di Valentina Severin
Il 16 settembre ricorre l’anniversario del massacro di Sabra e Shatila del 1982, nel quale morirono un numero imprecisato di arabi palestinesi, oscillante tra le 450 e le 3.500 persone. Ripercorriamo insieme le tappe che portarono a quel tragico evento.
LA GUERRA CIVILE LIBANESE – Sabra e Shatila sono due campi creati dopo il 1948 alla periferia di Beirut (Libano) per ospitare il massiccio numero di profughi palestinesi in fuga dal neonato Stato di Israele. L’equilibrio politico-sociale libanese ne viene destabilizzato, fino allo scoppio della guerra civile che insanguina il Paese dal 1975 al 1990 e che ha come attori la comunità cristiano-maronita e l’Esercito del Sud-Libano del falangista Sa’d Haddad, appoggiate da Israele, contrapposti all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) di Yasser Arafat e le forze armate siriane.
BEIRUT, 1982 – Nel 1982 Beirut è occupata da circa 15.000 combattenti dell’OLP e dai loro alleati libanesi e siriani. All’inizio di giugno le forze israeliane assediano la città e la tensione sale al punto che, il mese successivo, il Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan si vede costretto a inviare i due diplomatici Philip Habib e Morris Draper per risolvere la crisi. Le trattative si rivelano decisamente difficili: da una parte Israeliani e Americani non vogliono discutere direttamente con i Palestinesi e, dall’altra, questi ultimi non intendono lasciare Beirut perché temono rappresaglie da parte degli Israeliani e dei falangisti.
L’ACCORDO – Dopo un delicato lavoro di mediazione, il 19 agosto Habib ottiene la firma di un accordo tra le parti, secondo il quale Israele si impegna a non entrare a Beirut Ovest e a non attaccare i palestinesi rifugiati nei campi; i falangisti, rappresentati da Bashir Gemayel, promettono di non muoversi e il Ministero della Difesa statunitense assicura la presenza di un contingente militare che garantisca il rispetto degli accordi presi.
Il giorno dopo negli Stati Uniti viene pubblicata la IV clausola dell’accordo per la partenza dell’OLP, che promette: “I Palestinesi non combattenti, rispettosi della legge, che siano rimasti a Beirut, ivi comprese le famiglie di coloro che hanno abbandonato la città, saranno sottoposti alle leggi e alle norme libanesi. Il governo del Libano e gli Stati Uniti forniranno adeguate garanzie di sicurezza (…) Gli USA forniranno le loro garanzie in base alle assicurazioni ricevute dai gruppi libanesi con cui sono stati in contatto”.
Le misure prese dai diplomatici americani, però, non tranquillizzano Yasser Arafat, che teme per l’incolumità dei rifugiati palestinesi insediati a Beirut e preme per ottenere l’invio di una forza internazionale che assicuri la buona riuscita del ritiro delle forze dell’OLP dal territorio libanese. Arafat vede esaudite le sue richieste e ottiene l’intervento di 800 soldati statunitensi, 800 francesi e 400 italiani. Il mandato previsto per i militari occidentali è di un mese, dal 21 agosto al 21 settembre 1982, mentre il termine ultimo per il ritiro dei combattenti palestinesi viene fissato per il 4 settembre. Il 1 settembre l’evacuazione dei 15.000 uomini dell’OLP dal Libano viene dichiarata conclusa.
ISRAELE INFRANGE GLI ACCORDI – Nel frattempo, il 23 agosto, è stato eletto Presidente del Libano Bashir Gemayel, figlio di Pierre Gemayel, fondatore nel 1936 delle Falangi libanesi insieme Gorge Nakkash e Charles Hélon, appoggiato dai maroniti e dal Governo israeliano.
Il 3 settembre le forze armate israeliane rompono il patto stabilito con gli eserciti “supervisori” e circondano indisturbati i campi-profughi palestinesi. Lungi dall’intervenire, il Segretario della Difesa americano Caspar Weinberger ordina ai propri Marines di lasciare Beirut, mentre le milizie cristiano-falangiste fanno irruzione nel quartiere di Bir Hassan, limitrofo ai campi di Sabra e Shatila, occupandolo. Una settimana dopo, con ben 11 giorni di anticipo rispetto ai termini fissati, anche le forze francesi e italiane partono, venendo meno agli impegni presi.
Il giorno 11 settembre il Ministro della Difesa israeliano Ariel Sharon denuncia la presenza in Libano di 2.000 guerriglieri dell’OLP, che i Palestinesi negano.
