Yasuke, il samurai africano che stupì il Giappone del XVI secolo

Arrivato dall’Africa al Giappone dei daimyo, Yasuke divenne il primo samurai nero della storia. Guerriero, servitore e icona vivente di un incontro di mondi, la sua vicenda è avvolta nel mito e nella leggenda. Ma tra cronache giapponesi, lettere gesuite e testimonianze frammentarie, il suo nome continua a essere simbolo di fascino senza tempo.

Da sconosciuto a leggenda

Le origini di Yasuke rimangono incerte. Alcuni storici sostengono che fosse originario del Mozambico, altri ipotizzano che venisse dal Sudan o dall’attuale Etiopia. Tuttavia, il punto di partenza della sua storia è chiaro: Yasuke arrivò in Giappone nel 1579 al seguito di Alessandro Valignano, un alto funzionario gesuita incaricato di supervisionare le missioni cattoliche in Asia.

Si dice che Yasuke fosse alto oltre sei piedi (circa 1,82 metri) e dotato di una forza straordinaria. Le cronache giapponesi descrivono la sua potenza fisica come “superiore a quella di dieci uomini”. La sua presenza nelle città giapponesi suscitò un clamore tale che la folla si accalcò nelle strade per vederlo, causando persino il crollo di alcuni edifici a Sakai. La sua pelle nera, mai vista prima in Giappone, diventò un simbolo di esotismo e curiosità.

Non era però il primo africano a mettere piede sull’arcipelago. Già dal 1543, i portoghesi avevano iniziato a commerciare con il Giappone, portando con sé marinai, mercanti e servitori africani. Tuttavia, Yasuke non sarebbe rimasto un volto tra la folla.

L’incontro con Oda Nobunaga

La svolta arrivò nel 1581, quando Yasuke fu presentato a Oda Nobunaga, il potente daimyo che cercava di unificare il Giappone dopo decenni di guerre intestine. L’incontro è narrato con toni vividi nel “Shinchō Kōki”, la cronaca ufficiale di Nobunaga, e nelle lettere di Luís Fróis, un gesuita portoghese residente in Giappone.

La reazione di Nobunaga fu sorprendente. In un misto di incredulità e curiosità, ordinò a Yasuke di spogliarsi dalla vita in su e di lavarsi, convinto che il nero della sua pelle fosse in realtà inchiostro o pittura. Solo dopo aver constatato che il colore era naturale, Nobunaga comprese di trovarsi di fronte a qualcosa di eccezionale.

Ma l’ammirazione non si fermò lì. Yasuke non era solo uno spettacolo da osservare: Nobunaga decise di tenerlo con sé. Gli diede una casa, una paga e, soprattutto, una spada — simbolo e prerogativa della classe samurai. Non esistono prove che Yasuke abbia ricevuto il titolo ufficiale di samurai, ma possedere una spada e servire come guardia del corpo personale di un daimyo erano tratti distintivi di questa classe d’élite.

La testimonianza del gesuita Lourenço Mexía racconta che Nobunaga non si stancava mai di parlare con Yasuke. Nonostante le barriere linguistiche, i due si comprendevano. Yasuke iniziò a imparare il giapponese e, in poco tempo, si guadagnò la fiducia del suo signore.

Il guerriero al fianco del daimyo

Tra il 1581 e il 1582, Yasuke accompagnò Nobunaga nelle sue spedizioni militari. La sua presenza è attestata nelle cronache di Matsudaira Ietada, vassallo del futuro shōgun Tokugawa Ieyasu, che racconta di come Yasuke affiancò Nobunaga durante l’ispezione delle terre conquistate ai Takeda, un clan nemico appena sconfitto.

Questi dettagli non sono irrilevanti. Essere al fianco di un daimyo sul campo di battaglia era un onore riservato a pochissimi uomini di fiducia. E Yasuke non era solo un servitore o uno spettatore: era parte della macchina bellica che stava forgiando il Giappone moderno.

Il culmine della sua avventura arrivò però in una notte di tradimento e fuoco.

La caduta di Honnō-ji e l’oblio di Yasuke

Il 21 giugno 1582, Yasuke si trovava con Nobunaga nel tempio di Honnō-ji a Kyoto, una delle sue residenze. Ma quella notte, il suo vassallo Akechi Mitsuhide si ribellò, circondando il tempio con centinaia di soldati. Yasuke lottò fianco a fianco con Nobunaga contro forze superiori.

Nobunaga, consapevole dell’impossibilità di fuggire, scelse la via del seppuku, il suicidio rituale, per sottrarsi all’umiliazione della cattura. Yasuke, invece, fu catturato. Ma Mitsuhide prese una decisione insolita: risparmiò la vita a Yasuke e lo consegnò ai gesuiti. Non è chiaro il motivo del suo gesto. Forse Mitsuhide non considerava Yasuke “degno” di essere ucciso come i samurai giapponesi, oppure desiderava evitare la condanna dei gesuiti.

Dopo la caduta di Nobunaga, Yasuke scompare dalla storia. Non ci sono più cronache su di lui. Non sappiamo se rimase in Giappone, se tornò in India con i gesuiti o se proseguì altrove la sua vita. Le teorie abbondano: qualcuno sostiene che sia stato riportato a Goa, altri ipotizzano che abbia continuato a vivere in Giappone come servitore dei gesuiti.

Tuttavia, Yasuke non svanì del tutto. La sua memoria rimase nelle cronache giapponesi e in alcuni artefatti. Un esempio è la rappresentazione di un uomo di pelle scura in un byōbu (paravento) del 1605 raffigurante una lotta di sumo. Alcuni storici ipotizzano che l’uomo ritratto sia Yasuke, ma il dibattito rimane aperto.

Da uomo a simbolo

Yasuke oggi è più famoso che mai. Libri, fumetti, serie tv e videogiochi lo hanno trasformato in un’icona. Netflix gli ha dedicato una serie anime, e il suo personaggio compare in videogiochi come Nioh e Samurai Warriors 5. Il regista Takeshi Kitano lo ha inserito nel film storico “Kubi” (2023), e Hollywood ha in programma un lungometraggio con Yasuke come protagonista.

Ma cosa rappresenta davvero Yasuke?

Non era il primo africano a mettere piede in Giappone. Non era neppure l’unico straniero a servire un daimyo. Eppure, la sua storia spicca come un raro esempio di ascensione sociale e di incontro tra culture lontane. Un uomo strappato dalla sua terra, portato in paesi stranieri e gettato in mezzo alle guerre del Giappone, che seppe farsi accettare e rispettare.

Molti samurai sono diventati eroi grazie ai poemi, ai racconti orali e ai kabuki. Yasuke non ha avuto questa fortuna. Ma oggi il mondo lo sta riscoprendo. La sua storia non è solo quella di un guerriero straniero in un paese lontano. È la storia di un uomo che, da servitore, divenne samurai.

E forse, è proprio in questo atto di trasformazione che risiede la sua vera leggenda.


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