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The Security Council fails the UN again and journalists Marie Colvin and Remi Ochlik killed in Syria

di Alessandro Batazzi “Sunday Times” correspondent Marie Colvin and photographer Remi Ochlik died Wednesday as a result of the regime’s shelling of the city of Homs. Colvin was the only British journalist reporting from the besieged Baba Amr. In her last report she told the stories of Homs, such as that of a “widow’s basement”, a basement occupied by “frightened women and children trapped in the horror of Homs, the Syrian city shaken by two weeks of relentless bombardment”[1].   Colvin and Ochlik are not the only victims, as “The Guardian” reports that two other foreign correspondents were wounded and other Syrian activists and bloggers have been killed[2]. With the situation escalating, the international community is running out of excuses not to intervene in what clearly is a humanitarian disaster.…
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Indonesia, una nuova chance dopo la Jihad

di Federica Marsi L’ultima mossa del governo indonesiano nella lotta al fondamentalismo islamico è l’istituzione di un Consiglio Nazionale Antiterrorismo con il compito di organizzare veri e propri istituti di rieducazione religiosa per il reinserimento nella società di ex o presunti terroristi. L’idea sarebbe nata nel febbraio dello scorso anno a seguito della scoperta di un campo di addestramento nella provincia di Aceh. Delle 73 persone arrestate, 14 erano ex detenuti in libertà da pochi mesi. Questo ha portato ad una riflessione sull’efficacia del metodo detentivo, che studi successivi hanno dimostrato essere controproducente. Gli analisti sostengono che nelle carceri indonesiane i detenuti trovino terreno fertile per radicalizzare la propria fede, per poi uscire avendo maturato idee ancor più estremiste. Il progetto delle scuole di rieducazione nasce da un idea di…
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Yassine Baradai: “Vi racconto la vita dei profughi libici”

Il 4 marzo 2011, Yassine Baradai (media manager di Islamic Relief Italia) ha intrapreso un viaggio significativo verso il Campo di Ras Jdir, posizionato sulla linea sottile che divide la Tunisia dalla Libia. In un momento in cui la crisi libica si aggrava, diventando sempre più complessa e dolorosa, la testimonianza di Yassine acquisisce un valore inestimabile, offrendoci uno sguardo autentico sul cuore pulsante di una tragedia umana che continua a svolgersi lontano dagli occhi del mondo. Yassine, cosa ti ha portato a Ras Jdir? Abbiamo avuto, all’inizio della crisi, un’appello da parte del nostro ufficio del Cairo. Abbiamo subito voluto subito accogliere questo segnale e abbiamo voluto lanciare l’appello. Siamo stati i primi in Italia come associazione a lanciare un sos. Come siete arrivati al confine? Quali difficoltà avete…
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