Un popolo di 100mila, 106mila persone secondo le ong, che vive nel Kuwait illegalmente, senza cittadinanza. Sono i bidun, una minoranza di origine beduina, figlia di comunità nomadi che attraversavano senza problemi i territori della regione del Golfo persico prima che si costituissero gli stati nazionali.
Anche loro hanno tentato di fare la “primavera araba” senza successo, con il risultato di subire una repressione più dura. Recentemente il 2 ottobre, in occasione della Giornata internazionale della nonviolenza, a centinaia si sono radunati a Taima, in piazza della libertà per dare vita ad una protesta pacifica. La polizia ha reagito con lacrimogeni, pallottole di plastica, arrestando 25 attivisti.
Perché questo popolo è perseguitato? Ne parla Amnesty International che da tempo si interessa alla situazione dei bidun.
Quando venne proclamatala Legge sulla nazionalità nel 1959, due anni prima dell’indipendenza, le popolazioni che risiedevano nell’ancora non nato Kuwait dal 1920, ottenevano la cittadinanza, mentre uno status inferiore venne riconosciuto per le persone residenti dal 1945. Chi non aveva requisiti, diventò “bidun”.
Negli anni ’80 la discriminazione si è fatta acuta. Da allora i bidun non hanno accesso alle scuole pubblica, impieghi nella pubblica amministrazione e cure mediche gratuite. A peggiorare le cose è stata l’invasione irachena del 1990, quando molti bidun furono accusati di aver collaborato con l’ex regime vennero emarginati dalla comunità civile.
Da quando sono iniziate le proteste nel 2011, dice Amnesty, il governo del Kuwait ha distribuito cibo e soldi promettendo anche di intervenire per porre fine alla discriminazione nei loro confronti ma solo 34mila di loro avrebbero ottenuto la nazionalità. Per questo motivo i bidun continueranno a manifestare.
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