“Sfortunatamente gli enti governativi e giuridici, nella maggior parte dei casi, non fanno nulla per tutelare la libertà e la sicurezza delle donne. In Afghanistan, quando una donna è stata abusata e molestata ed ha il coraggio di sporgere denuncia, viene automaticamente giudicata colpevole e per questo arrestata.”
La ragazza cita anche il caso di Gulnaz, una giovane stuprata da un parente che quando andò a denunciare il fatto alla polizia, venne condannata a 12 anni di reclusione. Dopo tre anni Gulnaz venne tuttavia rilasciata a condizione che sposasse il suo stupratore. Più di 5.000 persone firmarono una petizione per il suo rilascio.
In seguito alla caduta del regime dei talebani, le donne hanno lottato per integrarsi in differenti aree della società. Le famiglie di alcune donne proibirono loro di lasciare la casa e cercare un’attività esterna, ma molte altre mantennero sempre la speranza di poter dimostrare alla famiglia di riuscire ad aver successo nel lavoro o nelle università.
Sono trascorsi dieci anni dall’era dei talebani e le donne hanno finora potuto scorgere solo un barlume di speranza di cambiamento. E’ una disgrazia che molti uomini in Afghanistan pensino che le tradizioni misogine, come quelle di segregare le donne e prendere decisioni al posto loro, possano fare dell’Afghanistan un paese migliore.
Nel corso del 2011 molte donne sono state lapidate o freddate dai talebani. L’ultimo caso risale al 10 Novembre 2011, quando una donna e sua figlia sono state accusate di prostituzione e per questo uccise dai talebani a seguito di una sentenza di morte emessa dai loro leader nella Provincia di Ghazni.
Sempre lo stesso anno, nella Provincia di Badghis, nel Nord-Ovest dell’Afghanistan, i talebani hanno torturato e ucciso una donna di 48 anni dopo essere stata accusata di aver avuto una relazione sessuale “illegale” con un uomo. Inoltre nel distretto di Imam Saheb, nella Provincia di Kunduz, i talebani hanno lapidato una giovane coppia a causa di un presunto adulterio.
Queste sono solo poche delle migliaia di tragiche vicende vissute dalle donne in Afghanistan non solo durante il regime talebano ma persino oggi. Fino a quando il sistema giuridico in Afghanistan non comprenderà la reale entità di questo tipo di violenza imposte dalla legge della Sharia, non ci potrà mai essere futuro, libertà o giustizia non solo per le donne, ma per l’intero popolo dell’Afghanistan.
Basir Ahang è un giornalista ed attivista per i diritti umani nato a Ghazni, in Afghanistan nel 1984. Si è laureato all’Università di Kabul in “Letteratura e storia persiana”. Basir Ahang iniziato la sua carriera scrivendo per diversi giornali locali, dopo di che ha lavorato come produttore radiofonico per “Radio Ertebat” e per molti altri mezzi di comunicazione locali a Kabul.
Nel 2006 ha iniziato a lavorare con un giornalista del quotidiano nazionale italiano,”La Repubblica”. In quel periodo, il giornalista e fotografo, Gabriele Torsello, venne rapito dai talebani nella provincia di Helmand. Basir Ahang è stato direttamente coinvolto nella liberazione del giornalista, ottenendo rapporti confidenziali contattando le autorità dei talebani che detenevano Torsello. Egli ha avuto così modo di conoscere i nomi dei rapitori.
Nel frattempo Basir riceveva informazioni da parte dei rapitori che lo informano sullo stato di salute di Torsello. Dopo il rilascio del giornalista, è stato oggetto di vessazioni e intimidazioni da parte dei talebani e, infine, costretto a fuggire dall’Afghanistan.
Nel 2008 Basir ottenuto lo status di rifugiato politico in Italia dove tuttora vive e studia. In Italia ha lavorato anche come interprete e mediatore culturale. Nel 2009 e nel 2010 ha svolto il primo di due viaggi in Grecia, con l’obiettivo di mostrare la tragica situazione dei rifugiati. Il resoconto di questi viaggi è stato raccontato nel documentario “La Voce di Patrasso” e nella pubblicazione di molti articoli su svariati siti tra i quali Kabulpress.org, sito del quale è responsabile per la parte relativa ai diritti umani.
Recentemente si è occupato di diversi progetti rivolti a richiamare l’attenzione sulla situazione del suo popolo e soprattutto degli hazara, il terzo maggiore gruppo etnico in Afghanistan. Quest’etnia è infatti da tempo immemorabile oggetto di discriminazioni e tentativi di pulizia etnica. Attualmente Basir scrive per Kabulpress ed altri siti, tra i quali “BBC” Persian. I suoi articoli sono spesso stati tradotti in molte lingue.
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qui le donne l’8 marzo vanno a vedere gli spogliarelli maschili con la squallida scusa della festa della donna (poi l’anniversario di 86 donne morte bruciate non so proprio cosa ci sia da festeggiare, casomai commemorare…) lì la festa la fanno alle donne e si beccano 12 anni per essere state stuprate !!!!!!!!!! NATO uccideteli tutti F16 e F18 a tappeto.
L’unica cosa bella che hanno in afghanistan è il levriero.