Gli spunti di Sallie Pisch per capire l’Egitto contemporaneo

di Alessandro Batazzi

Sallie Pisch, direttore responsabile dell’edizione inglese di Youm 7, il sito affiliato al web journal in arabo più letto d’Egitto, è stata testimone degli eventi che hanno portato alla Rivoluzione, alla caduta del regime e al presente nebuloso. L’abbiamo contattata per capire cosa sta succedendo in Egitto.

Fino all’ultima sanguinaria repressione in piazza Tahrir, i media occidentali avevano completamente smesso di seguire l’Egitto. Cosa è successo nel frattempo?

Le proteste e gli scioperi sono all’ordine del giorno, molti credono che questa sia l’unico modo per farsi sentire. Per quanto riguarda le tensioni religiose, molti egiziani – sia musulmani che cristiani – ritengono che siano volutamente innescate da un misterioso “loro”. C’è chi dice che si tratti di forze straniere – l’Occidente o gli stati del golfo che temono a loro volta la diffusione delle rivoluzioni; qualcun’altro attribuisce molte responsabilità ai seguaci di Mubarak e c’è chi vede dietro le proteste proprio i membri del governo Mubarak, adirati per aver perso il potere. Secondo me la cosa più importante è l’incredibile solidarieta interreligiosa che emerge nei momenti di maggiore difficoltà. Al contrario, il processo a Mubarak divide la popolazione tra chi afferma che l’ex presidente non dovrebbe essere processato e chi ne vuole l’esecuzione. Gli egiziani vogliono giustizia, ma molti di loro non hanno conosciuto nessun altro tipo di forma di governo, specie chi ha pagato economicamente il prezzo della rivoluzione. Dicono: “Il diavolo che conosciamo è meglio di quello sconosciuto”.

La Tunisia, l’altro grande protagonista della Primavera araba, ha avuto le sue elezioni post-rivoluzionarie, vinte dal partito islamico moderato. Crede che questo risultato avrà conseguenze in Egitto?

No. Forse condizionerà qualcuno, ma non credo che la vittoria di un partito musulmano moderato in Tunisia condizionerà le scelte del popolo egiziano. Votare o meno per i Fratelli musulmani non dipenderà dalla Tunisia.

Cosa pensano gli Egiziani dell’appellativo Primavera araba affibiato alla rivoluzione?

Alcuni di loro lo detestano, ma di fatto lo usano. Ad ogno modo gli egiziani, così come gli altri popoli arabi, preferiscono definirle “rivoluzioni arabe”.

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Che idea si è fatta del lavoro di Tantawi e del governo provvisorio?

Dobbiamo tenere presente che i leader militari non sono addestrati per essere peace keeper e poliziotti. O amministratori. Il consiglio militare, il primo ministro e il gabinetto hanno commesso diversi errori, alcuni giustificabili altri assolutamente non giustificabili. Detto questo, credo che stiano cercando di fare il loro meglio. Stanno affrontando senza tregua critiche, proteste e richieste in aggiunta all’avere a che fare con I membri del regime passato, al recuperare fondi rubati e fuggitivi e al cercare di trovare un modo per distribuire la ricchezza in maniera equilibrata. Quando il primo ministro Sharaf ha accettato l’incarico era stimato dalla popolazione. Le opinioni sul maresciallo Tantawi sembrano essere meno positive: molti attivisti vorrebbero lui e il suo esercito cacciati dalle posizioni di potere.

Negli ultimi mesi Scaf e Usaid hanno polemizzato sui fondi ricevuti dalle Ong, considetate un’interferenza politica degli Stati Uniti. È una posizione condivisa?

Per la maggior parte degli egiziani gli Stati Uniti non dovrebbero interferire nelle questioni interne – ed è così che le persone vedono il supporto Usai alle Ong. Molte organizzazioni sono attente a non essere associate con enti stranieri, in particolare americani, per lo stesso motivo. Gli egiziani sono alla ricerca di una trasparenza totale: vogliono sapere a chi va il denaro e a quali condizioni. C’è l’opinione diffusa che dietro la rivoluzione stia lavorano una “mano straniera” e i sussidi dall’estero sono visti con sospetto (culprit).

