Addio alla poetessa Wisława Szymborska, premio Nobel 1996

Il poeta odierno? “Scettico e diffidente… nei confronti di se stesso. Malvolentieri dichiara in pubblico di essere poeta, quasi se ne vergognasse un po’ “. Queste le parole con cui Wisława Szymborska, premio Nobel della letteratura 1996, definiva la sua “categoria”.

La pubblicazione di una sua prima raccolta venne rifiutata per motivi ideologici, negli anni ’40. La censura non lo ritenne “in possesso dei requisiti socialisti”. Ma nonostante ciò, similmente ad altri intellettuali della Polonia post-bellica, Szymborska rimase inizialmente fedele all’ideologia ufficiale della PRL, sottoscrisse anzi petizioni politiche ed elogiò Stalin, Lenin e il realismo socialista.

I “peccati di gioventù”, come lei stessa ha definito una serie di poesie che mostravano un suo adattamento al realismo socialista, sono rintracciabili in testi dai titoli come Lenin oppure Młodzieży budującej Nową Hutę (Per i giovani che costruiscono Nowa Huta), che parla della costruzione di una città industriale stalinista nei pressi di Cracovia. Fino al 1960 fu membro del PZPR (Polska Zjednoczona Partia Robotnicza, “partito operaio unito polacco”), anche se iniziò a instaurare contatti con i dissidenti già prima del distacco. Successivamente prese le distanze dai suoi due primi volumi di poesie. Le sue attività di dissidenza si intensificarono negli anni e raggiunsero il culmine negli anni ’80.

Nel 1996 è stata insignita del Premio Nobel per la letteratura “per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d’umana realtà”. Dopo mesi di malattia si è spenta ieri nella sua casa a Cracovia, nel sonno.

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La ricordiamo con Le tre parole più strane:

Quando pronuncio la parola Futuro
la prima sillaba va già nel passato.

Quando pronuncio la parola Silenzio,
lo distruggo.

Quando pronuncio la parola Niente,
creo qualcosa che non entra in alcun nulla.


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