di Emilio Garofalo
E’ il dettaglio a far la differenza. Anche in un periodo di crisi economica. La pazza corsa al risparmio sta portando a misure drastiche di contenimento della spesa pubblica. Alcune, dalla eco roboante, esplose in un’impopolarità sociale da prima pagina, annunciate persino con le lacrime agli occhi.
Tra le misure drastiche del Governo rientrano i test per il conseguimento della patente di guida per gli immigrati. Il taglio annunciato dal Governo, per bocca del ministro per lo Sviluppo Economico Corrado Passera, riguarda le traduzioni degli elaborati. I quiz continueranno a essere redatti solamente in lingua italiana. Con buona pace del senatore Carrara (Coesione Nazionale) che, con un’interrogazione parlamentare, aveva chiesto di ripristinare la formula in auge precedentemente alla riforma del Codice della Strada.
Gli immigrati presenti nel Paese, la cui incidenza sull’economia nazionale è ormai nota e più che documentata, dovranno, dunque, continuare a studiare le regole della circolazione stradale, adottando esclusivamente la lingua italiana. Secondo le “denunce” di Carrara, redigere i quiz in questo modo “ha avuto esiti catastrofici”.
Pochissimi, infatti, gli allievi stranieri che hanno ottenuto la patente di guida e, conseguentemente, moltissimi quelli che, non potendo più contare sulla preparazione teorica, hanno inondato le strade e le autostrade italiane con documenti di guida rilasciati dal Paese di origine o, nel peggiore dei casi, senza patente. Attraverso i dati delle Forze dell’ordine e relativi all’ultimo biennio, si possono ottenere relative conferme.
Ma, esattamente, qual era l’impianto linguistico che sottendeva l’esame di guida prima della riforma del Cds? Esattamente quello previsto dall’ufficialità idiomatica dell’Onu: le domande erano formulate in inglese, francese, tedesco, spagnolo, russo, cinese e arabo; le stesse lingue che, attraverso il quesito di Carrara, si è chiesto di ripristinare.
Il niet di Passera, che ha inteso garantire la sola tutela delle minoranze linguistiche, si spiegherebbe sulla base degli scarsi risultati ottenuti dalle precedenti soluzioni della struttura normativa. Una struttura che , a detta del ministro, “non si è rivelata positiva”, a causa di elevati oneri “sotto il profilo finanziario”, dovuti agli alti costi delle traduzioni.
Inoltre, dal ministero si affrettano a sottolineare che “spesso i termini tecnici sono stati tradotti in maniera impropria e imprecisa”. Un problema, a quanto pare, insormontabile, dal momento che il Governo non dispone, secondo fonti ministeriali, di “traduttori per le sette lingue”.
Ma c’è di più. Secondo il ministro per lo Sviluppo economico, “le lingue tradotte non esaurivano i regimi linguistici delle comunità straniere maggiormente presenti in Italia”, con la conseguenza di incappare in uno stallo gravemente discriminatorio, per cui si decidevano le lingue delle traduzioni “senza adeguata motivazione”. Così, meglio non sceglierne nessuna.
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