Controllo delle migrazioni e nazionalismo, il programma di Putin


di Giuliano Luongo

Dalle colonne della Nezavisimaya Gazeta ci giunge l’ultimo capitolo della corsa alla presidenza russa. Dopo che Medvedev aveva attratto su di sé l’attenzione dei media con la decisione di avviare procedure d’indagine sulle recenti consultazioni elettorali legislative – fortemente contestate con affollate manifestazioni di piazza – è Vladimir Putin a tornare protagonista, grazie alla presentazione del suo programma elettorale.

A colpire sono in particolare i punti chiave in tema di immigrazione. Il testo che li racchiude, intitolato non a caso “Russia: una questione nazionale” copre in particolare il problema delle migrazioni interne, con un occhio particolare al Caucaso, regione dalla quale provengono i flussi migratori più intensi. Il fulcro delle idee di Putin ruota su questo: istituire un sistema di sanzioni penali – si parla di “risposta legislativa adeguata” – per chi, nell’atto di trasferirsi da un territorio all’altro della Federazione Russa, dovesse contribuire a favorire l’instabilità della regione d’arrivo. Per l’attuale Premier tutti i comportamenti “irrispettosi, aggressivi e provocatori” dovranno essere puniti, a differenza di quanto accade ora.

Per gli immigrati stranieri, invece, Putin ha proposto di vincolare al passaggio di un esame di diritto, storia e lingua russa l’ottenimento di un permesso di soggiorno.

Nonostante questi propositi dal sapore quantomeno nazionalista, Putin ha trovato anche il tempo di criticare proprio Alexey Navalny, noto blogger dell’ala ultranazionalista russa e attivista antigovernativo. Il Premier ha criticato fortemente le posizioni quest’ultimo – aspirante ad un Russia monoetnica e che vorrebbe vedere interrotti i sussidi del governo centrale al Caucaso e alle regioni di etnia e religione diversa – sottolineando come una linea dura e aggressiva in questo frangente avrebbe come unico risultato quello della dissoluzione sociale e politica del Paese, come già successo all’URSS.

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Putin dunque cerca di porsi ancora una volta come il leader “dell’ordine”, un leader che cerca di proporsi agli elettori come una figura interessata alla sicurezza e tranquillità ma che, al contempo, non sfocia negli estremismi. Inutile dire che associare l’idea di “pericoloso estremista” – quale in effetti Navalny è – a uno dei leader delle manifestazioni dissidenti è un’utile mossa elettorale per consolidare la propria legittimità, in vista delle sempre più vicine elezioni.


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