La comunità internazionale è preoccupata per il numero di persone associate con il regime di Mubarak e per la partecipazione all’elezione dell’Ndp. Cosa ne pensano gli egiziani?

Gil egiziani sono molto preoccupati per il fatto che membri del precedente regime verranno eletti in parlamento. Sono in tanti a chiedere l’attivazione della “Legge dell’esclusione politica” che fu usata nel 1952 dopo il golpe di Nasser per tenere I membri del Npd lontani dalla vita politica. Allo stesso modo, il moviment 6 Aprile ha lanciato una campagna per identificare tutti I personaggi del vecchio regime affinché non si candidino da nessuna parte. Prima di tutto perché nel Ndp erano coinvolte oltre due milioni di persone, e sicuramente non tutti erano coinvolti nella corruzione di larga scala. Molti si sono iscritti al partito perché era l’unico modo per partecipare legittimamente alla vita politica. Un altro punto importante è il seguito significativo dei membri dell’Ndp, che minaccia di rivoltare il paese se venisse impedito loro di praticare i diritti politici. Non tutti gli egiziani credono che allontanare tutti I membri del partito precedentemente dominante sia la strategia migliore, ma molti temono che possano ottenere un significativo numero di seggi.

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Il Freedom and Justice Party è erroneamente considerato il partito dei Fratelli musulmani. Qual è la connessione tra le due forze?

L’FJP è stato fondato da membri dei Fratelli musulmani, ma non tutti quelli dell’Fjp hanno a che fare con I secondi. Ad esempio, nell’Fjp ci sono anche cristiani copti. Sono un’entità separata, governata da propri consigli non legati alla guida suprema dei Fratelli musulmani. Ad ogni modo I legami tra I due partiti sono forti seppur tecnicamente sono entità separate.

Che ruolo giocherà nelle elezioni la Coalizione dei giovani della rivoluzione?

Lo stesso di quello degli altri partiti. La Coalizione rappresenta un segmento della società egiziana, niente di più. È spesso citata come la rappresentante di tutti I giovani rivoluzionari, ma in realtà non rappresenta tutta la rivoluzione.

Ayman Nour, Bothaina Kamel, Mohamed El Baradei, Amr Moussa. Chi è il candidato migliore per governare il nuovo Egitto?

Buthaina Kamel non ha alcuna possibilità. È apprezzabile che si candidi in quanto donna, ma oggettivamente non ha chance. El Baradei ha un seguito significativo, ma non sono pochi quelli che ritengono che sia troppo vecchio per governare – ha 68 anni – e che vogliono qualcuno che abbia combattuto a fianco della gente. E sicuramente non si tratta di Baradei. Tra tutti I candidati potenziali lui è sicuramente quello che ha più esperienza internazionale e molti ritengono che ciò sia sufficiente per governare il Paese. Amir Moussa è odiato e amato. C’è chi pensa che sia stato troppo vicino al vecchio regime, è un personaggio molto ambizioso. C’è da dire che con la Lega Araba ha fatto un ottimo lavoro e potrebbe essere un buon leader per l’Egitto: è diplomatico e sa come gestire le situazioni più sensibili. Tuttavia secondo alcuni le sue opinioni su Israele sono troppo estremiste e questo potrebbe compromettere le relazioni con gli Usa. Ayman Nour è un’anomalia. Per legge non potrebbe correre alle presidenziali, a causa di una sentenza del 2006 ritenuta da molti non motivata. C’è una campagna che chiede allo stato di “perdonare” Nour e di concedergli la possibilità di correre alle presidenziali. Le persone lo amano. Secondo I supporter è la persona che conosce meglio la burocrazia statale e al contempo ha lottato per le strade con la gente. Ad ogni modo, credo che gli egiziani devono concentrarsi principalmente nella scelta di un parlamento leggittimo, con una autorità reale che sia in grado di controllare la pubblica amministrazione. Devono spezzare la tradizione dell’uomo forte al potere.


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