Tra Croazia e Slovenia il filo spinato non ferma i migranti ma separa le comunità

Žica, letteralmente “filo spinato”, è il titolo del secondo documentario della regista croata Tiha K. Gudac. Partendo dalla storia di due migranti, Mohammed e Omar, racconta l’impatto che questo nuovo muro europeo ha anche sulle comunità locali. In particolare quelle degli sloveni e dei croati della frontiera naturale del fiume Kupa, che vivono la separazione artificiale e la devastazione ambientale causate dal filo spinato.

“La mia destinazione è la mia destinazione, il mio sogno è il mio sogno e nessuno mi può fermare”. Comincia così la sua storia Mohammed, che dalla Turchia ha camminato per giorni fino alla Bosnia ed Erzegovina, l’ultimo stato della rotta balcanica che confina con l’Unione europea. Lì è rimasto bloccato per mesi, vivendo in una fabbrica abbandonata, insieme con altri migranti e rifugiati provenienti da Siria, Iraq, Afghanistan, Libia o Pakistan.

Dopo l’ennesimo “game” ovvero il gioco, la parola che si usa tra coloro che cercano di attraversare il confine bosniaco-croato a piedi senza essere scoperti dagli agenti di polizia, Mohammed, insieme con il suo amico Omar, è riuscito ad arrivare in Croazia. La rotta migratoria poi prosegue verso la Slovenia, lo stato in cui i due migranti hanno provato ad arrivare almeno dieci volte e ogni volta sono stati picchiati e respinti. Ma oltre al comportamento violento della polizia croata, c’era anche qualcos’altro di macabro in quel viaggio: il filo spinato che le autorità slovene nel 2015 hanno iniziato a posizionare lungo la frontiera.

Il filo spinato tra Brod na Kupi e Petrina

La storia dei due protagonisti del documentario è seguita da quelle degli abitanti che vivono lungo la frontiera, in particolare nella zona del fiume Kupa, che divide i due stati, da una parte Brod na Kupi in Croazia e dell’altra, Petrina in Slovenia. In questa zona gli inverni sono molto freddi e le condizioni di vita non sono facili. Dato questo, in passato la popolazione locale si è unita, da un lato all’altro del confine ed oggi rappresenta un’unica comunità dove si parla anche il dialetto, che è un miscuglio tra sloveno e croato. Ma da quando il filo spinato è stato posizionato sulla riva del fiume, la vita non è più la stessa.

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Questo film fa parte del progetto “Borderline” del produttore belga Frederic Nicolai, che è stato dedicato ai diversi confini europei, raccontati attraverso sei documentari. Il documentario “Žica” è uscito nel 2021, ed è stato proiettato in diversi festival di cinema di tutta Europa. All’ultimo festival documentaristico di Zagabria ha vinto un premio da parte di FIPRESCI (Federazione internazionale della stampa cinematografica).

“Tutti sono contro il filo spinato. I profughi che cercano di attraversarlo, la gente locale, ma anche alcuni agenti della polizia che ora si ritrovano a fare respingimenti illegali”, dice la regista Gudac.

Tra coloro che pensano che il filo spinato non servi a nulla c’è anche lo sloveno Blaž, il protagonista del film. Insiema a sua moglie e la figlia minorenne, ogni giorno controlla la zona nel caso ci sia qualche migrante vicino da “catturare”. “Lo stato non ha protetto il confine abbastanza e per questo motivo, dobbiamo proteggerlo noi. Molti migranti sono riusciti ad attraversarlo. Forse era meglio mandare l’esercito qui”, racconta Blaž.

Un altro protagonista del documentario vive sul lato croato del fiume. Siccome in quel punto non c’è una strada, lui attraversa la Kupa con una piccola barca per fare la spesa in Slovenia. Molti altri cittadini, invece, hanno la casa da un lato e i campi dall’altro e in passato utilizzavano i piccoli ponti per attraversare il fiume. Ora questo non è più possibile, in quanto tutti i valichi minori sono stati chiusi e per attraversare le persone devono compiere giri molto più lunghi.

