L’Argentina vuole l’autonomia petrolifera, è guerra fredda con la Spagna

di Valentina Severin

Spagna e Argentina sono ai ferri corti, negli ultimi giorni. A causare la crisi tra i due Paesi latini, l’annuncio del presidente bianco-azzurro, Cristina Fernández de Kirchner, di voler espropriare il 51 per cento della Yacimientos Petroliferos Fiscales, controllata dal colosso petrolifero spagnolo Repsol.

DICHIARAZIONE DI GUERRA – La norma, che Cristina Fernández de Kirchner ha sottoposto al Parlamento lunedì 16 aprile, fa parte di una proposta di legge che troverà, non c’è dubbio, largo consenso e che prevede la nazionalizzazione della compagnia petrolifera. Dichiarando YPF un’attività di pubblica utilità, il Governo intende assorbire il 51 per cento delle sue azioni, ripartendo il restante 49 per cento tra le province.
La mossa argentina, sebbene non sia giunta improvvisamente e, anzi, fosse nell’aria già da tempo, non è stata ben accolta dal Governo spagnolo, né dall’Unione Europea, che ha definito la decisione argentina un “precedente pericoloso”.

MISSIONE AUTOSUFFICIENZA – L’obiettivo del progetto del Governo, ha spiegato de Kirchner, è “l’autosufficienza in materia di idrocarburi”. “Il modello scelto per il futuro di YPF – ha precisato il presidente argentino – non è la staticità, bensì il recupero e il controllo degli idrocarburi”.
Da mesi la Casa Rosada punta il dito contro YPF, accusandola di aver ridotto la produzione e di aver rinunciato a una seria politica di investimenti, costringendo lo Stato a importare carburante dall’estero. Nel solo 2010, ha denunciato il Governo, l’Argentina ha dovuto acquistare combustibile per circa dieci milioni di dollari.

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INVESTIMENTI INSUFFICIENTI – Il Governo ha snocciolato anche altri dati, sostegno della propria decisione di assorbire la filiale di Repsol. Tra il 1999 e il 2011 Repsol-YPF ha registrato un attivo di 16.490 milioni di dollari e diviso utili per 13.246 milioni di dollari. La differenza corrisponde agli investimenti fatti dal gruppo petrolifero.
E in attesa di assorbire la compagnia, de Kirchner ha sollevato Sebastián Eskenazi dall’incarico di direttore esecutivo di YPF e messo Julio de Vido e Axel Kicillof alla guida della filiale argentina.

TORNATE A CASA CAPITALI – La nazionalizzazione di YPF non rappresenta un unicum del Governo de Kirchner. Prima della compagnia petrolifera, sono già stati assorbiti dallo Stato le aerolinee e i fondi pensione e il presidente sta premendo sulle società argentine affinché rimpatrino i proventi ottenuti dalle esportazioni.
La linea politica di Cristina Fernández de Kirchner segue la rotta intrapresa dall’Argentina da dieci anni a questa parte verso l’autonomia economica del Paese. Per comprenderla è necessario fare un salto indietro nel tempo, alla fine degli anni Novanta, quando la recessione trascina l’Argentina verso la bancarotta.

ANTEFATTO – Il periodo nero dell’economia argentina comincia nel 1998. Per risollevare le sorti del Paese, il Fondo Monetario Internazionale propone di far entrare capitali stranieri che riattivino l’economia. Il Governo di Carlos Menem prende la prescrizione internazionale alla lettera e comincia a svendere alle multinazionali le attività di interesse strategico: l’acqua, le poste, le aerolinee e i carburanti.
Ai saldi partecipa anche Repsol, colosso petrolifero spagnolo con filiali in 29 Paesi e trentamila dipendenti, che nel 1999 acquista il 57 per cento della YPF.
Nel 2001 l’Argentina dichiara definitivamente morto il suo sogno neoliberista e avvia un lento processo di crescita e di ridistribuzione della ricchezza, che nel corso dei dieci anni successivi va rafforzandosi sempre di più. In questo percorso si inserisce anche la volontà del Governo de Kirchner di tornare in possesso della YPF.

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FINE DI UN’AMICIZIA – Immediatamente dopo il discorso del presidente argentino, lunedì, il gabinetto spagnolo si è riunito in un incontro straordinario. Il Ministro degli Esteri José Manuel García Margallo ha dichiarato che Madrid “condanna duramente” l’azione della Casa Rosada, che “rompe il clima di collaborazione e amicizia alla base delle relazioni tra Spagna e Argentina”.
Repsol, invece, ha fatto sapere che studierà “tutte le opzioni legali possibili per difendere i propri interessi”. Ma bisognerà senz’altro attendersi una controffensiva anche da parte dell’Unione Europea.

INTERESSI – La Spagna, infatti, non è l’unico Paese ad avere interessi in Argentina. Nell’ultimo anno sul suolo del Paese latinoamericano sono state scoperte grandi quantità di argillite petrolifera, materia che può essere usata come combustibile anche senza essere lavorata e che ha subito attirato l’attenzione di tre colossi dell’oro nero: la francese Total e le statunitensi Exxon Mobil e Apache.

GUERRA FREDDA – Non è chiaro come intendano muoversi le forze in campo, ma per farsi un’idea del clima che si respira in Spagna è sufficiente sfogliare il quotidiano El País.
“La decisione del Governo di Cristina Fernández de Kirchner – si legge nell’editoriale del 17 aprile 2012 – presuppone a tutti gli effetti una dichiarazione di guerra economica, che dovrebbe essere rigettata dalle istituzioni internazionali e impugnata nei tribunali”.
“L’arbitrarietà della decisione non sta nell’esercizio del diritto di un Paese di ottenere la massima rendita dalle proprie materie prime – continua l’articolo di El País – bensì nel modo cavilloso con cui il Governo di Cristina Fernández de Kirchner ha trascinato Repsol-YPF in una situazione senza uscita razionale”.


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