Una sola parola, per descrivere l’atteggiamento politico del Governo britannico in materia di immigrazione: super-selettività. Si tratta della gestione della questione relativa ai detenuti stranieri presenti nelle carceri del Paese, che, secondo l’opinione imperante, sono persone che dovrebbero essere effettivamente espulse.
È quanto emerso dal discorso, pronunciato all’inizio dell’anno, del ministro dell’Immigrazione, Damian Green. E, appena due settimane fa, il capo esecutivo della UK Border Agency (UKBA), Rob Witheman, nel commentare la decisione del Governo, ha utilizzato, appunto, il termine “super-selettività”, utilizzato dallo stesso Green in occasione della sua orazione di inizio anno al Centro di ricerca del Conservative Policy Exchange, parlando del netto atteggiamento di chiusura verso ogni possibilità di integrazione dei detenuti stranieri.
Una tendenza nient’affatto rassicurante per il destino di questi uomini, che ha portato il direttore dell’Associazione per la riforma carceraria, Juliet Lyon, a un commento altrettanto duro: tali provvedimenti tratterebbero una classe di persone come “una massa omogenea” e non come degli individui.
Ma non è tutto. Oltre all’espulsione, secondo la communis opinio dei ranghi politici e governativi inglesi, si deve intervenire rapidamente, cambiandola, sulla pratica dell’uso abituale della Convenzione europea per i diritti umani da parte dei detenuti stranieri.
“È vergognoso che assassini di bambini e stupratori possano abusare della legge sui diritti umani per sfuggire all’espulsione dal Paese” – ha affermato senza esitazioni il deputato conservatore di Dover & Deal, Charlie Elphicke. Per non parlare “del diritto alla vita familiare di quelle famiglie che sono state distrutte”. E, ancora, del diniego dell’accesso all’assistenza legale gratuita.
Ad oggi, sono 10.861 i detenuti stranieri nelle carceri britanniche. E, di certo, “non devono restare qui”. Stando ai dati forniti dall’Associazione per la riforma carceraria, sarebbero 156 i Paesi d provenienza: più della metà sono jamaicani, ma nutrita è la presenza anche di condannati provenienti da Polonia, Irlanda, Nigeria, Pakistan, Romania, Lituania, India, Vietnam e Somalia.
E, naturalmente, non tutti sono assassini, stupratori o violenti: le percentuali, infatti, raccontano che circa la metà delle donne straniere detenute in Gran Bretagna “è dentro” per reati di droga. Poco meno del 20%, invece, per frode o reati falsari. E molte sono le detenute che, fuori dalla galera, hanno dei figli, nella metà dei casi minori di 18 anni.
L’aumento esponenziale dei detenuti stranieri in Gran Bretagna ha portato a un rafforzamento della politica per l’immigrazione: nel mese di luglio, e per prevenire il continuo richiamo dell’articolo 8 dei diritti umani, è stato emanato un nuovo provvedimento, secondo cui la Convenzione ( e quindi la relativa tutela legale) troverà applicazione “solo in circostanze eccezionali e dove l’interesse pubblico sia controbilanciato”.
Nigel Caleb, direttore del DAS, ha affidato a una frase il suo disappunto: “Non è giusto sottoporre qualcuno all’espulsione senza nemmeno dargli i mezzi per capire la situazione e senza far valere i propri diritti previsti dalla legge”.
Il provvedimento segue lo UK Borders Act del 2007, in forza del quale si prevede l’espulsione immediata per i non residenti nell’Area economica europea che ricevano una pena detentiva di almeno 12 mesi. Un provvedimento anch’esso fondamentalmente iniquo, poiché ripone, nella durata della detenzione, la sola condizione per essere espulsi. E non, come invece dovrebbe in forza di un comune senso di giustizia e di legalità, nella gravità del reato.
Emilio Garofalo
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