L’ATTENTATO A GEMAYEL. In quei giorni Bashir Gemayel viene convocato a Nahariya (Israele) dal Primo Ministro israeliano Menachem Begin per firmare il trattato di pace tra i due Paesi. Secondo alcune fonti, però, l’incontro avrebbe avuto altri scopi. Begin avrebbe, infatti, chiesto al neo-presidente libanese di acconsentire alla presenza nel Libano meridionale di truppe israeliane guidate da Sa’d Haddad, fondatore dell’Esercito del Sud-Libano. Il Primo Ministro israeliano, inoltre, avrebbe invitato Gemayel a dare la caccia ai presunti 2.000 guerriglieri palestinesi ancora presenti nel territorio. Gemayel, probabilmente a causa dei nuovi rapporti di alleanza con la Siria, decide di non schierarsi e rifiuta la firma del trattato.
Il 14 settembre il neo-presidente libanese muore in un attentato organizzato dai servizi segreti siriani e il giorno successivo le truppe israeliane invadono Beirut Ovest, venendo meno agli accordi presi con Stati Uniti e forze musulmane e siriane.
Chiamati a fornire spiegazioni, a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, il Premier e il Ministro della Difesa danno due motivazioni assolutamente incoerenti tra loro: mentre Begin definisce l’azione una misura per “proteggere i rifugiati palestinesi da eventuali ritorsioni da parte dei gruppi cristiani”, Sharon sostiene davanti al Parlamento che “l’attacco aveva lo scopo di distruggere l’infrastruttura stabilita in Libano dai terroristi”.
IL MASSACRO DI SABRA E SHATILA – La vendetta per la morte di Gemayel da parte delle milizie cristiano-falangiste di Elie Hobeika, comandante delle Forze Libanesi, non tarda ad arrivare. Il 15 settembre l’esercito israeliano chiude ermeticamente i campi di Sabra e Shatila e stabilisce delle postazioni di osservazione sui tetti degli edifici circostanti. Il 16 settembre, verso le ore 18:00, gli uomini di Hobeika entrano nei due campi-profughi per uscirne solo due giorni dopo.
A ventinove anni di distanza non è ancora chiaro il numero esatto delle vittime del massacro: i dati forniti dall’esercito libanese parlano di 450 persone, stima che stride decisamente con quelle fatte dai servizi segreti israeliani (700-800 vittime), dalla Croce Rossa Internazionale (1.000-1.500 morti) e dalle fonti filo-palestinesi (3.500 persone). Sta di fatto che nessuno dei rifugiati palestinesi rinchiusi a Sabra e Shatila è sopravvissuto.
RESPONSABILITÀ IMPUNITE – Il 28 settembre 1982 viene istituita una commissione d’inchiesta, presieduta da Yitzhak Kahan e composta dall’alto magistrato Aharon Barak e dal generale di divisione della riserva Yona Ephrat. Il 8 febbraio 1983 la Commissione Kahan individua come diretti responsabili del massacro di Sabra e Shatila Elie Hobeika e Fadi Frem, leader delle Forze Libanesi e successore di Bashir Gemayel. Indirettamente, la Commissione ammette anche la responsabilità di Ariel Sharon, per non aver prevenuto o stroncato l’eccidio, e dei comandi militari della forza di invasione in Libano, in particolare del generale Rafael Eitan, Capo di Stato Maggiore, e del generale Amos Yaron, comandante delle forze israeliane nella regione di Beirut.
Il riconoscimento delle responsabilità non comporta tuttavia la condanna degli inquisiti. Elie Hobeika, per esempio, al termine della guerra civile entra a far parte del Parlamento Libanese.
IL PROCESSO DEL 2001 – In virtù della legge del 1993 che assegna competenza universale ai tribunali belgi i materia di crimini di guerra e contro l’umanità, nel giugno del 2001 la Corte di Cassazione belga apre il processo di Sabra e Shatila e Hobeika, ritenuto responsabile materiale del massacro, è chiamato a testimoniare sui rapporti esistenti tra i falangisti e gli Israeliani.
Il 24 gennaio dell’anno seguente Hobeika salta in aria con il suo SUV blindato a Beirut. Secondo alcune fonti, qualche giorno prima di morire, Hobeika avrebbe incontrato in via “confidenziale” i due senatori belgi Josy Dubiè e Vincent Van Quickeborne, ai quali avrebbe promesso di fare rivelazioni scottanti sulla strage di Sabra e Shatila e sui rapporti da lui intrattenuti in quei giorni con i generali israeliani direttamente dipendenti dall’allora Ministro della Difesa Sharon.
In seguito all’attentato al super-testimone Hobeika e alle pressioni esercitate da Israele, che da sempre si oppone fermamente al tentativo di incriminare il proprio leader, il Parlamento belga fa marcia indietro e archivia il caso.
Da parte sua, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato il massacro con la risoluzione 37/123 del 16 dicembre 1982, ma ad oggi quella condotta dalla Commissione Kahan è l’unica inchiesta ufficiale aperta sull’eccidio.
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