Via le scarpe. Via i sandali, i lacci, le costrizioni. Concessione massima? Un paio di infradito, per i luoghi in cui è vietato stare senza, come le scali mobili. Il resto della vita passatelo scalzi, a piedi nudi, a contatto con la natura, muovere le dita dei piedi e percepire i vari materiali e le temperature delle superfici durante il nostro cammino.
Alle obiezioni più ovvie, la sporcizia e il dolore, c’è una risposta molto semplice: “le strade sono sporche ma meno delle banconote, di un corrimano o di una maniglia. Le strade sono disinfettate dal sole giornalmente, mentre raramente si lavano i soldi. Per quanto riguarda il dolore, dobbiamo pensare ai piedi come alle mani, senza soffermarci ad ogni graffio. I benefici sono di gran lunga superiori ai rischi”.
Loro sono la Tribù dei Nati Scalzi, camminano senza scarpe da un po’ e ormai iniziano a notarsi in giro per l’Italia. Sono ragazzi, giovani, attenti. Presenti nella vita, lavorano, guidano, passeggiano, scalano montagne.
Esatto, le montagne. Lo scorso 28 gennaio gli Old Mutual Barefoot Kilimanjaro Team hanno raggiunto la cima di 5681 metri dell’Uhuru Peak del monte africano interamente a piedi nudi. Ci sono voluti cinque giorni, camminando sulla ghiaia vulcanica o su sentieri erbosi, assecondando il terreno nei suoi cambiamenti. Niente li ha fermati, nemmeno la neve, e alla fine sono riusciti a vedere l’Africa dall’alto.
Una dimostrazione che senza scarpe si può fare tutto. Il piede riscopre la sua meccanicità d’origine, diventa più largo, più forte e più bello. “La pelle – spiega Giorgio Curreri, ideatore del “Progetto vivere scalzo” – diventa morbida, non dura come si pensa. Assomiglia un po’ ai polpastrelli dei cani e dei gatti. Resistente ma al tatto soffice”.
Riscoprire la semplicità del passato, il contatto con la natura quotidiano e non solo d’estate al mare con la sabbia. L’importanza di diventare partecipi nel nostro mondo affrontarlo, è il caso di dirlo, in punta di piedi.
Ilaria Bortot
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