.
“Così come l’Italia occupò la Slovenia durante la Seconda guerra mondiale, allo stesso modo oggi la nostra patria è occupata da queste persone al potere”.
Inizia così il discorso Jaša Jenull, il leader del movimento di protesta sloveno che ieri, nel giorno del trentesimo anniversario della dichiarazione di indipendenza del paese dalla Jugoslavia, ha riempito Piazza Prešeren a Lubiana per protestare contro il governo di Janez Janša, l’uomo che secondo molti ha portato la Slovenia a virare fortemente a destra e che al momento è il leader europeo più vicino a Victor Orbàn.
Quello dei manifestanti anti-Janša è un appuntamento fisso settimanale da oltre un anno. Sin dal marzo del 2020, infatti, migliaia di persone si incontrano ogni venerdì per manifestare il proprio dissenso.
Anche durante la crisi da coronavirus l’appuntamento settimanale non è mai mancato (seppure con modalità di volta in volta diverse e adattate all’emergenza sanitaria). Ma poche altre volte c’è stata un’adesione così massiccia come quella di ieri.
“Questa è la dimostrazione che gli sloveni sono stanchi”, racconta a Frontiere News Tea Jarc, una dei leader della protesta. “Sin da subito è stato chiaro che Janša non avrebbe rispettato le leggi della democrazia. Dopo un anno di suo governo la gente è davvero arrabbiata”.
A 500 metri da lì, a piazza della Repubblica, di fronte la sede del Parlamento, tutto è pronto per la cerimonia ufficiale, quella governativa.
Per il secondo anno consecutivo, nel giorno dell’indipendenza della Slovenia il popolo si divide in due distinte piazze. “Quella non può essere la nostra cerimonia perché non è la cerimonia del popolo – continua Tea Jarc –, è la cerimonia dell’élite politica e degli amici estremisti di destra di Janša”.
Il riferimento è ai capi di Ungheria, Austria e Croazia – Viktor Orbán, Sebastian Kurz e Andrej Plenković – che hanno partecipato come ospiti d’onore in quanto leader dei paesi confinanti (per l’Italia era presente il ministro degli esteri Luigi Di Maio). Tutti a festeggiare quel 25 giugno di 30 anni fa che portò alla dichiarazione unilaterale di indipendenza della Slovenia dalla Jugoslavia di Slobodan Milošević.
Già il 23 dicembre del 1990 gli sloveni furono chiamati alle urne per decidere se rimanere nella confederazione jugoslava o se tentare la via dell’indipendenza. Al referendum prevalse il sì all’autonomia da Belgrado con l’88% dei voti.
Dopo circa sei mesi di preparazione politica e militare, il 25 giugno del 1991, il parlamento nazionale di Lubiana dichiarò l’indipendenza della nazione slovena. Ne scaturì una guerra tra le forze di difesa territoriale e l’Armata Popolare Jugoslava che si risolse in soli dieci giorni e causò una sessantina di morti. Nulla in confronto a quello che sarebbe successo qualche anno più tardi nel resto della confederazione.
Ministro della difesa durante i dieci giorni della guerra di indipendenza slovena fu proprio quel Janez Janša che oggi è alla guida del governo così fortemente contestato dai manifestanti del venerdì.
“Janša si presenta come un patriota ma è solo un corrotto”, urla a squarciagola un anziano alla manifestazione di protesta. “Questo è un governo abusivo. Non è il governo per cui ho votato”, gli fa eco una signora.
Seppure in Slovenia non esista l’elezione diretta dell’esecutivo, le elezioni del 3 giugno del 2018 avevano consegnato una maggioranza schiacciante ai partiti di sinistra e centro-sinistra. Così il 13 settembre successivo l’Assemblea Nazionale slovena designò un governo di coalizione guidato dall’ex comico Marjan Šarec.
Una serie di problemi politici e le dimissioni del ministro delle finanze Andrej Bertoncelj spinsero Šarec, nel gennaio del 2020, a rassegnare le dimissioni. A quel punto il presidente della Repubblica Borut Pahor diede mandato al leader dell’opposizione Janez Janša di provare a formare un nuovo governo.
La coalizione di centro-destra non aveva i numeri per creare un nuovo esecutivo. Così Janša li andò a cercare altrove. E li trovò in due partiti storicamente di centro-sinistra che avevano appoggiato il governo precedente: il Partito del Centro Moderno (Stranka Modernega Centra, SMC) e il Partito Democratico dei Pensionati della Slovenia (Demokratična Stranka Upokojencev Slovenije, DeSUS) che però ha ritirato l’appoggio all’attuale governo qualche mese dopo.
“Questo governo non rappresenta il volere degli sloveni ed è nato solo perché qualcuno ha deciso di cambiare casacca”, ripetono come un mantra i manifestanti.
Ma cosa chiede di preciso questa piazza?
“Dimissioni e elezioni anticipate”, taglia corto Tea Jarc. “Questo governo non rappresenta il volere del popolo. Gli sloveni alle scorse elezioni hanno votato per partiti di centro sinistra che poi hanno deciso di tradire il volere popolare e i propri stessi elettori coalizzandosi con un partito di destra e con un leader antidemocratico come Janša. Un uomo che sta seguendo le orme di Orbàn, che attacca i giornalisti e le ONG, che si dimostra corrotto e sleale. Non è questo ciò che abbiamo votato. Abbiamo il diritto di votare e scegliere i nostri leader”.
Alle 21, quando la manifestazione di protesta è finita e quella governativa sta per cominciare, un gruppo di manifestanti si sposta verso piazza della Repubblica. La polizia in assetto antisommossa che a inizio serata aveva bloccato sul nascere l’azione di un gruppo di provocatori di destra in piazza Prešeren, ora si prepara per l’arrivo dei manifestanti anti-Janša.
Quando i dimostranti arrivano è chiaro quali sono le loro intenzioni: fare rumore. Sperando di disturbare in qualche modo la cerimonia ufficiale che si svolge 150 metri più in là.
Come ogni altra volta in passato, i dimostranti rispondono ai poliziotti in antisommossa portando loro dei fiori che lasciano ai loro piedi. “Noi non abbiamo bisogno di usare violenza – spiega una manifestante – perché noi siamo dalla parte della ragione”.
Questo articolo è stato scritto grazie alla collaborazione di Silvia Viviani.
Profilo dell'autore
- Giornalista freelance con base a Napoli. Ha pubblicato con Radiotelevisione Svizzera Italiana, Al Jazeera English, SwissInfo, La Voce di New York, il Riformista e Tpi. Gli amici lo definiscono simpatico, leale e affidabile. Per i difetti contattate la madre.