di Stefano Romano
BIDESH – Iniziamo questo nostro viaggio nelle comunità migranti in Italia parlando del Bangladesh e del suo popolo: i bangladesi. Per fugare ogni perplessità chiariamo subito questo punto, a lungo dibattuto tra i linguisti in Bangladesh, ed ormai quasi totalmente accettato anche da noi. Il termine bengalese, comunemente usato, non è corretto poiché fa riferimento al passato della nazione, principalmente alla regione del Bengala che dal 1947 non è più unita bensì divisa in Bangladesh e l’indiano Bengala Occidentale. Pertanto all’etnia bengalese corrisponde un più appropriato bangladese: abitante del Bangladesh (e non del Bengala). Abbiamo chiamato questa prima parte bidesh perché racconteremo quella che è la storia e la cultura del Bangladesh; a cui seguirà una seconda parte, shodesh, che è il nostro paese, ovvero come vivono da noi i bangladesi.
Per il Bangladesh (“Paese del Bengala”) la geografia e la storia sono strettamente connesse. E non si può capire chi sono i bangladesi senza conoscere le loro vicende politiche, caratteristica questa che è parte integrante del carattere di questo popolo che vive numeroso nel nostro paese.
Il Bangladesh è uno stato dell’Asia, confinante quasi esclusivamente con l’India, tranne che per un piccolo tratto con la Birmania nel sud-est. Insieme con lo stato indiano del Bengala Occidentale costituisce la regione etnico-linguistica del Bengala. Si estende su 144.000 kmq con circa 153 milioni di abitanti. La sua bandiera è completamente verde con un sole rosso al centro; adottata ufficialmente nel Gennaio del 1972, simboleggia il verde dei paesaggi su cui splende il sole del futuro tinto del sangue dei martiri del 1971, di cui parleremo più avanti.
TRADIZIONE E FOLKLORE DI UN PAESE STRAORDINARIO – Il suo inno è stato composto dal poeta nazionale Rabidranath Tagore e si intitola “Amar Sonar Bangla” (il Mio Amato Bengala), la cui ultima strofa recita magnificamente: “O madre mia, le parole della tua bocca \ sono come nettare per le mie orecchie.\ Ah che emozione! \ Se la tristezza, o madre mia, \ getta un’ombra sul tuo viso, \ i miei occhi si riempiono di lacrime!”
Il doyel è l’uccello nazionale del Bangladesh, simbolo del paese, al punto che a Dhaka è stata dedicata una piazza in suo onore: la Doyel Chatwar.
Tra i luoghi più belli e consigliati c’è sicuramente Cox’s Bazar. Città, porto e stazione termale nell’estremo sud-est del Bangladesh, vicino Chittagong, conosciuta per il primato della spiaggia più lunga al mondo: 120 km che partono dalla foce del fiume Bakkhali fino a Teknaf. Bandarban, nei pressi del più grande tempio buddhista del Bangladesh. E Sundarbans, dove si può ammirare la più estesa foresta di mangrovie al mondo, patrimonio dell’umanità riconosciuto dall’UNESCO nel 1997.
Il frutto più famoso è il kathal o jackfruit, noto anche come albero del pane ha un sapore simile a quello dell’ananas, e può arrivare a pesare oltre cento chili. I bangladesi lo usano in varie forme, essiccato, sciroppato o surgelato, e si può mangiare sia crudo che cotto. Con le foglie si avvolgono alcune pietanze, come il dolce idlis, mentre con il legno si costruiscono strumenti o parti delle abitazioni.
I vestiti tradizionali, come in tutta quell’area dell’Asia, sono i saree o sari: magnifici tessuti di seta o cotone di infinite variazioni di colore, lunghi sei metri (ma possono arrivare anche a superare i venti metri di lunghezza per gli abiti da cerimonia), i quali si avvolgono ai fianchi senza avere né lacci o bottoni. Si indossano con sotto il choli, la blusa aderente che copre il seno, e altri accessori, come i churi (braccialetti), le cavigliere, i bindi (il terzo occhio, dipinto o incollato sulla fronte fra gli occhi). I colori dei sari variano a secondo dello stato civile e dell’età delle donne. Il primo sari è regalato alle ragazze quando raggiungono la pubertà, ed è momento di giubilo. Quando si sposano il colore è il rosso.
