Fenomenologia di Primark

Miei cari maschietti, così ci chiamano quando devo parlare di noi le nostre corrispettive femminili, oggi mi dedico a voi. Voi che vi fareste semplicemente un giro per il centro città, una bella cena in qualche ristorante esotico nel caso amaste esplorare oppure alla ricerca di un raro ristorante genuinamente italiano, un bel pub caratteristico e poi in stanza perché “c’ho sonno, non c’ho manco internet e devo vede’ che ha fatto la Magica!”. Quanto vi capisco. Chi meglio di noi sa che questa giornata ideale non la vivremo mai visitando qualsiasi posto al mondo, nella fattispecie Londra?
Qui l’aggravante è che è tutto moda, è un continuo flusso di negozi di vestiti, scarpe, borse, gingilli costosi da portarsi appresso. La giornata in realtà diventa un trascinarsi tra Oxford Street, Regent Street e Piccadilly e sei particolarmente sfortunato magari ti trascinano ai centri commerciali Westfield, o in qualche mercatino vintage tra charity shop e negozi in cui paghi i vestiti al chilo.
Ma per quanto sfortunati possiate essere, c’è un posto che in assoluto minerà la vostra pazienza, metterà a dura prova la vostra soglia di sopportazione; Primark.
Tappa fissa per ogni essere vivente che si avvicini a Londra, è un gigantesco negozio su più piani rifornito di qualsiasi cosa possiate immaginare di poter indossare, il tutto a cifre più che economiche. È una trappola da cui non potete liberarvi, perché sulla diabolica Oxford Street ne incontrerete due, ai due lati opposti di Marble Arch e Tottenham Court Road; siete spacciati fratelli, una volta imboccata quella via il vostro destino è segnato.
Ogni volta che entro da Primark una parte di me muore. Magari poi trovo anche qualche maglietta carina, delle felpe, dei pantaloni e spendo come una maglietta in un negozio regolare, ma vogliamo parlare dell’esperienza che ti regala?
Donne completamente coperte che buttano nei cestini cose su cose senza guardarle tanto non gliele vedrà nessuno addosso, italiane che in preda a raptus da furia dello shopping data dall’assenza di Primark nel Paese d’origine vorticano per i piani spazzando in aria qualsiasi cosa abbia la sfortuna di incrociare il loro raggio d’azione, ragazze che hanno anche il coraggio di fare una fila infinita per provare delle t-shirt dal valore di 4£ che qualora non ti entrassero potresti usarle come stracci e guadagnarci lo stesso, e poi quelli al reparto di cose per la casa, quelli al reparto valigie, il reparto accessori che è l’inferno in Terra per una persona affetta da DOC.
Troverete rifugio, insieme ad altri poveri cristi, nel reparto maschile che seppur trafficato appare un’oasi nel deserto col suo discreto ordine, la sua quiete, le sue t-shirt coi supereroi e i maglioni alla moda, ma non illudetevi perché non durerà; lei verrà a prendervi per farvi prendere qualcosa e così faranno tutte le altre “lei” di ogni povero “lui” con cui hai scambiato uno sguardo comprensivo, consolatorio. Invaderanno senza pietà anche l’unico spazio che non le apparteneva e una volta per tutte dimenticherete il significato della parola “speranza”.
Quando finalmente avrete perso la cognizione del tempo, e comincerete a muovervi senza sapere dove stiate andando vi ritroverete alla cassa, l’ultimo ostacolo verso la libertà. A giudicare dal resto questo dovrebbe essere l’atto più duro, e nell’avvicinarvi alla coda labirintica che se messa per esteso mi porterebbe in aeroporto dovreste avvertire quella sensazione di vuoto nel petto quando sai che sei spacciato, che la tua vita è giunta al capolinea eppure, forse saranno quelle rassicuranti luci blu che compongono la scritta PRIMARK dietro le casse, vi sentite sollevati, certi di aver passato il peggio e vicini alla fine.Ed è così, grazie alle circa 20 casse operative nello stesso istante.
E allora ringraziatele, innalzate statue bronzee per le casse, omaggiate i cassieri di Primark ogni volta che ne uscirete vivi, perché da quel momento non sarete più gli stessi.

Gianluca Casciotti


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