Musica made in Calabria, tra tradizione e futuro

di Nicola Casile

Se lo scrittore calabrese Dante Maffia dice che “Milano non esiste”, noi ci sentiamo di affermare con certezza che invece la Calabria esiste. Ed esiste nonostante tutto, e continua a essere dove è da secoli, un po’ araba un po’ Magnogreca, un po’ incontaminata un po’ abusiva. Terra di frontiera o terra di conquista, che continua a raccontarci le sue mille anime anche attraverso la musica. Musica che potremmo definire world più che folk, perché dalle dominazioni e dalle contaminazioni del passato e del presente attinge a piene mani restituendo le sonorità che interpretano, con il linguaggio più sincero e universale, gli stati d’animo della terra più estrema della penisola.

Nella Calabria meridionale, un tempo Calabria Ulteriore, sono ancora visibili e percepibili i segni di una grecanicità che si tramanda e si conserva attraverso la lingua, i riti e la saggezza dei vecchi. Più a nord, dalle parti della Sila, è invece l’influenza albanese a manifestarsi in modo evidente. A valorizzare questa ricchezza c’è anche e soprattutto la musica.

Ascoltare i Mattanza, ad esempio, significa confrontarsi con il significato più culturale dei dialetti, dei modi di dire e dei proverbi che poi, combinati, compongono la vita quotidiana della Calabria popolare, quella che tramanda da sempre un patrimonio prezioso. Il suono dei Mattanza è la sintesi ritmica di una frenesia che non si arresta e che con la zampogna, la fisarmonica, il mandolino e le percussioni racconta di “Ricchi e Povari”, di “Stati” (estate) e di “Rriggiu”, la loro città.

LEGGI ANCHE:   La legge del mare secondo i pescatori calabresi: salvare chiunque sia in difficoltà

Ma se la vera essenza del suono popolare è nella tarantella, quella dei mastri da ballo, differente da città a città, la versione da grande palco della medesima attitudine è quella, ad esempio, di Mimmo Cavallaro, che con il suo Taranta Project riempie le piazze dei paesi facendo agitare a la folla a tempo di tamburo e chitarra battente. “Hiuri di hjumari” è la suggestiva descrizione del paesaggio della Calabria ionica, inciso dalle fiumare che scavano i versanti e portano pietre ma anche fiori fino al mare. “Santu Roccu” è invece la dedica a uno dei santi più venerati nella Locride.

E proprio dell’area della Locride sono gli “Invece”, la band folk-reggae che attraverso la fusione di generi geograficamente distanti, ma entrambi espressioni popolari, regala un suono coinvolgente e originale.

Dalle Serre calabresi, tra Serra San Bruno, Mongiana, Fabrizia e Stilo, in un’area che fino all’Unità d’Italia ospitava uno dei centri siderurgici più importanti del Regno Delle Due Sicilie, giungono le note dei Parafonè che ripropongono, con arrangiamenti propri, gli antichi temi e canti della tradizione orale-musicale della Calabria.

Più intima e a tratti delicata è la proposta dei Koralira, pseudonimo nato dalla fusione dei nomi di due strumenti tradizionali differenti, l’uno di origine malinense e l’altro calabrese, espressione identificativa di un gruppo che punta alla contaminazione musicale e letteraria.

LEGGI ANCHE:   La maglia multicolore che unì basket, musica e TV per la Lituania libera dall'URSS

La ritmica si fa incalzante con i Quartaumentata, che riescono a trasformare il patrimonio musicale calabrese in un’entità viva, in cui riconoscere le proprie radici, rendendo questo messaggio musicale fruibile anche alle nuove generazioni nella ricerca di un equilibrio tra tradizione e sperimentazione

Un tema molto ricorrente nella musica popolare del sud, e dunque anche in quella calabrese, è senza dubbio il brigantaggio, espressione di disagio e di riscatto di un popolo. Tema trattato in chiave etnico – elettronica dal gruppo Zona Briganti, e in chiave folk-hip hop dai Kalafro. Questi ultimi, miscelando tradizione e modernità, sfatano il falso mito della “tarantella musica della ndrangheta” attraverso un attivo impegno antimafia che ne caratterizza i testi.

E poi ci sono i Kalavria, attivi sin dagli anni settanta come una sorta ponte immaginario tra passato e futuro, tra musica tradizionale e nuovi suoni.

I Kalaumu, che oltre a brani originali, riprendono brani della tradizione popolare meridionale rielaborandoli con l’uso di sempre nuovi generi musicali utilizzando la musicalità dei loro dialetti con testi che affrontano tematiche sociali.

Parlare in modo puntuale e approfondito della tradizione musicale calabrese, passando dalle tarantelle con tamburello ed organetto ai cantastorie, sarebbe un’impresa sicuramente ambiziosa. Ma per adesso ci fa piacere proporvi alcuni spunti, sicuramente interessanti, che speriamo saranno utili per aiutarvi a scoprire un mondo che, probabilmente, molti non sanno neppure che esista.

LEGGI ANCHE:   Il modello Riace è un'occasione persa e Lucano è stato tradito dalla sinistra

Mattanza – “Kalavrisella” – Live Ungheria 2005

Mimmo Cavallaro Hjuri di Hjumari

Parafonè – cioparella

Zona Briganti – ritmu novu


Profilo dell'autore

Redazione
Redazione
Dal 2011 raccontiamo il mondo dal punto di vista degli ultimi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Potresti apprezzare anche

No widgets found. Go to Widget page and add the widget in Offcanvas Sidebar Widget Area.