“Lotteremo per un Biafra indipendente attraverso la pace”

Intervista di Joshua Evangelista

A quarantasei anni dalla fine della guerra del Biafra, il sud e il sudest della Nigeria sono nuovamente in fibrillazione. Il 14 ottobre Nnamdi Kanu, direttore di Radio Biafra e leader dell’Indigenous people of Biafra – IPOB, uno dei principali movimenti per l’indipendenza dell’area dalla giurisdizione di Abuja, è stato arrestato nei pressi di Lagos dal dipartimento dei servizi di stato con le accuse di cospirazione, terrorismo e intimidazione. Sebbene l’Alta corte federale di Abuja abbia ordinato il suo rilascio immediato, Kanu è ancora sotto custodia. L’arresto dell’attivista, cittadino britannico di stanza a Londra, ha portato a numerose manifestazioni in tutte le principali città del sudest del paese, spesso placate dai militari con arresti e uccisioni. Su YouTube proliferano video in cui si vedono poliziotti in borghese e militari sparare contro persone disarmate. Lo scorso 9 febbraio più di venti persone appartenenti al movimento secessionista sono morte durante una preghiera collettiva nel cortile dell’Ibo National High School di Aba dopo essere state circondate da militari e polizia. Mentre la diaspora biafrana si sta organizzando per pagare i funerali delle vittime e i costi del processo al loro leader, abbiamo contattato il coordinatore mondiale dell’IPOB, Clifford Iroanya, per capire quali sono i motivi di questa nuova spinta secessionista e verso quali scenari si potrebbe andare incontro qualora il loro leader non venisse liberato. Iroanya, ingegnere della Shell in Nigeria fino al 2006, coordina il movimento per l’indipendenza da Houston, dove continua a lavorare nel campo del petrolio. “Cittadino americano?”, gli chiediamo. “No, cittadino del Biafra costretto ad accettare una cittadinanza straniera perché la mia identità nazionale mi viene negata”.

Dottor Iroanya, diversi analisti internazionali temono una nuova guerra civile. Hanno ragione a preoccuparsi?

Non è una guerra civile, è un massacro. Una guerra può essere definita civile quando c’è un conflitto interno ad una nazione. Vivo negli Usa, dove nell’Ottocento un conflitto tra nordisti e sudisti divisi sulla questione della schiavitù ha dato vita a una guerra civile. Ecco, affinché ci sia una guerra devono esserci due fazioni. Non è questo il caso. Io lo chiamo genocidio. Non ci sono state reazioni armate da parte dei biafrani. I militari sparano sui manifestanti, ci sono alcuni video che lo dimostrano, stanno depositando cadaveri in fosse comuni.

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Clifford Iroanya, coordinatore mondiale dell’IPOB

Questo vuol dire che non risponderete alla repressione con la lotta armata?

Nessuno di noi parla di lotta armata. Vogliamo un’indipendenza pacifica. Le Nazioni Unite e le altre grandi istituzioni internazionali come l’Unione europea devono riconoscere che questo popolo ucciso, devastato e costantemente minacciato deve essere liberato. Tutto qui. Siamo pacifici e perseguiamo la via della non violenza. Ma pretendiamo di essere ascoltati.

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Quindi non sono previste azioni di rappresaglia?

Siamo sempre stati non violenti. Siamo per la bellezza della vita. È proibito nel Biafraland prendere la vita di qualcun altro. Siamo stanchi del sangue. Mentre loro continuano a ucciderci, a noi rimane solo una bandiera a cui appigliarci. Quella del Biafra.

E come si raggiungerebbe l’indipendenza?

Creando consapevolezza all’esterno. Nel ’67 gli inglesi placcarono ogni nostro tentativo di alzare la voce per farci ascoltare. Tuttora nelle scuole nessuno insegna cosa successe durante il massacro, che per noi è stato genocidio. Ogni volta dobbiamo implorare i media per avere uno spazio.

Perché lottare per l’indipendenza invece di concentrarsi sulla richiesta di maggiori diritti per gli abitanti del sudest?

Il concetto di nazione è diverso da quello di paese. Una nazione è formata da persone con un sistema di valori condivisi. Possiamo idealmente dire che in Nigeria ci sono tre nazioni portatori di valori che non convergono. Nel nord della Nigeria c’è un sistema di valori feudale; nella parte occidentale del paese c’è una concezione monarchica della vita pubblica. Nel Biafra, al contrario, c’è un sistema di valori repubblicano: crediamo di essere tutti uguali davanti a Dio. E non è consigliabile che nazioni con concezioni così diverse condividano un territorio. È una perdita di risorse umane e di tempo lottare per essere uniti quando non si può. Noi vogliamo relazionarci e avere dei buoni rapporti con i nostri vicini, ma nella nostra indipendenza.

Quanto conta la religione in questa concezione politica?

