di Maria Chiara Rizzo
“Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra; provo fretta di ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente. Così ho dedicato tutte le mie risorse materiali ed intellettuali a una causa nella quale credo totalmente, sulla quale non posso essere zittito. Non ho dubbi sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tribolazioni io e coloro che credono con me in questa causa potremo incontrare nel corso del nostro cammino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale”. [Saro-Wiwa]
E’ doveroso ricordare oggi, nell’anniversario della sua uccisione, Kenule Beeson Saro-Wiwa, detto Ken, portavoce delle rivendicazione del suo popolo nei confronti delle multinazionali petrolifere, colpevoli della deturpazione ambientale del Delta del Niger. Poeta, scrittore, attivista e produttore televisivo nigeriano, Ken è stato uno degli intellettuali più influenti dell’Africa post-coloniale. Fin dagli anni ottanta il suo carisma e la sua forza hanno fatto di lui il leader indiscusso nella lotta per difendere le terre degli Ogoni, etnia a cui apparteneva, dalla ferocia delle multinazionali impegnate in estrazioni petrolifere dalla fine degli anni ’50.
L’area abitata dagli Ogoni, situata a sud-est del delta del Niger, è ricca di giacimenti di petrolio che hanno portato negli anni ‘80 la Shell e la Chevron a stabilirsi in pianta stabile nella regione. A ciò ha fatto seguito un’espropriazione di terre a danno del gruppo etnico degli Ogoni, che conta circa mezzo milione di individui, condotta dallo stato nigeriano in virtù di una legge costituzionale che lo consacra unico proprietario di tutto il territorio nazionale. Ma quest’azione è costata cara alla popolazione che si è vista negare ogni forma di diritto umano in cambio di compenso irrisorio, calcolato in base al valore dei raccolti prodotti nella regione al tempo dell’acquisizione, prescindendo dal valore effettivo degli appezzamenti espropriati.
Dieci anni dopo il governo nigeriano ha annunciato la concessione di altre licenze per lo sfruttamento dell’oro nero. Proprio in quel contesto prese forma la protesta non violenta guidata da Saro-Wiwa che ha fatto molto eco sul piano internazionale soprattutto dopo la fondazione MOSOP (Movement for the Survival of the Ogoni People) nel 1994. A 11 anni dalla morte del leader nigeriano, la rivolta pacifica ha ceduto il posto alla violenza in risposta al continuo degrado ambientale provocato da fuoriuscite di petrolio. Oggi gli abitanti dell’area interessata dal depauperamento sono costretti a bere acqua inquinata, a respirare gas, a mangiare pesce e prodotti agricoli contaminati. Secondo dati pubblicati dal quotidiano inglese “Guardian”, le fuoriuscite di greggio hanno già largamente comportato la contaminazione di corsi d’acqua e pozzi fondamentali per l’approvvigionamento idrico e la produzione di cibo da cui dipende la sopravvivenza degli abitanti della regione.
Lo scorso anno la Shell ha ammesso di aver registrato nel 2009 perdite di greggio nelle insenature del delta del Niger per una quantità pari a 14 mila tonnellate, il doppio rispetto all’anno precedente e il quadruplo rispetto al 2007. Dunque, disastro ecologico e gravi rischi per la salute incombono sulle comunità locali che continuano a vivere con 1$ al giorno, non beneficiando dei proventi del petrolio. Insomma, quella di Ken era una lotta per i diritti umani, per la sua comunità e soprattutto per la vita. Nel 1995, con l’accusa di aver contributo ad architettare l’omicidio di alcuni oppositori del MOSOP, l’intellettuale nigeriano è stato condannato alla pena capitale e impiccato insieme ad altri otto attivisti al termine di un processo che ha suscitato la rabbia e l’indignazione del popolo nigeriano e della comunità internazionale. Un anno più tardi, un avvocato del Center for Constitutional Rights di New York ha fatto causa al colosso anglo-olandese allo scopo di dimostrare il coinvolgimento della Shell nell’uccisione di Saro –Wiva. Provocando lo stupore di tutti, la multinazionale ha deciso di patteggiare, accettando di pagare un risarcimento – a detta della compagnia- per aiutare il “processo di riconciliazione” e, dunque, non perché colpevole, di 15 milioni e mezzo di dollari, pari a 11,1 milioni di euro.
Sulle multinazionali del petrolio incombono accuse pesanti avanzate da un gruppo di controllo dell’industria del petrolio e da una coalizione di ONG e denunce esposte in un recente rapporto del Programma dell’Onu per la protezione dell’ambiente (Unep) che ha analizzato i danni causati dall’inquinamento petrolifero nella regione in cui operano la Shell e la compagnia petrolifera statale nigeriana. Secondo il rapporto, queste ultime hanno causato per 50 anni un inquinamento da petrolio per cui sarebbe necessaria una ripulitura di circa 25-30 anni e per un costo di almeno un miliardo di dollari.
Prima di morire Saro-Wiwa ha detto “Il Signore accolga la mia anima, ma la lotta continua”, ma non poteva sapere che la lotta sarebbe continuata macchiandosi di sangue e che nessuno avrebbe potuto guidare, come lui, la rivolta non violenta.
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