“L’Italia riveda le politiche che contribuiscono allo sfruttamento dei lavoratori migranti”. Lo ha dichiarato Amnesty International durante la pubblicazione del rapporto sullo sfruttamento dei lavoratori migranti nell’agricoltura. In particolare il rapporto documenta la condizione dei lavoratori provenienti dai paesi della’Africa del Nord, Subsahariana e Asia, impegnati in lavoro poco qualificati, stagionali, nelle province di Latina e Caserta.
All’inizio del 2011 la presenza di cittadini stranieri in Italia era stimata intorno a 5,4 milioni, circa l’8,9% della popolazione. Di questi circa 4,9 milioni hanno documenti in regola che li autorizzano a stare in Italia. Circa mezzo milione di lavoratori migranti sono privi di documenti, quindi irregolari.
Secondo i dati Amnesty, lo sfruttamento dei lavoratori migranti nel settore dell’agricoltura è diffuso in particolare nell’Italia meridionale. Gli immigrati ricevono paghe inferiori di circa il 40%, a parità di lavoro, rispetto al salario italiano minimo concordato tra le parti sociali e lavorano un numero maggiore di ore.
“Nell’ultimo decennio le autorità italiane hanno alimentato l’ansia dell’opinione pubblica sostenendo che la sicurezza del paese è minacciata da un’incontrollabile immigrazione ‘clandestina’, giustificando in questo modo l’adozione di rigide misure che hanno posto i lavoratori migranti in una situazione legale precaria, rendendoli facili prede dello sfruttamento”, dice Franca Pizzutelli, autrice del rapporto e ricercatrice del Segretariato Internazionale di Amnesty International.
“Il controllo dell‘immigrazione – ha sottolineato – può costituire un interesse legittimo di ogni stato, ma non deve essere portato avanti a danno dei diritti umani di coloro che si trovano nel suo territorio, lavoratori migranti inclusi”.
“L’esito di tutto questo, spesso, per i lavoratori migranti consiste in paghe ben al di sotto del salario concordato tra le parti sociali, riduzioni arbitrarie dei compensi, ritardato o mancato pagamento, lunghi orari di lavoro. Si tratta di un problema diffuso e sistematico”- ha aggiunto.
In Italia, per controllare il numero di migranti, si stabiliscono delle quote d’ingresso per tipi diversi di lavoratori e si rilasciano permessi sulla base di un contratto scritto. Queste quote oltre ad essere inferiori al fabbisogno di lavoratori migranti, sono uno strumento inefficace, secondo Amnesty, che incentiva lo sfruttamento dei lavoro a danno dei migranti.
I datori di lavoro infatti preferisco assumere già chi si trova in Italia, senza considerare le quote d’ingresso stabilite dal governo. Questo anche perché la legislazione italiana ha introdotto il reato di “ingresso e soggiorno illegale”, alimentando la xenofobia e la discriminazione nei confronti dei lavoratori migranti irregolari.
Alcuni lavoratori, possono avere già il permesso scaduto, altri invece possono aver ottenuto un visto attraverso intermediari, ma non riescono poi a ottenere il permesso di soggiorno. Per questo motivo, alcuni lavoratori migranti finiscono per non avere nessun documento, rischiando l’espulsione dal Paese.
“Le autorità italiane dovrebbero modificare le politiche in materia d’immigrazione concentrandosi prima e soprattutto sui diritti dei lavoratori migranti, indipendentemente dal loro status migratorio, garantendo loro un efficace accesso alla giustizia, istituendo meccanismi sicuri e accessibili per i lavoratori migranti che intendono presentare esposti e denunce contro i datori di lavoro, senza timore di essere arrestati ed espulsi” – ha concluso Pizzutelli.
Amnesty ha anche raccolto le testimonianze dirette di lavoratori nelle zone di Latina e Caserta:
“I primi quattro anni dopo essere arrivato in Italia ho lavorato in una fabbrica che confeziona cipolle e patate per l’esportazione. Mi pagavano 800 euro al mese per 12-14 ore di lavoro al giorno. Il datore di lavoro mi diceva sempre che se avessi lavorato duro e bene, mi avrebbe fatto avere i documenti, ma non l’ha mai fatto.” (“Hari”)
“Lavoro 9-10 ore al giorno dal lunedì al sabato, poi cinque ore la domenica mattina, per tre euro l’ora. Il datore di lavoro mi dovrebbe pagare 600-700 euro al mese; io contavo di mandare 500 euro al mese a mio padre in India. Negli ultimi sette mesi, però, il datore di lavoro non mi ha pagato il salario intero. Mi dà solo 100 euro al mese per le spese. Non posso andare alla polizia perché non ho documenti: mi prenderebbero le impronte e dovrei lasciare l’Italia.” (“Sunny”)
“Quando non hai i documenti ti danno solo ‘lavoro nero’, che è mal pagato. Prendiamo dai 25 ai 30 euro al giorno per otto o nove ore di lavoro [2.75-3.75 euro l’ora]. Ma quando ci facciamo male non prendiamo niente.” (“Ismael”)
“Quando il datore di lavoro non paga, che cosa puoi fare per avere il denaro? Senza documenti, come puoi andare alla polizia? Senza documenti, sei espulso. Ma non hai fatto niente di male…”. (“Jean-Baptiste”)
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