di Gioacchino Andrea Fiorentino
Gli Stati Uniti, paese multietnico per antonomasia, vivono giorni di reale seppur intangibile scissione a causa della campagna per la promozione culturale della Sharia, organizzata dal Circolo Islamico del Nord America. La legge coranica si è infatti trovata al centro di numerose critiche da parte delle frange più conservatrici del paese, spaventate da una possibile imposizione islamica anche nel sistema giuridico statunitense. Newt Gingrich, in un discorso datato 2010, commentava così le suddette prese di posizione anti-Sharia: “I jihadisti puntano a utilizzare gli strumenti politici, culturali, sociali e religiosi in modo da sostituire la civiltà occidentale con un’imposizione radicale della Sharia”.
L’islamofobia si è affermata a partire dall’11 Settembre, come spiega Akbar Ahmed, docente dell’Università di Washington, che intervistato dalla CNN continua: “Si sta eccedendo nel giudizio di questa situazione; in America i musulmani rappresentano il 2% della popolazione, come si potrebbe imporre la Sharia all’altro 98%?”. La campagna, appoggiata da tutte le comunità musulmane del mondo, nasce quindi con il chiaro intento di eliminare l’accezione negativa che troppo spesso si fa assumere al termine in questione utilizzando Tv, radio (PSAs) e convegni al fine di riabilitarne la concezione presso i cittadini. Certo, il fraintendimento nasce dal fatto che il Corano detta regole precise ai suoi adepti, fino a costituire praticamente un codice giuridico che la mentalità occidentale fatica a concepire.
Ma limitarsi a dire questo sarebbe riduttivo, come spiega un altro professore universitario, Clark Lombardi, insegnante di diritto islamico a Seattle: “Il termine Sharia è estremamente complesso, e per la maggior parte delle persone musulmane è sinonimo di un corretto stile di vita, composto da preghiera e lavoro. Stile che tuttavia spesso rimane una pia illusione”. D’accordo con questa teoria anche Mohamed Magid, presidente della più grande associazione islamica americana, la Islamic Society of North America, che dichiara che “se la gente si prendesse del tempo per capire cosa significhi davvero Sharia, nessuno avrebbe problemi. Nessun musulmano vuole che le leggi del Corano relative ai criminali vengano usate nel codice legale statunitense”.
Ovviamente il discorso non poteva non diventare politico, soprattutto in clima di campagna elettorale, e così com’era prevedibile il Paese si spacca tra repubblicani e democratici e cosa ancor più evidente tra conservatori e progressisti. Da non ignorare il fatto che parte dell’America in fondo un suo giudizio lo aveva già dato; diversi Stati infatti, tra cui l’Oklahoma, nel 2010 avevano dato il via a leggi anti-sharia, poi bloccate dai tribunali. La campagna pro-Sharia dovrebbe abbracciare tutto il periodo elettorale, difficile prevederne gli esiti, ma facile capire che un tema del genere potrebbe spostare importanti masse di voti verso l’uno o l’altro candidato.
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