Prostitute, turisti, indignados e ‘kebabbari’: Barcellona al tempo della crisi


testo e foto di Stefano ed Emiliano Pacini

Saranno passati trent’anni da quando Manu Chao scrisse una canzone che diceva che a Barcellona c’erano più indiani che in Arizona.

“Indios de Barcelona” parlava del “Barrio Chino” e di Sant Pau, zone a forte immigrazione da sempre, un ammasso di vie e viuzze a ridosso delle vecchie darsene di Drassanes e che oggi fanno parte del più ampio barrio del Raval, dove il 60% dei residenti è straniero.

Da sempre quest’angolo di città ne ha viste letteralmente di tutti i colori, vuoi per quelli dei suoi abitanti o vuoi per quelli dei suoi governanti: inverni grigio dittatura e primavere rosso sangue.

La crisi si sente e si vede molto bene se si sa guardare al di là del carrozzone plastificato imbandito di turisti che sono le ramblas in ogni epoca dell’anno.

In 3 anni i cartelli di affittasi e vendesi sono spuntati come funghi un po’ ovunque e anche i “compro oro” hanno serrato le fila e spadroneggiano in tutta la città.

Al lato di questi spazi vuoti e svuotati di significato all’interno delle viscere della città, nuovi mostri preistorici di cemento e vetro si alzano giorno dopo giorno per render lode al progresso e far udire il loro muto ruggito accanto ai mostri sacri creati da Gaudì in altri secoli.

La nuova Filmoteca cittadina del Raval sembra un ernorme scatolone di cemento armato con tante finestre-occhi multicolori; ancora non è ultimata, fondi permettendo dovrebbe essere inaugurata nel 2012.

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Fa parte dell’ennesimo tentativo del comune di “riqualificare” il quartiere: il nuovo spazio per i cinefili catalani si alza circondato su tre lati da una delle piazze della prostituzione barcellonese più tradizionale.

Il Bar Marseille si alza dirimpetto alla non ultimata Filmoteca, sarà una questione di 15 metri non di più; il vecchio e fascinoso bar dove Hemingway passava il tempo a bere assenzio e dove ancora l’assenzio scorre a fiumi nelle gole dei turisti lonely planet rappresenta emblematicamente quella parte della città che vive o malvive a secondo dei traffici leciti o meno ai quali si dedica per campare.

Le prostitute mettono in scena il loro triste show di carne in scatola disponibile per il primo che passa e paga. I baristi faticano per star dietro alla voglia di alcol e euforia dei loro clienti quando la serata è buona e tirano a campare quando le cose vanno più a rilento; i ladruncoli cercano sempre di beccare qualche sprovveduto all’incrocio di Sant Pau e si muovono sempre, nervosi e attenti all’arrivo di eventuali sbirri.

Il tutto coabita con un turbinio di kebabbari, parrucchieri per uomo a 5 euro, alimentari etnici, bar e negozi strapieni di telefonini che si affacciano da ogni parte e un flusso costante e incessabile di turisti che dalla rambla inforcano una delle strade laterali opposte al Gotico.

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L’equilibrio di questa città, in bilico tra una crescita costante nel turismo e una recessione spietata che sta travolgendo il sociale è ben esplicata dal confronto forzato di queste due realtà che vivono insieme ma a velocità diverse.

Da una parte si è deciso di vincere la sfida della crisi investendo tutto sul turismo e modernizzando sempre di più le offerte dell’industria del divertimentificio: Barcelona è all’avanguardia, in Europa e nel Mondo, in tutto quello che la ricettività turistica e derivati suppongono.

Questo processo irreversibile di trasformazione da città post-industriale a città-vetrina è cominciato con le Olimpiadi del ’92 e prosegue a vele più o meno gonfie da allora.

Ma questa accellerazione turistica non ha fatto i conti con i tessuti sociali tradizionali della città, stravolgendo i quartieri del centro e creando conflitti quotidiani e a cui nessuno, seriamente, vuol mettere mano.

I residenti contro i turisti dei residence non autorizzati, le prostitute e gli spacciatori; i commercianti extracomunitari contro i ladruncoli di quartiere; gli okupas contro i palazzi sfitti e il problema della casa; la polizia contro tutti e gli spazzini con gli idranti contro gli ubriachi del sabato sera.

Certo, la Catalunya non è l’Italia e il deserto italiano degli aiuti sociali non è nemmeno lontanamente paragonabile alla situazione catalana ma tutto punta verso un ribasso degli aiuti statali e regionali ai poveri, ai giovani e ai disoccupati.

Nelle ultime settimane si sono moltiplicate le occupazioni di stabili sfitti e una cacerolada di indignados ha salutato in plaza Catalunya i risultati elettorali che hanno visto più la disfatta dei socialisti che la vittoria dei popolari.

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Se i poveri sono sempre più poveri e si trovano a contatto sempre più stretto con chi invece ostenta e spende, le conseguenze possono essere esplosive.

Staremo a vedere, ma “ Barcelona Barrilonia” promette come sempre battaglia.


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