Le “Ugly Laws”, quando la diversità estetica era un crimine negli Stati Uniti

Dal 1867 al 1974, diverse città americane adottarono le cosiddette “ugly laws”, ordinanze che vietavano la presenza negli spazi pubblici di persone con disabilità fisiche visibili, malformazioni o malattie ritenute “ripugnanti” alla vista. Queste leggi rivelano un lato oscuro della gestione degli spazi urbani e la stigmatizzazione sociale dei corpi “non conformi”. Ma la loro storia non parla solo di esclusione: racconta anche di lotte per i diritti civili e di come il concetto stesso di “normalità” sia stato costruito e contestato.

Le origini delle “ugly laws”

Il primo testo legislativo di questo tipo venne approvato a San Francisco nel 1867. La legge stabiliva che “qualsiasi persona malata, storpia, mutilata o deformata in modo tale da costituire un oggetto ripugnante o disgustoso” non avrebbe potuto “esporre sé stessa alla vista pubblica”. Era consentita un’eccezione solo nel caso in cui la persona fosse oggetto di dimostrazione, come un esempio di “devianza” da correggere.

Questa logica rifletteva le ideologie vittoriane sulla povertà e la disabilità. I poveri, i mendicanti e le persone con disabilità non erano visti come individui bisognosi di aiuto, ma come simboli di “decadenza sociale”. Le istituzioni caritatevoli come la Charity Organization Society promuovevano un’idea di “aiuto morale” che scoraggiava la semplice elargizione di denaro ai mendicanti, incoraggiando invece la “riabilitazione morale” delle persone povere. Come scriveva William F. Slocum nel 1886, “Il pauperismo è una malattia della comunità, una piaga sul corpo politico, e, in quanto malattia, deve essere rimossa, nella misura del possibile”.

Chi erano i “brutti” secondo la legge?

Le “ugly laws” non facevano riferimento all’estetica soggettiva, ma prendevano di mira persone con disabilità fisiche visibili, amputazioni, cicatrici o malformazioni. Il linguaggio delle ordinanze parlava di “oggetti disgustosi e ripugnanti”, un’espressione che deumanizzava chi aveva corpi non conformi agli standard di bellezza e funzionalità dell’epoca.

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Queste ordinanze colpivano in modo particolare i veterani di guerra tornati dal conflitto civile americano con mutilazioni e disabilità. Uno dei primi arresti avvenne a San Francisco nel luglio 1867: la vittima fu Martin Oates, un ex soldato dell’Unione, accusato di aver violato la legge semplicemente camminando in pubblico.

Ma la legge non si limitava ai veterani. Le persone con malattie come la lebbra o la sifilide erano anch’esse nel mirino, così come gli amputati, i ciechi e i sordi, ma anche chi aveva movimenti “innaturali”, come un andatura zoppicante. Non erano risparmiati nemmeno gli immigrati cinesi, soprattutto a San Francisco, dove la comunità cinese venne sottoposta a quarantene forzate e segregazioni per timore della diffusione di malattie.

Il bersaglio più comune, tuttavia, erano i mendicanti. Le “ugly laws” impedivano loro di lavorare come venditori ambulanti, musicisti di strada o elemosinanti. L’idea di fondo era che la vista di corpi poveri e deformi avrebbe disturbato l’armonia estetica e morale dello spazio pubblico, oltre a suscitare il “senso di colpa” dei passanti.

La geografia delle leggi sulla bruttezza

Dopo il primo esperimento a San Francisco nel 1867, la legislazione si diffuse rapidamente. Nel 1881, il consiglio comunale di Chicago approvò la più nota e influente tra le “ugly laws”. Il testo dell’ordinanza recitava:

“Ogni persona malata, storpia, mutilata o in qualsiasi modo deforme, tale da costituire un oggetto disgustoso o improprio per essere ammesso nelle strade, autostrade o luoghi pubblici della città, non potrà esporsi alla vista pubblica sotto pena di una multa di 1 dollaro per ogni violazione.”

A Chicago seguirono Portland (Oregon) nel 1881Omaha (Nebraska) e Denver (Colorado) nel 1889Columbus (Ohio) nel 1894 e persino la città di Manila (Filippine) nel 1902, allora sotto controllo statunitense. Altre città, come New York, tentarono di approvare leggi simili ma fallirono. L’ultimo arresto documentato sotto una “ugly law” avvenne a Omaha nel 1974, quando un uomo senza fissa dimora, con evidenti cicatrici, fu fermato dalla polizia. Tuttavia, il caso non andò a processo: il procuratore sostenne che la definizione di “brutto” era troppo vaga per giustificare l’accusa.

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L’applicazione delle “ugly laws” non fu uniforme. Alcuni poliziotti le ignorarono, mentre altre città le applicarono con rigore. Le persone arrestate potevano essere multate o costrette a trasferirsi in case di lavoro forzato o ospizi per poveri.

Ma non mancarono atti di resistenza. Nel 1936, a Chicago, la polizia tentò di arrestare Ben Lewis, un uomo nero con una gamba amputata. Durante l’arresto, l’agente gli fece perdere l’equilibrio con un calcio. Quattro uomini bianchi intervennero a difesa di Lewis e una folla si radunò per opporsi all’arresto, costringendo la polizia alla ritirata.

L’eredità delle “ugly laws”

Le “ugly laws” iniziarono a essere abrogate a partire dagli anni ’60. Omaha abolì la propria legge nel 1967Columbus nel 1972 e Chicago nel 1974, ponendo fine a un’epoca di discriminazione legalizzata. Ma la logica dietro queste ordinanze è ancora viva. Oggi, politiche come il “design anti-senzatetto” — panchine con braccioli centrali per impedire alle persone di sdraiarsi — proseguono la stessa tradizione: rimuovere i corpi non desiderati dallo spazio pubblico.

Queste leggi hanno anche contribuito a plasmare le moderne politiche di disabilità e inclusione. La lotta per i diritti civili degli anni ’60 e ’70, così come la spinta verso l’approvazione del Rehabilitation Act (1973) e del Americans with Disabilities Act (1990), utilizzarono le “ugly laws” come esempio di discriminazione sistemica.

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Il termine “ugly laws” fu coniato nel 1975 da Marcia Pearce Burgdorf e Robert Burgdorf Jr., due attivisti che ne rivelarono l’assurdità. Grazie al loro lavoro e alla pressione del movimento per i diritti delle persone con disabilità, si arrivò a una riflessione più ampia sul concetto di “normalità”.

Oggi, la domanda che resta non è se sia giusto o meno rimuovere i “corpi disturbanti” dallo spazio pubblico. La vera domanda è: Chi decide cosa è disturbante? E per chi?


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