Il Mozambico e il suo popolo secondo “Il racconto di Nadia”

di Ilaria Bassi

Il racconto di Nadia, seconda opera della scrittrice Amilca Ismael, originaria del Mozambico ma di adozione italiana ormai dal 1986, pubblicato dal gruppo Albatros è un romanzo intenso, crudo e delicato allo stesso tempo, che parla di affetto, amicizia ma soprattutto di guerra, di razzismo, di patriarcato e sfruttamento.

La narrazione viene introdotta da un escamotage narrativo, l’incontro tra due donne, Elisa e Nadia, entrambe originarie del Mozambico, in volo dal loro paese natio verso Milano e Lisbona. Tra le due nasce subito un’intesa e dopo alcuni preamboli iniziali Nadia decide di aprirsi e raccontare ad Elisa la storia della sua famiglia e del suo paese scoperta realmente solo poco tempo prima “Come ti sentiresti se a quarant’anni venissi a sapere la vera storia dei tuoi genitori? E che tutto quello che conoscevi era solo una menzogna, niente di più che una menzogna?”

Inizia così il racconto della donna, attraverso la cui voce parlano e si incrociano varie storie, quella della madre, sottomessa dal marito, costretta ad accettare la sua relazione con un’altra donna, a insabbiare il suo credo cattolico e diventare musulmana e affrontare una vita densa di sacrifici ed umiliazioni.

Quella del padre, figura decisamente oscura a Nadia fino a qualche anno prima, descritto dalla madre come una persona molto autoritaria, un gran lavoratore ma che incarna il classico sterotipo di padre-padrone con i figli e, soprattutto, con le due mogli.

Quella della stessa Nadia, del suo forte legame con il fratellastro Ussen, della sua infanzia povera ma felice, dei giochi creati dal nulla, del suo ottimismo e della sua voglia di vivere, della sua fuga dal Mozambico nel periodo della guerra assieme ad Ussen e Ricardo nello Swaziland, paese al confine, che non li accoglierà come speravano e che dividerà le loro strade.

Nadia inoltre racconta la vicenda della sua amica Mary, soprannominata “mangiatrice di uomini” goliardicamente nel periodo scolastico ma che viene sfruttata e costretta a prostituirsi durante delle feste, a drogarsi e partecipare a dei filmini hard.

E quella, terribile, di Tony, amico della protagonista che per salvarsi la vita è costretto ad arruolarsi in un esercito di ribelli partecipando così a razzie, stupri e omicidi.

A fare da sfondo a tutte queste vicende umane c’è la storia del Mozambico raccontata dalla voce della nonna Cristina, la quale inizia parlando del colonialismo da parte dei portoghesi nel XV secolo, dello sfruttamento dei neri, del meticciato, della guerra civile, fino ad arrivare al 1992, anno in cui viene firmato il trattato di pace tra Fremlino e Renamo e inizia la rinascita del paese.

Il racconto di Nadia dunque è un romanzo denso di flashback, di metaracconti, di storie che si accavallano l’una sull’altra fornendo così al lettore un’idea completa di ciò che è stato il Mozambico, senza tralasciare nessun aspetto e senza remore nel descrivere i particolari più duri. Leggendolo si è travolti in un universo parallelo e la curiosità di scoprire dove ci conduce la storia induce il lettore a leggere tutto d’un fiato questa vicenda dal ritmo incalzante e mai monotono.


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