Sono sempre più diffusi e, nonostante la lente di ingrandimento della Polizia Postale, riescono a diffondere notizie, promuovere incontri e dibattiti o, nel peggiore dei casi, azioni e dimostrazioni che sfociano in episodi di pura violenza. Sono stati definiti in svariati modi: contenitori d’odio, seminatori d’omofobia quelli più comuni. Sono i siti internet a contenuto razzista, xenofobo e antisemita.
Pagine telematiche contro le quali si è pronunciato ieri il ministro per la Cooperazione e Integrazione, Andrea Riccardi: l’aumento dei siti razzisti impone al governo un aggiornamento della normativa, che rispetti quanto già stabilito in sede europea”.
L’intervento legislativo promesso sarà coordinato dallo stesso ministero per la Cooperazione e Integrazione e vedrà la partecipazione dei ministri della Giustizia e dell’Interno, settori ampiamente coinvolti nella gestione dei reati connessi alle intolleranze culturali e razziali. Riccardi, nel raccontare le intenzioni della task force ministeriale, ha spiegato anche come, per contrastare ogni rischio di degenerazione xenofoba, si possa “arrivare all’oscuramento” dei siti più violenti.
Un vero e proprio giro di vite sui cosiddetti seminatori d’odio via internet, dunque, che il ministro ha annunciato da Roma, dopo aver visitato la Sinagoga. Tuttavia, quelle che ad alcuni appaiono come delle buone intenzioni degli organi del governo, per altri sono soltanto i presupposti dell’ennesimo bluff. Subito dopo l’annuncio di Riccardi, sono circolate in rete alcuni maliziosi sospetti: che nelle pieghe di un provvedimento giusto vada nascondendosi l’ennesimo tentativo di bavaglio? L’oscuramento invocato da Riccardi si limiterà ai soli siti razzisti?
Qualunque sia l’esito della norma al vaglio del Governo, questa, oltre al blocco delle utenze, avrà l’obiettivo di scovare non solo i promotori dei siti, ma anche i visitatori occasionali di quelle che sono state definite “pagine vergognose”. Per entrambe le categorie di internauti visionare determinati contenuti potrebbe anche dar vita a responsabilità penali.
Emilio Garofalo
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