I disertori polacchi che liberarono Haiti dal dominio francese

Se si dovesse raccontare del gruppo di soldati polacchi arrivati a Haiti all’inizio del XIX secolo, si rischierebbe di cadere nel mito. Napoleone lì mandò per sedare una rivolta di schiavi, ma poi cambiarono bandiera e si schierarono con gli insorti. Contribuendo alla nascita della prima repubblica nera indipendente della Storia. Potrebbe essere la trama di un film, eppure è successo davvero. La storia dei polacchi di Haiti è retta da un filo che unisce l’Europa napoleonica e il mondo coloniale caraibico in un modo che nessuno avrebbe potuto prevedere. E che vale la pena raccontare nei suoi dettagli più sorprendenti.

Napoleone e la spedizione di Santo Domingo

Per capire come un contingente polacco sia finito nei Caraibi, bisogna partire dall’epoca napoleonica. Dopo la Rivoluzione francese, la colonia di Saint-Domingue (l’attuale Haiti) fu scossa da una serie di rivolte di schiavi, guidate da figure come Toussaint Louverture e, successivamente, Jean-Jacques Dessalines. Queste rivolte, che ebbero il loro punto di svolta nel 1791, portarono progressivamente all’abolizione della schiavitù e alla presa di potere da parte degli ex schiavi.

Napoleone Bonaparte, però, non aveva intenzione di perdere la colonia più ricca dell’impero francese, che con le sue piantagioni di zucchero e caffè costituiva una risorsa economica enorme. Nel 1801, firmò una tregua con Austria e Inghilterra per avere più truppe disponibili e le inviò nei Caraibi per soffocare la rivolta, riconquistare l’Isola e ripristinare il dominio francese. Tra questi soldati, c’erano circa 5.200 legionari polacchi dell’esercito napoleonico, comandati dal generale Władysław Jabłonowski.

Ma perché i polacchi? Il motivo è legato alla geopolitica dell’epoca. La Polonia, dopo la terza spartizione del 1795, non esisteva più come Stato indipendente. Napoleone, che si presentava come il grande liberatore delle nazioni oppresse, aveva attirato molti polacchi alla sua causa, promettendo la restaurazione della Polonia. Così, quando nel 1797 formò le Legioni polacche, in molti si arruolarono come volontari, sperando che combattendo per Napoleone avrebbero ottenuto in cambio la rinascita della loro patria.

Nel 1802, però, Napoleone ordinò che una parte delle legioni fosse inviata a Saint-Domingue per aiutare a reprimere la rivolta. Il contingente di soldati polacchi partì da Livorno per Cap-Français, l’attuale Cap-Haïtien. Ma per molti di loro, questa non era esattamente la guerra che speravano di combattere: si aspettavano di battersi contro la Russia o l’Austria per la libertà della Polonia, non di essere mandati dall’altra parte del mondo per schiacciare l’insurrezione di schiavi africani che combattevano per la propria libertà contro i grandi proprietari coloniali.

Dalla guerra alla diserzione

Una volta sbarcati, i polacchi si trovarono di fronte a condizioni spaventose. Il caldo tropicale e le malattie – in particolare la febbre gialla – decimarono le truppe europee: si stima che solo circa 1.500 dei 5.200 polacchi sopravvissero al primo anno. E la guerra era feroce: gli insorti haitiani combattevano con una determinazione assoluta, perché sapevano che la loro sopravvivenza dipendeva dalla vittoria.

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In pochi mesi di guerra, qualcosa cominciò a cambiare. I polacchi, che avevano sempre visto se stessi come un popolo oppresso, iniziarono a provare empatia per i ribelli haitiani, che combattevano per un ideale di libertà in cui loro stessi si riconoscevano. A questo si aggiungeva un elemento molto più pratico: i francesi li trattavano come carne da cannone, mandandoli nelle battaglie più sanguinose e spesso senza neppure pagarli con regolarità. Da qui, molti legionari cominciarono perciò a porsi domande: perché stavano combattendo per una potenza imperiale che aveva appena soppresso la libertà della loro nazione? Perché stavano cercando di schiacciare una rivolta di uomini che, in fondo, lottavano per la propria indipendenza, proprio come loro avrebbero voluto fare in Polonia?

