Letizia Battaglia e Palermo, dalla fotografia alla politica con la stessa passione

Intervista di Teodora Malavenda

Amore e tensione. Sono questi i sentimenti che Letizia Battaglia nutre nei confronti della sua terra. Palermo, la città in cui è nata, dalla quale più volte è fuggita ma nella quale è sempre ritornata.

Risoluta, colta, intelligente, Letizia è una donna che utilizza la macchina fotografica come se fosse una penna con cui raccontarsi e raccontare i luoghi del suo passato e del suo presente. Scatti celebri che hanno fatto il giro del mondo, immagini che hanno documentato sangue, sofferenza, dolore. Fotografie di un realismo crudo che vanno al di là dello spazio e del tempo e che si imprimono con forza nella memoria, quasi a voler resistere all’avanzare degli anni.

Vincitrice nel 1985, ex equo con l’amica e collega Donna Ferrato, del Premio Eugene Smith, protagonista di numerose mostre allestite negli spazi più prestigiosi al mondo, continua ancora oggi a rappresentare con la sua arte uno dei capitoli più convincenti della storia fotografica internazionale. Le sue immagini hanno sempre una forza dirompente: smuovono le coscienze e ci ricordano quello che siamo stati e quello che dovremmo cercare di non essere più. Come lei stessa ha dichiarato durante il nostro incontro, il mondo ha bisogno di ritrovare la bellezza. E lei, caparbia e temeraria come ha dimostrato sempre di essere nel corso della sua intensa esistenza, vuole contribuire a questa riscoperta. Per garantire un futuro alle nuove generazioni è necessario migliorare il presente. E a distanza di 20 anni ci riprova candidandosi alle elezioni amministrative del prossimo 5 maggio. Ancora una volta a Palermo. Ancora una volta a fianco dell’amico Leoluca Orlando.

È ormai ufficiale la sua candidatura alle prossime amministrative di Palermo (nella lista de La Sinistra degli Ecologisti). Già in passato (tra l’85 e il ’94) è stata due volte consigliere comunale, assessore alla vivibilità urbana e deputato regionale. Cosa la spinge ad esporsi politicamente proprio in un periodo in cui la politica è ai minimi storici nella considerazione degli italiani?

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Non è importante che sia ai minimi storici ma è importante sentire che si ha voglia di lottare per cambiare le cose. Abbiamo attraversato anni molto pesanti nella città di Palermo e adesso, se vogliamo ottenere dei miglioramenti, dobbiamo metterci anche la faccia e il corpo.

Ha quasi sempre vissuto a Palermo, luogo che ricorre spesso nei suoi scatti. Che rapporto ha con la città e con la gente?

Sono innamorata di Palermo e della mia gente. È anche vero che ho cercato diverse volte di staccarmi dal territorio ma l’ho fatto per il mio bene e per alleggerire quella tensione che la città mi provoca. Ma poi sono sempre ritornata perché questo è il luogo della mia vita!

Ha attraversato diversi momenti dell’arte fotografica. Quali, se ci sono, le differenze tra ieri e oggi?

La fotografia naturalmente si evolve così come si evolve la scrittura o la pittura. Vent’anni fa si poteva fare una fotografia più semplice fermo restando che dentro un’immagine occorre ci siano tutte le complicazioni che hanno a che fare con la cultura, con l’esperienza e con l’età. Non puoi fare una buona fotografia se non hai visitato musei, se non hai letto poesie, se non hai visto tanti film. Dietro uno scatto c’è sempre un certo modo di vivere. Prima c’era la pellicola, la carta, l’ingranditore ora c’è il digitale per cui scattare è più facile ma nello stesso tempo anche più banale. Nella maggior parte dei casi si ottengono risultati molto superficiali anche se il buon reportage continua ad esistere. È ovvio che anche i contesti culturali di appartenenza influiscono sulla resa di un lavoro.

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Negli ultimi dieci anni il suo lavoro si è evoluto dando spazio anche al nudo femminile e al paesaggio, “raccontati” però sempre in chiave critica e di denuncia. Nonostante ciò, continua ad essere ricordata come la fotografa della mafia. Crede sia un’etichetta ingombrante o un qualcosa in cui continua ad identificarsi?

Il mio lavoro si è evoluto anche in conseguenza dell’età, non potrei più fare reportage pur se devo ammettere che non ne sento l’esigenza. Oggi preferisco usare il mezzo fotografico per esprimere il mio stato d’animo, i miei sentimenti. L’etichetta di cui parli è un gioco giornalistico. Indubbiamente ho documentato i fatti di mafia per tanti anni poiché era anche un modo mio personale per neutralizzare il fenomeno ma parallelamente facevo foto a bambine, fiori, alberi, paesaggi. Le foto riguardanti la mafia sono quelle che hanno preso più spazio all’interno dei giornali o delle mostre perché quel tipo di lavoro faceva parte di un discorso mio personale e rappresentava la mia ostilità contro un potere orribile che faceva tanto male innanzitutto alla mia terra.

Ha dedicato la sua vita alla fotografia. Cosa rappresenta per lei questo mezzo espressivo?

È un mezzo magico, poetico. Io scrivo con la macchina fotografica ed è grazie alla fotografia che ho superato tanti problemi esistenziali. La fotografia continua ad essere il mio secondo cuore. In questi giorni sto rafforzando l’idea di creare un centro fotografico qui a Palermo che sia anche galleria, piccolo museo della memoria e scuola di fotografia. Vorrei che i giovani capissero che attraverso la macchina fotografica si possono fare cose migliori. Mi piacerebbe che in questo museo fossero presenti scatti di fotografi provenienti da tutto il mondo. Sarebbe bello vedere la città con gli occhi di chi non ci vive e la conosce solo per brevi periodi. Un’avventura che potrà realizzarsi se vince Leoluca Orlando. Ho la sua promessa!

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Museo della ‘ndrangheta (in Calabria) e Casa della memoria di Peppino Impastato (Cinisi) sono solo due delle numerose realtà presenti al sud e attive nella lotta contro le mafie. Secondo lei il contrasto prettamente culturale alla mentalità mafiosa quanto è importante?

È sicuro che non bisogna lasciare soltanto all’attività giudiziaria o a quella poliziesca la lotta alla mafia. Tutto dovrebbe essere messo in contrasto anche attraverso l’acquisto di prodotti che non sono legati a intenti mafiosi. La cultura è essenziale. Se gli intellettuali in questi decenni fossero stati più presenti e più incalzanti sicuramente qualcosa in più l’avremmo ottenuta. Speriamo di ricominciare dal prossimo 5maggio!


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