“L’alternativa avrebbe potuto essere quella di essere denunciati per omicidio del consenziente. Comunque i medici si sono attivati pensando alla salute del paziente”. Con queste parole l’avvocato Fulvio Gianaria difende il proprio assistito, uno dei medici che hanno operato la trasfusione a D.B., testimone di Geova, che per ben 17 volte aveva fatto riportare nella cartella clinica il proprio rifiuto a subire l’immissione ematica. Quella trasfusione, incompatibile con la confessione religiosa dell’uomo, che si è dimostrata salvatrice.
Ha infatti permesso a D.B., un operaio reduce da un incidente sul lavoro, con una mano schiacciata, un arto ricostruito chirurgicamente e numerosi problemi post-operatori, di sopravvivere. Il fatto è avvenuto quattro anni fa a Torino, ma ora il caso potrebbe subire una svolta.
Il legale del paziente, il professor Francesco Dassano, ha infatti chiesto al gip Luisa Ferracane di inviare gli atti alla Corte Costituzionale, ponendo enfasi sul principio all’autodeterminazione della persona – anche rispetto ai trattamenti sanitari coattivi – che sarebbe stato violato dai medici. Gli avvocati dei medici stessi sostengono di essere tranquilli, dato che la trasfusione venne autorizzata da un pm. “Lo scrimine dello stato di necessità previsto dal codice penale come causa di non punibilità – ha dichiarato l’avvocato Dassano – oggi trova uno sbarramento nel dissenso manifestato in modo cosciente e lucido dal diretto interessato”.
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