A questo punto, per molti polacchi, la questione non fu più solo morale, ma anche di sopravvivenza. Circa 500 di loro cambiarono schieramento e si unirono ai ribelli, mentre altri, pur rimanendo nell’esercito francese, rifiutarono di eseguire gli ordini più crudeli, come massacrare i prigionieri. Studi storici come quelli di Philippe Girard (The Slaves Who Defeated Napoleon, 2011) e Jan Pachonski con Reuel K. Wilson (Polish Legions in the Napoleonic Wars, 1998) riportano che un numero rilevante dei polacchi inviati da Napoleone nel 1802 disertò progressivamente dalle file francesi: alcuni di questi combatterono apertamente al fianco degli insorti, mentre altri semplicemente si rifiutarono di proseguire la guerra. Questa transizione è attestata anche da documenti francesi dell’epoca, che segnalarono episodi di diserzione tra i polacchi, molti dei quali rifiutarono di combattere o passarono dalla parte della rivoluzione (Dziewanowski, Poles in the Haitian Revolution, 1972). Fu in questo contesto che uno dei protagonisti della rivoluzione, Boisrond-Tonnerre (se non lo stesso Dessalines, secondo altre fonti), coniò un’espressione destinata a rimanere nella storia: “i polacchi sono i negri bianchi d’Europa”.

I polacchi haitiani dopo la rivoluzione

Quando Haiti dichiarò l’indipendenza nel 1804, il presidente Jean-Jacques Dessalines riconobbe il ruolo fondamentale che ebbero i polacchi e li risparmiò dal massacro che invece colpì quasi tutti gli altri europei rimasti sull’isola. E fece di più: nella costituzione del 1805, dichiarò che i polacchi avrebbero avuto lo status di “Noir”, equiparandoli agli ex schiavi nella nuova società haitiana e concedendo loro la cittadinanza. Un’eccezione davvero unica, dato che il documento promulgato da Dessalines proibiva agli altri europei di stabilirsi sull’Isola o possedere terre.

Dopo l’indipendenza di Haiti, centinaia di disertori decisero di rimanere sull’Isola. Oggi, la nona generazione dei loro discendenti conserva ancora la memoria delle legioni polacche. Se il villaggio di Cazale è considerato il cuore di ciò che resta della comunità de “La Pologne“, la diaspora si stabilì anche in altre località, tra cui La Vallée-de-Jacmel, Fond-des-Blancs, La Baleine, Port-Salut e Saint-Jean-du-Sud. A prima vista il legame con la Polonia può sembrare invisibile, ma un occhio attento può coglierne i segni.

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Luoghi, cognomi e modi di dire

In alcuni villaggi, tra cui Cazale, si possono tuttora trovare persone con tratti somatici europei, acconciature femminili che ricordano quelle tipiche della tradizione slava e cognomi di origine polacca.

Proprio il nome Cazale potrebbe derivare dall’espressione creola Kay Zalewski, che significa “casa di Zalewski”, un cognome polacco molto diffuso. Questa ipotesi suggerisce che un disertore polacco con quel nome si sia stabilito nell’area, dando origine al toponimo. L’adattamento fonetico di nomi polacchi nella lingua creola è un fenomeno osservabile anche in altri cognomi tuttora presenti a Haiti, come Jakubek, Kowalski, Nowak, Czartoryski, Walewski e Krasicki, trasformatisi nel tempo nella pronuncia e nell’ortografia locale.