Prima che arrivasse la barriera anti-migranti costruita per bloccare l’ingresso dei rifugiati in Europa, ogni capodanno i cittadini delle due piccole comunità si incontravano sul ponte del fiume Kupa per festeggiare insieme. Un gesto simbolico di unità e fratellanza tra popoli. L’anno scorso, però, solo un sloveno e un croato si sono incontrati sul ponte, quando hanno lanciato nel fiume una ghirlanda con le scritte “Schengen” e “Covid”.

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“Il filo spinato non ferma i migranti e non risolve il problema. Anzi, spaventa e traumatizza delle persone che poi arriveranno comunque in Europa”, sostiene Gudac.

L’altro problema è la devastazione dell’ambiente. Il turismo che una volta era una fonte di guadagno importante dei cittadini locali non esiste più.

Un altro protagonista del film racconta che gli animali selvatici non riescono più a raggiungere l’acqua e che diverse volte avrebbe trovato alcuni animali morti intrappolati nei rotoli di “nastro spinato” che è molto più tagliente del normale filo spinato e può incidere la carne fino all’osso.

Dopo le numerose proteste della gente che vive lì e molti attivisti, le autorità slovene li hanno sostituiti con una recinzione sulla quale ora è collocato il filo spinato. Questa barriera è più lunga, più resistente ed anche un po’ meno pericolosa.

Un cervo ucciso dal filo spinato

La regista Tiha Gudac dice che durante la notte, mentre facevano le riprese, ha visto caprioli fermi davanti al recinto che probabilmente cercavano di arrivare al fiume. D’altra parte, gli abitanti che vogliono andare alla spiaggia e forse fare il bagno come una volta, ora devono usare i cancelli di ingresso che sono impostati sulla riva del fiume. Per aprire questi cancelli, ci vuole il permesso dalla polizia.

Negli ultimi cinque anni, le autorità slovene hanno postato più di 200 chilometri di filo spinato. Recentemente, il ministro degli Interni sloveno, Ales Hojs ha annunciato che vorrebbe collocare altri 50 chilometri per contrastare l’immigrazione clandestina.

La regista Tiha K. Gudac

“Ho l’impressione che non si voglia vedere la realtà. Si parla sempre di crisi migratoria, mentre la migrazione esiste e peggiorerà nei prossimi anni. Il filo spinato è solo una cosa simbolica, una scelta immatura dei politici”, conclude Gudac ed aggiunge che con il suo film voleva avvicinare il vero problema del nuovo muro europeo che oltre che a traumatizzare le persone che cercano di sopravvivere, separa e divide la vita delle comunità locali.

I due protagonisti del film, Mohammed e Omar sono sopravvissuti, e dopo un lungo viaggio hanno raggiunto la loro destinazione.

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Da sapere:

● Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), l’agenzia ONU che si occupa di migranti, soltanto nell’anno 2020 sono stati registrati 39.648 migranti in Serbia e 16.150 in Bosnia-Erzegovina, i due paesi più interessati dalla rotta.

● Secondo Frontex, l’agenzia europea sul controllo dei confini, dal primo gennaio al 30 aprile 2021, sono circa 11 600 migranti entrati in Ue tramite la rotta balcanica.

● I migranti che tentano di arrivare in Europa devono affrontare i rischi di annegamento, abuso, sfruttamento e violenza di genere ma anche il pericolo di saltare sulle mine di cui è disseminata la Bosnia Erzegovina. Il Centro d’azione contro le mine della Bosnia-Erzegovina stima che oltre 180.000 mine inesplose siano state lasciate nel terreno dalle guerre degli anni ’90.

● La Commissione Ue ha respinto la richiesta di finanziamento da parte di 12 paesi (Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia e Slovacchia) per la costruzione di muri al confine così da bloccare l’ingresso di migranti che arrivano dalla Bielorussia.


Profilo dell'autore

Tatjana Đorđević Simic
Tatjana Đorđević Simic
Corrispondente dall'Italia per vari media della Serbia degli altri paesi dell'ex Jugoslavia, vive in Italia dal 2006 e da allora ha collaborato con molte riviste di geopolitica italiane e internazionali. Attualmente scrive per Al Jazeera Balkans e per la versione in serbo della BBC. È membro dell'International Federation of Journalist e dal marzo 2020 è il Consigliere Delegato dell'Associazione Stampa Estera Milano

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