Il matrimonio classico bangladese è una festa che dura diversi giorni e richiama l’intero quartiere o villaggio. I due giorni precedenti il matrimonio vero e proprio sono chiamati “Gae Hulod” che significa pelle gialla: nel primo giorno i parenti e gli amici della sposa, vestita di giallo, accolgono i parenti e gli amici dello sposo (che non è presente) venuti a portare i doni per la sposa; ognuno di loro cospargerà il viso della sposa con una mistura vegetale gialla come buon auspicio. Il giorno dopo sarà il turno dello sposo e nel terzo giorno si potranno finalmente incontrare e celebrare il matrimonio. Il giorno successivo è dedicato alla festa. Se ci si vuole fare un’idea di come avvengono i matrimoni in Bangladesh, e delle lunghe trattative che spesso accalorano le rispettive famiglie per unioni che, in molti casi, sono puro frutto delle scelte dei genitori, si può reperire un documentario del regista italiano Vittorio Moroni intitolato “Le ferie di Licu”, uscito nel 2007, dove viene seguito in un villaggio del Bangladesh un giovane bangladese di Roma tornato a casa per sposarsi con una ragazza che non ha mai visto prima. Ora la coppia vive felicemente a Roma.
Durante il pranzo si possono degustare i piatti tipici bangladesi, la maggior parte dei quali molto piccanti, pertanto se non amate i gusti forti memorizzate questa parola “jhal”, significa piccante e può tornarvi utile – se vi rispondono ha è sì, se vi dicono na è no, ma tanto per loro non è mai piccante. Come in tutta l’Asia si mangia molto riso, e deliziosi sono i samosa e i dal-puri, fagottini fritti con ripieno di carne, patate e piselli; oppure i dolci, il più famoso dei quali è il jelapi che è zucchero fritto a forma di spirale. Alle torte è dedicata anche una festa, pitha-mela (la festa delle torte), in cui le donne si sfidano a chi cucina la migliore torta – con un po’ di fortuna si può assistere a questa competizione anche in Italia.
Il Capodanno bengalese è conosciuto come Pôhela Boishakh (পহেলা বৈশাখ ) e corrisponde al primo giorno secondo il Bengali Calendar celebrato in tutto il Bangladesh e nel Bengala occidentale, sino alle comunità in Assam, Tripura, Odisha ed in Kolkata. Il giorno di inizio è solitamente il 14 Aprile, in accordo con il calendario ufficiale della Bangla Academy. Stiamo parlando di una tradizione che rimanda al calendario solare hindu. Questo che sta per cominciare è l’anno 1419. In Bangladesh è un giorno importantissimo. E’ l’inizio di tutte le attività legate al commercio, perché considerato di buon auspicio, e ciò vale anche per i matrimoni. Il Nuovo Anno è strettamente collegato alla vita rurale nel Bengala. Perciò la mattina ci si alza presto, si pulisce la casa e ci si veste bene. Le donne con i sari bianchi bordati di rosso, i fiori nei capelli e i bindi tra gli occhi; gli uomini con le lunghe tuniche (kurta). Tradizione vuole che si attenda l’alba del primo giorno sotto un albero o sulle rive di un fiume. Hanno dunque principio le feste che durano circa una settimana.
ARTE E CULTURA – La letteratura bangladese ha i suoi primi documenti nel Charyapada o Charyageeti, raccolta poetica del VIII-Xii sec. a.C., che può essere considerata la prima testimonianza scritta conosciuta di un’opera letteraria in lingua bangla. Michael Madhusudan Dutt è considerato il primo poeta epico della letteratura bangladese. Però, senza dubbio, i più famosi poeti del Bangladesh sono Rabindranath Tagore, premio Nobel nel 1913, e Kazi Nazrul Islam (1899-1976), considerato il “poeta nazionale” la cui opera comprende circa 3000 canzoni (nazrul geeti). Anche Fakir Lalon Shah (1774-1890) è una figura di rilievo, rappresentante della comunità mistica dei baul, i cantori poveri, illetterati ed erranti, però capaci di tramandare una lunga tradizione orale del Bangladesh, con oltre 10 mila canzoni, delle quali oggi se ne conservano solo 3000 in musica.
I pittori più famosi sono Zainul Abedin e Mustafa Manwar. Mentre i cantanti storici sono Rezwana Chowdhury Banya, Samina Chowdhury, Abida Sultana, Sabina Yasmin, Runa Laila, Shakila Zafar, Baby Naznin “Black Diamond”e Momtaz. Biplop rappresenta invece il genere rock, mentre Habib, Hridoy Khan, Balam, Mimi e Nancy sono le nuove leve.
