di Francesca Rossi
L’immagine che molti italiani hanno delle donne straniere presenti nel nostro Paese è, troppo spesso, stereotipata e riduttiva; le donne dell’Est, per esempio, sono immediatamente associate al ruolo di badanti. I casi di cronaca, poi, hanno portato alla luce violenze e soprusi vissuti dalle straniere e questo ha creato una sorta di circolo vizioso per cui ad ogni donna, in base alla nazione di provenienza e alla religione, viene associato sempre un particolare atteggiamento o una questione irrisolta che la riguarda. Quante volte abbiamo sentito parlare di donne arabe musulmane picchiate o uccise dai mariti? E di giovani sottomesse?
A questo punto è d’obbligo una precisazione: i casi appena citati accadono, purtroppo. Non si possono e non si devono nascondere. E’ giusto parlarne, far sapere cosa si cela dietro cortine di omertà, ma non si deve commettere lo sbaglio di fare di tutta l’erba un fascio, evitando di riflettere, di andare oltre le apparenze e capire davvero la diversità.
Non tutte le donne straniere residenti in Italia o naturalizzate italiane, però, sono sottomesse, rinchiuse in casa o vittime di violenze. Per fortuna il lato positivo esiste ed è giusto raccontarlo. Ci sono tanti esempi di straniere che nel nostro Paese si sono realizzate ed integrate, trovando il successo e riuscendo ad esprimere tutto il loro talento.
Lo scopo di questo articolo è presentare due casi noti per dimostrare che la convivenza, l’integrazione ed il rispetto reciproco sono possibili e che la “medaglia” ha sempre due facce. Sono state scelte donne arabe fiere e determinate proprio per sfatare il “mito” che le vuole passive e sottomesse agli uomini.
Dounia Ettaib, marocchina, è presidente dell’Associazione Donne Arabe in Italia. Per il suo impegno contro la violenza sulle donne è stata più volte presa di mira dai fondamentalisti islamici. Vive sotto scorta, ma non rinuncia ad aiutare chi è in difficoltà. La sua associazione si occupa di prestare i primi aiuti a chi è appena arrivato in Italia, ma non solo: sempre più spesso vi si rivolgono italiane che hanno un contenzioso con i mariti arabi. Ha difeso la memoria di Hina, la ragazza uccisa perché accusata di disonorare la famiglia e l’Islam con costumi “troppo occidentali”. Dounia Ettaib sostiene anche che in Occidente molti immigrati arabi impongano il velo alle loro donne per ragioni propagandistiche e di controllo, cosa che non accadrebbe, invece, nei Paesi d’origine.
Un altro esempio è la scrittrice e giornalista Rula Jebreal. Nata a Gerusalemme, di etnia araba e naturalizzatasi italiana, Rula ha svolto volontariato nei campi profughi palestinesi. Si è trasferita in Italia grazie ad una borsa di studio in Medicina. Nel 1997 ha iniziato a collaborare con Il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno. E’ diventata editorialista di politica estera per Il Messaggero e ha condotto l’edizione notturna del telegiornale del canale La7. Ha pubblicato diversi libri per la Rizzoli di cui si può ricordare “La Strada dei Fiori di Miral” da cui è stato tratto il film “Miral”, vicenda ambientata alla vigilia degli accordi di Camp David e “La Sposa di Assuan”, storia di una donna che, per sfuggire alle persecuzioni di copti in Egitto, decide di sposare un musulmano ed intraprendere un viaggio fino in Palestina per conoscere il suo sposo.
Queste due donne forti sono solo la punta dell’iceberg. Come loro tante altre si danno da fare ogni giorno, nella quiete di una vita fuori dai riflettori. Studiano, imparano, lavorano, hanno il desiderio di vivere alla luce del sole nel Paese che, con il trascorrere del tempo, diventa la loro seconda casa. Sono ragazze, bambine, madri che non si danno per vinte e non accettano di subire soprusi. Reagiscono, danno e pretendono rispetto, ottenendolo. Sono loro, più o meno famose, gli esempi a cui tutte le donne, italiane o straniere, dovrebbero guardare per saper dire basta alla violenza. La dignità non è e non sarà mai un concetto obsoleto. Si possono cambiare le leggi, gli usi, ma l’integrità di qualunque persona resta uno dei perni indistruttibili dell’umanità.
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