di Antea Paviotti
La bevanda più importante del Mesoamerica è il pulque, un fermentato ricavato dal maguey o Agave salmiana. Il suo nome originario nahuatl era “uctli”; gli Aztechi lo chiamavano “iztacoctli”, “vino bianco”, per via del colore del succo d’agave.
Quando la pianta ha tra i 4 e i 6 anni e sta per raggiungere l’apice del suo sviluppo, presenta un cono centrale affilato, le foglie più basse non hanno più le spine nel lato inferiore mentre quelle centrali sono protette da grosse spine rivolte verso l’alto. È in questo momento, e in fase di luna crescente, che si effettua la “castrazione” dell’agave, cioè si stacca il bocciolo del fiore: comincia a sgorgare la linfa, che viene raccolta in un profondo recipiente. Inizia la fase di invecchiamento, che dura dai 6 ai 12 mesi: quando sulle foglie si notano delle macchie, si procura una cavità nella parte superiore della pianta, dove si concentra la linfa o aguamiel, bianchiccio e dolce (momento della picazon o “prurito”). Dopo quattro giorni cominciano a prodursi delle escrescenze che vengono raschiate via per favorire la fuoriuscita di altro aguamiel. Questo viene raccolto per un paio di giorni alla mattina e alla sera, e anche a mezzodì per evitare che eventuali piogge lo diluiscano, facendo ben attenzione che non tocchi foglie e barbe circostanti che comprometterebbero il sapore e la genuinità del pulque.
L’aguamiel viene così fatto fermentare in botti di legno finchè non si forma una patina chiamata zurrón, che può impiegare dagli otto ai trenta giorni per comparire, a seconda delle stagioni e delle variazioni termiche. Si toglie questa patina e si aggiunge dell’altro aguamiel fresco, poco alla volta, fino a riempire le botti. Dopo alcune ora si ritira il pulque, aromatico e fresco, poco più alcolico della birra.
Il pulque viene bevuto semplice o “curado”, con l’aggiunta di frutti come ananas, arancia, fragola, chirimoya, guayaba. Ha un forte valore nutritivo ed è un buon integratore proteico e calorico: in epoca preispanica, compensava la mancanza di verdure e proteine nella dieta.
Usi sociali del pulque
Presso gli antichi Aztechi, non tutti potevano bere il pulque, e anche quando era permesso, non si potevano superare che poche coppe.
I vecchi, uomini e donne, potevano berlo poiché non appartenevano al sistema produttivo né a quello militare, quindi potevano indulgere in stati di alienazione psichica senza grosse conseguenze.
Secondo alcuni, poteva bere il pulque chi aveva superato i cinquant’anni, poiché quella era l’età in cui il sangue “si raffreddava” e il pulque avrebbe aiutato a riscaldarlo e permesso di dormire meglio. Secondo altri, potevano berlo uomini e donne sopra i settanta che avessero figli e nipoti.
Il resto della società era vincolato a regole ben precise: le donne non potevano bere pulque, tranne le donne incinte, che grazie a un po’ di pulque avrebbero ottenuto un miglior latte (sembra che un po’ ne venisse somministrato anche ai neonati!); i giovani lo potevano bere solo durante i matrimoni e alcune feste religiose particolari; i bambini potevano berlo ogni quattro anni, durante le feste del “pilloano”, che significa proprio “quando i bambini bevono il pulque”.
Il pulque veniva talvolta somministrato alle vittime sacrificali, per annebbiarne la coscienza e lenirne le sofferenze; sembra che anche i soldati bevessero delle razioni di pulque.
Non mancava, infine, a conclusione dei banchetti, quando veniva servito agli ospiti nell’ordine del loro rango sociale (dal più alto al più basso), ed era previsto nei momenti salienti dei rituali.
In un’occasione soltanto tutti, uomini e donne, potevano bere pulque: una volta all’anno erano stabilite delle feste in cui era permesso ubriacarsi, che miravano chiaramente a un effetto catartico. Il pulque tuttavia doveva essere considerato plebeo, dal momento che la bevanda di prestigio dei nobili era il cioccolato.
Bere era permesso, presso gli Aztechi, ubriacarsi no: se un popolano veniva trovato ubriaco, veniva rasato pubblicamente in piazza e la sua casa era derubata e demolita, poiché chi si privava autonomamente del giudizio non aveva diritto a una casa e poteva vivere in mezzo ai campi come gli animali; recidivo, veniva lapidato o strangolato. Dignitari, nobili e guerrieri ubriachi venivano immediatamente condannati a morte. Nonostante l’ubriacatura venisse ricercata in occasioni particolari, il pulque rappresentava un motivo di disordine sociale.
Lo spiega bene la leggenda della lotta fra Quetzalcoatl e Tezcatlipoca per il dominio sulla città di Tula. Quetzalcoatl era il dio protettore degli Aztechi, inventore delle arti, portatore della cultura e degli status symbol aztechi (cacao e cotone, oro, giada e piume sottili). Tezcatlipoca era il dio della guerra e della stregoneria. Mentre il primo regnava su Tula, Tezcatlipoca preparò per lui un piatto particolare e del pulque. Quetzalcoatl rifiutò ogni insistente invito a bere, ma alla fine prevalsero le stregonerie dell’avversario ed egli cominciò a bere, fino a ubriacarsi e perdere ogni prestigio. Quetzalcoatl fu costretto all’esilio e Tezcatlipoca potè regnare su Tula.
Un’altra leggenda riguarda più da vicino i soldati: si narra che il nobile Tlachinoltzin, forte e valoroso comandante di un esercito di 8000 soldati, arrivò a vendere tutti i suoi beni e poi l’intero suo patrimonio per comprare del pulque e ubriacarsi. Lentamente scambiò tutta la sua terra per del pulque e perse in questo modo l’antico prestigio.
Oggi il pulque ha perso la sacralità di un tempo, così come l’ubriacatura rituale: al loro arrivo, gli spagnoli convertirono ogni terra non sfruttabile dall’agricoltura in coltivazioni di maguey, che assunse così un valore meramente economico; oggi il suo consumo si è generalizzato ed esteso a tutte le classi sociali, considerato la bevanda dei poveri è arrivato a rappresentare la parte retrograda e disprezzata della società. Da sacro diventato profano, quello che da Fournier è stato definito il “prodotto mesoamericano per eccellenza” oggi non è più il mezzo che permette di comunicare con gli dei e in questo modo girare il mondo.
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