Tra i film, hanno avuto molto successo in tempo recente e sono stati proiettati anche in alcuni cinema italiani sottotitolati: “Monpura” e “Third Person Singular Number”. Il tema del 90% dei film bangladesi è l’amore, spesso difficile e avverso dalle famiglie. In lingua bangla amore si dice bhalobasha, ed è la poetica unione di bhalo (bene, buono) e basha (casa).
UNA STORIA FATTA DI LINGUA, SANGUE E MARTIRI– Ora parliamo brevemente della storia del Bangladesh, a conclusione di questa nostra guida. Il giorno più importante cade il 21 Febbraio, celebrato ogni anno in tutto il Bangladesh e dal suo popolo al completo in qualsiasi città del mondo esso si trovi. In tale giorno si commemora la Giornata Internazionale della Lingua Madre per il riconoscimento del bangla come lingua ufficiale del Bangladesh, promossa dall’UNESCO – durante la 30° sessione del Congresso generale del 1999 – Giornata della Lingua Madre nel mondo, allo scopo di promuovere le diversità linguistico-culturali e il multilinguismo. Questa giornata fa riferimento ad uno dei fatti più sanguinosi che hanno segnato la storia del Bangladesh, ma che nello stesso tempo ne è diventato simbolo e memoria incisa nel carattere del suo popolo. Il 21 Febbraio è chiamato in Bangladesh Amar Ekushay ( 21 Febbraio immortale). Tutto ebbe inizio quando il governatore generale del Pakistan Mohammed Ali Jinnah dichiarò pubblicamente il 21 Marzo del 1948 che l’urdu sarebbe diventato l’unica lingua ufficiale sia per il Pakistan orientale che occidentale ; sebbene la maggior parte degli abitanti del Pakistan orientale parlasse il bengali: questo suscitò le loro proteste che culminarono nella manifestazione presso il campus universitario di Dhaka il 21 Febbario del 1952, contro le autorità pakistane che imposero l’urdu (lingua ufficiale del Pakistan) ai 70 milioni di abitanti del Bangladesh orientale – allora Pakistan orientale.
L’esercito pakistano fece fuoco contro i manifestanti e gli studenti uccisi divennero i martiri del Bangladesh, a cui è dedicato il Monumento ai Martiri (Shaheed Minar) nei pressi del campus universitario e ai piedi del quale nella giornata dei Martiri, lo Shaheed Day, gente proveniente da ogni parte del paese, indossando fasce nere in segno di lutto, scalza, depone i fiori piangendo i loro eroi cantando “Amar Bhaiyer rakte rangano Ekushey February ami ki bhulite pari” (21 Febbraio, giorno bagnato di sangue dei nostri fratelli; come dimenticarlo). Quel terribile accadimento diede vita alla lotta per l’indipendenza, con l’intero popolo, di ogni estrazione sociale, guidato dal Bangabandhu Padre della Nazione Sheik Mujibur Rahman, capo dell’Awami League: durò nove mesi la guerra, con un costo umano di circa tre milioni di vite, e terribili crimini commessi dall’esercito pakistano (purtroppo non è reperibile in Italia ma solo attraverso i canali dell’Ambasciata del Bangladesh, un libro scritto da Shafiqul Islam Kajol intitolato “The Unsung Ballads – Statements of Bironganas of Bangladesh Liberation war 1971”, in cui l’autore raccoglie le interviste fatte alle donne che subirono gli stupri e le torture nei villaggi, in quei mesi, da parte dell’esercito pakistano, e la loro condizione di abbandono ed isolamento dopo l’indipendenza; una testimonianza veramente drammatica). La prima dichiarazione d’indipendenza fu proclamata per radio da M. A. Hannan il 26 Marzo del 1971, con le parole del Padre della Nazione, ma maggior risonanza – anche all’estero – fu quella pronunciata dal Maggior Zia il 27 Marzo. Citiamo dei versi di una famosissima poesia scritta dal celebre Mahbubul Alam in memoria dei martiri del ‘52: “Non sono venuto per piangere. \ Sono venuto a chiedere vendetta per la gente che ha perso la propria vita qui.”