Ma il legame tra Polonia e Haiti sopravvive anche nella lingua. Alcune espressioni tipiche del creolo haitiano hanno chiaramente origine polacca. Per esempio “Chajé kou Lapologn” (“Attaccare come fanno i polacchi”), riferito a una carica massiccia ed efficace, “Là-bas en Pologne” (“In Polonia…”), usata per introdurre racconti leggendari, oppure “M-ap Fe Krakow” (“Fare qualcosa alla maniera di Cracovia”), che significa eseguire un compito con estrema attenzione e precisione.

Spiritualità

Un’altra traccia della presenza polacca del XIX secolo è ancora visibile nella spiritualità haitiana contemporanea. Le immagini popolari di Ezili Dantor, divinità legata alla maternità e alla protezione nonché tra i più importanti elementi del Voodoo haitiano, somigliano in modo impressionante alla Madonna Nera di Częstochowa, l’icona sacra più venerata della Polonia, custodita nel Monastero di Jasna Góra sin dal XIV secolo.

Com’è possibile? La spiegazione sta, ancora una volta, in quei soldati polacchi. Molti di loro portavano con sé piccole icone della Madonna Nera, una presenza familiare nei momenti di incertezza e pericolo. Gli haitiani integrarono questa figura nelle loro credenze, reinterpretandola secondo la propria tradizione religiosa. E così, in un processo di fusione culturale che nessuno avrebbe potuto prevedere, la Madonna Nera di Częstochowa divenne Ezili Dantor, e ancora oggi la sua immagine è venerata nelle pratiche spirituali haitiane.

Mercenari, giramondi e pirati

Ma, ovviamente, non tutti i polacchi rimasti a Haiti avevano voglia di sistemarsi in un villaggio rurale e condurre una vita tranquilla. Alcuni riuscirono a rientrare in Europa per continuare a combattere con Napoleone, altri presero la via degli Stati Uniti, e poi c’era chi scelse un destino più avventuroso, diventando corsaro o pirata.

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Uno di questi era Kazimierz Lux, che si ritrovò al comando di una banda di sessanta corsari, metà polacchi e metà francesi, imbarcati su una nave chiamata Mosquito. Il manipolo di fuorilegge si dedicava a saccheggiare mercantili, finché le sue scorribande non attirarono l’attenzione della Royal Navy britannica. Per settimane l’equipaggio riuscì a sfuggire agli inseguitori, ma alla fine furono costretti a combattere. Il Mosquito resistette, riuscì a respingere l’attacco e Lux e i suoi uomini poterono godersi il bottino.

Meno fortunato fu Wincent Kobylański, che anch’egli cercò di sfruttare le sue conoscenze nell’esercito francese per entrare nel giro della pirateria. Veleggiò attraverso i Caraibi, facendo tappa anche in Giamaica, ma la sua carriera ebbe un epilogo brusco e definitivo: venne avvelenato da un compagno bucaniere.

C’era poi Ignacy Blumer, che riuscì a lasciare Hispaniola con un gruppo di ex legionari a bordo di una nave concessa dai francesi. Blumer ne prese il comando e si diede alla pirateria nelle acque di Cuba, finché un giorno la Royal Navy lo intercettò e la sua nave subì gravi danni. Riuscì comunque a fuggire e a raggiungere la Florida, dove cominciò le riparazioni. A quel punto, il suo equipaggio gli suggerì di fondare una colonia polacca sulla penisola – una sorta di “Piccola Varsavia” nel Nuovo Mondo. Blumer non ne volle sapere. L’unica patria per cui era disposto a combattere era la Polonia, e così, riparata la nave, fece rotta per l’Europa, deciso a rimettersi al servizio di Napoleone.

Ma a prescindere da ciò che fecero dopo la guerra, i polacchi di Haiti furono protagonisti di una vera e propria epopea romantica. Assoldati per reprimere una ribellione, finirono per combattere al fianco degli insorti, trasformando una spedizione punitiva in un boomerang per l’impero francese. La missione si concluse in un disastro, Napoleone perse per sempre la sua colonia più ricca. E con quel tradimento, fu scritta una delle pagine più incredibili della storia moderna.


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