A Roma si è conclusa la dodicesima edizione dell’International Herald Tribune Luxury Summit guidato da Suzy Menkes, la massima autorità quando si parla di moda. La giornalista dell’ IHT, ha scelto come tema per quest’anno: “The promise of Africa, the power of the Mediterranean” – La promessa dell’Africa, il potere del Mediterraneo. Il binomio chiave della conferenza è Africa e Lusso.
Questa volta le due parole non si accostano né per far arricciare il naso ai più, tantomeno per parlare di qualche sanguinaria risorsa come i diamanti, l’oro o il petrolio. Stavolta l’accostamento ha un suo senso e un investimento che non mira a rimpinguare le tasche dei soliti noti, ma contribuisce al grande progetto di autodeterminazione dell’Africa che diversi tra associazioni e imprese stanno portando avanti.
Oltre 500 i delegati di trenta nazioni diverse. Tra questi: Manolo Blahnik, Jean Paul Gaultier, Donatella Versace, Frida Giannini, Silvia Venturini Fendi, Diego della Valle e Bono Vox.
A spiegare perché è stata scelta come sede la Città Eterna è la stessa Menkes: “Ho realizzato che per la sua posizione, per la sua bellezza, per le sue radici, l’Italia è un ponte per l’Africa. Siete un paese generoso e sono intrigata dall’idea del lusso come risultato di una cosa fatta a mano. Ecco l’Italia è uno degli ultimi Paesi che ha questa grande tradizione manifatturiera.”
Per la giornalista britannica lusso non è ciò che sbrilluccica, non è un mero status symbol specchio di una certa puzza sotto al naso. “Il lusso per me non è qualcosa di terribilmente costoso che ha a che fare con i prodotti dei designer più alla moda. Io preferisco ritornare al concetto di lusso di un tempo.”, ha detto la Menkes. “Per me non c’è niente di più lussuoso di qualcosa che è fatto a mano. Qualunque cosa sia. Il concetto di lusso sta cambiando pelle ed è un fatto.”
L’obiettivo della conferenza è stato intanto quello di far notizia. Di far conoscere le possibilità che ci sono. Di raccontare e scambiarsi idee e progetti futuri. La giornalista ha parlato delle iniziative in Lagos come la Fashion Week Design, in Kenya e in Etiopia dove Simone Cipriani ha fatto partire un progetto ora in mano a una cooperativa di donne che ha unito il sapere locale al savoir faire nostrano. “Una donna Masai in Kenya che lavorava per un’altra cooperativa mi ha detto: è la prima volta che ricevo del denaro. Lo uso per far andare a scuola mio figlio. E’ su questo che ci dobbiamo concentrare quando pensiamo al mondo del lusso.”
I vantaggi sono indiscutibilmente molti. Le grandi firme commissionano lavori alle cooperative africane, per lo più in gestione alle donne, il vero motore del continente, le quali, lavorando, ricevono del denaro che permette loro di mandare i figli a scuola perchè non più costretti a lavorare per mangiare a fine giornata. Altro vantaggio è quello di suscitare un savoir faire tutto made in Africa. Niente di più lontano dalla beneficenza. Non è solo filantropia. E’ un progetto commerciale che negli anni porterà i suoi vantaggi. L’obiettivo è che “quando si compera una borsa di Vivienne Westwood non si compera perché c’è scritto made in Africa, ma perché è buona! Perché è un buon prodotto!”, ha dichiarato la giornalista.
Luca Iacoponi
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