Non si può comprendere il Bangladesh, e ancora di più il suo popolo, senza tenere sempre presente questi fatti. I bangladesi sono stati l’unico popolo che ha perso milioni di vite per una guerra che è nata a difesa di una lingua. Anche oggi, la diaspora bangladese nel mondo ha come prima necessità la salvaguardia della propria lingua per i propri figli con le istituzioni di scuole di lingua bangladesi (bangla pathshala). Il carattere dell’uomo bangladese, sebbene possa sembrare mansueto ed umile, è in realtà profondamente orgoglioso. Perché, se il mondo intero oggi festeggia una Festa della Lingua, è grazie al sangue versato dagli studenti di Dhaka. E non dimentichiamo le donne, le quali costituiscono la metà della popolazione del Bangladesh e giocano un ruolo sempre più importante nella vita politica, economica e sociale. Il Primo Ministro del Bangladesh è donna – Sheikh Hasina – così come i ministri degli Affari Esteri, l’Interno e l’Agricoltura. I diritti delle donne all’uguaglianza sono garantiti dalla Costituzione del Bangladesh del 1972. Inoltre il Governo offre istruzione gratuita alle bambine fino alle medie e pianifica di estenderla fino al compimento delle superiori. Moltissime donne nelle aree rurali beneficiano del micro-credito e di attività redditizie.
Vogliamo concludere con i versi di una poesia di Lalon, che ha valore universale: “La gente si chiede… qual è la casta di Lalon? \ Lalon risponde: ‘i miei occhi non riescono a vedere i segni della casta’. Ma non vedi: alcuni portano ghirlande, alcuni rosari intorno al collo. Ma qual è la differenza, Fratello?”
Ringrazio per il reperimento di dati L’Istituto Culturale del Bangladesh in Italia – B.C.I.I.
LEGGI ANCHE LA SECONDA PARTE DELLO SPECIALE SULLA CULTURA DEL BANGLADESH!
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[…] il nostro viaggio alla scoperta della cultura bangladese e del suo popolo. Dopo aver parlato nella prima parte, delle tradizioni e della storia del loro paese (bidesh), questa volta ci concentreremo su come […]
grazie per il bellissimo articolo, una cosa che invece si poteva aggiungere è che in Bangladesh le minoranze (etniche o religiose che siano) vengono tutelate.. c’è la festa islamica come quella cristiana o quelle indù…
grazie per la precisazione iniziale sull’essere bangladesi, anche se non lo sa quasi nessuno dei bangladesi!
resta curioso il fatto che i cantanti storici siano quasi tutte donne in un paese ove sembra che la donna sia oppressa
Grazie a te Bahar! In effetti troppo altro c’è da dire ma verrebbe fuori un’enciclopedia e fin troppo spazio mi hanno concesso. Per quanto riguarda le cantanti donne e i loro diritti fa fede l’ultima parte dell’articolo, dove specifica come invece vengano (su carta, e io non posso testimoniare vivendo a Roma) tutelate. La predominanza femminile delle cantanti citate su quella maschile deriva sia da un confronto con amici bangladesi qui a Roma sia dal mio gusto personale. La prossima settimana uscirà la seconda parte sulla vita dei bangladesi in Italia!
Buon giorno sig.Stefano! Sono del Bangladesh ma vivo a Milano. Mi sono sorpreso quando ho visto questo articolo su di Bangladesh. Che bello di pensare la nostra tradizione. Complimenti!!!
p.s. e la traduzione precisa di Amar Shonar bangla è Il mio Bangla d’orato… anche se tradotta così suona male…
Il Calendario induista non centra niente con il pohela boishak….. La data di inizio del calendario induista è il 23 gennaio 3102 a.C. che segna anche l’inizio del Kali Yuga se non mi sbaglio ( morte di Krishna )
Oni io ho letto che il calendario del Bangladesh, il Bangabda è stato introdotto nel 1584, ed è ampiamente adottato anche nell’India orientale. Una riforma di questo calendario è avvenuta in Bangladesh nel 1966, con giorni costanti in ogni mese e anni bisestili, ed è oggi il calendario nazionale del Bangladesh. Pertanto il calendario bangladese è strettamente legato al calendario solare hindu-vedico, basato sulla Surya Siddhanta. Poi ha subito nel tempo delle variazioni, prima tra tutte quella del giorno d’inizio, che è stato fissato a metà aprile. Ma rimane comunque un calendario ‘giovane’. Grazie
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Grazie Dipo bhaia!
“Gae Hulod” che significa pelle gialla: NON E PROPRIO COSI, GIALLO(CURCUMA) ALLA PELLE SEMBRA PIU CORETTO
Grazie per la precisazione Shobin, io riportavo quello che mi hanno tradotto le donne bangladesi durante il matrimonio, quando ho chiesto cosa significasse ‘gae holud’. Sono sfumature di significato, comunque è bene precisare come fai tu. Il senso era che la pelle diventa gialla.