Biafra vuol dire ‘vieni e unisciti a noi’. La parola Biafra è la composizione di due parole igbo: “bia”, che vuol dire ‘vieni’, e “fara”, che possiamo tradurre con unirsi. Siamo una nazione tollerante. Senza restrizioni per nessuno, finché la tua religione non venga imposta, non diventi una religione di stato e non si confonda la cittadinanza con l’appartenenza alla religione. Non tutti sono consapevoli che la Nigeria è membro dell’Organizzazione delle nazioni musulmane. Nella costituzione sia afferma che si tratta di un paese laico ma ciò non è vero: nel testo costituzionale la parola “sharia” è menzionata 73 volte, “islam” 28 volte, “musulmano” 10. Parole chiave dell’altro grande ceppo religioso del paese come “cristianesimo”, “chiesa” e “Cristo” hanno zero menzioni. Nel capitolo 6 della costituzione c’è un interno articolo, il 261, a proposito della corte d’appello della sharia. Come si può? Non possiamo forzare nessuno a seguire una religione.

Perché non puntare a una riforma del federalismo, con una concentrazione della gestione delle risorse all’interno dei singoli stati?

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Non funzionerà mai, non con questa costituzione. Senza libertà politica non c’è libertà economica. Le tasse che paghiamo vanno al congresso di Abuja e quasi tutte le istituzioni militari sono del nord. Indipendenza, solo questa è la via.

Perché il movimento per la liberazione del Biafra è tornato a far paura adesso, dopo quasi mezzo secolo dalla guerra civile?

Ci sono varie ragioni. Prima di tutto, noi crediamo che le risorse e l’ambiente che ci circonda possano essere la chiave per vivere bene. Abbiamo le competenze e le energie per diventare uno dei paesi più sviluppati. D’altro canto, chi governa praticando un sistema politico feudale si aspetta che noi rimaniamo sempre sottomessi e che ci accontentiamo delle molliche che cadono dal tavolo. Ovviamente queste persone si sono sempre sentite incoraggiate dal fatto che i britannici le misero al potere, in questo stato chiamato Nigeria, affinché potessero arricchirsi rispondendo solo al padrone occidentale. Ma oggi abbiamo le risorse e un popolo che ha studiato e conosce i propri diritti. E questo spaventa il governo centrale. Hanno una paura terribile del fatto che noi possiamo chiedere ciò che ci spetta.

Qual è il ruolo della diaspora in questa nuova consapevolezza?

Siamo in costante rapporto con chi vive lì. Li consigliamo, ci preoccupiamo dei loro processi: non è facile rimanere lucidi quando si è in costante oppressione. Facciamo la “conta” dei morti, progettiamo strategie.

C’è chi accusa il movimento di essere formato principalmente da giovani ideologizzati che non conoscono cosa è successo durante la guerra e che sono totalmente lontani dai veri bisogni della gente.

Io ero adolescente durante la guerra, so cosa è successo. Ad ogni modo, è un’idea folle: non è necessario aver vissuto il massacro per esserne consapevoli. Quello che hanno vissuto i padri viene raccontato ai figli.

Perché tanta attenzione dello stato verso Nnamdi Kanu?

Di persone come Kanu ne nascono una ogni milione. È onesto, integro. Ma soprattutto concreto. Non si fida delle promesse. Non vuole parole. Quello che dice deve essere fatto. E questo atteggiamento sta inspirando una nuova generazione di biafrani. È molto abile nel decostruire tutta la propaganda contro di noi. E questo è un grande pericolo per chi governa la Nigeria.

Cosa ne pensa dei movimenti di liberazione del Delta del Niger, che sembrano così tanto vicino alle vostre battaglie negli ultimi tempi?

Partiamo da un presupposto fondamentale. Quella terra è conosciuta come Biafra da tanti secoli. Poi ci hanno chiamato Eastern Nigeria. Infine è spuntata la dicitura Delta del Niger e la delineazione geografica del South-South per indicare gli stati intorno alla foce del fiume. Tutto ciò è ridicolo, in nessun altro stato esiste il sud-sud: solo in Nigeria i punti cardinali non vengono rispettati! È la classica strategia del dividi et impera. In realtà siamo tutti abitanti del Biafra. Prima ci dividono, poi ci dicono che lottiamo solo per accaparrarci le risorse. Così alcuni giovani che hanno subito questo lavaggio del cervello si fanno chiamare “Niger Delta Militants”. Il nome è concettualmente sbagliato, secondo me. Così come il concentrare la lotta solo sulle risorse.

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Cosa è cambiato verso di voi con l’elezione del nuovo presidente, Muhammadu Buhari?

Dobbiamo prima spiegare chi è Buhari. È uno che si è unito all’esercito nel 1961. Che non ha mai concluso un ciclo di studi e che la cui istruzione è perciò bassa e non certificata. Quindi stiamo parlando di un presidente non qualificato. Secondo punto: non è “nuovo”. Nel dicembre del 1983 con un colpo di stato ha mandato all’aria un governo eletto democraticamente. Dovrebbe essere in prigione e invece è il presidente di tutti. Da quando c’è lui abbiamo visto molte più uccisioni e massacri verso i civili, in una proporzione che oserei definire “geometrica”. Niente di simile si è mai visto dagli anni Settanta. Per non parlare della sua “lotta” a Boko Haram.

Si spieghi meglio.

Buhari viene dal nord. In una dichiarazione ufficiale ha asserito che un attacco contro Boko Haram è un attacco contro il nord. Boko Haram lo aveva precedente indicato come capo negoziatore. Credete che sia la persona adatta a combatterlo? Noi no. Basti pensare che Boko Haram ha ucciso più persone da quando Buhari è in carica che dalla costituzione stessa del gruppo terroristico, nel 2009.


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