Ciò che è accaduto prima in Portogallo e poi in Spagna, accade ora anche in Italia. Tre paesi duramente provati dalla crisi economica che fino al 2010 apparivano ancora attrattivi per molti migranti in cerca di lavoro oggigiorno vivono una situazione completamente capovolta giacché dal 2011 anche l’Italia da Paese di immigrazione torna ad essere Paese di emigrazione.
I numeri parlano da soli: lo scorso anno il Bel Paese ha accolto appena 27mila stranieri mentre ha salutato 50 mila italiani in partenza verso altri lidi.
Uno scenario che appariva impensabile fino a pochissimo tempo fa: dal 2002 al 2009 ha infatti varcato la soglia italiana un numero oscillante tra i 350mila e i 500mila migranti all’anno.
Secondo Gian Carlo Blangiardo, docente di Demografia all’università Milano-Bicocca e curatore dei dati raccolti nel XVIII rapporto Ismu sulle immigrazioni 2012, occorre sottolineare l’alto tasso di migranti che hanno deciso di lasciare il nostro paese; sintomatico è il dato rilevato dal censimento effettuato dall’Istat lo scorso anno, che ha individuato 800mila stranieri iscritti all’anagrafe ma non presenti sul territorio, verosimilmente questi migranti hanno abbandonato il nostro Paese senza avvisare nessuno, realizzando che l’Italia aveva ormai ben poco da offrire.
Le prime avvisaglie di questo fenomeno erano già evidenti nel 2010, quando il saldo tra stranieri che entravano e stranieri che uscivano dall’Italia era sceso vertiginosamente a 69mila unità, tuttavia è quest’anno che si registra per la prima volta una crescita zero dell’immigrazione: al primo gennaio 2012 gli stranieri in Italia erano 5milioni e 430mila contro i 5 milioni e 403 mila dell’anno precedente.
Il dato potrebbe essere fuorviante e l’Ismu tende a precisare come questo non significhi che poco a poco gli stranieri smetteranno di venire e abbandoneranno gradualmente l’Italia, al contrario, i residenti non italiani aumenteranno di 6 milioni entro il 2041, passando a rappresentare il 18% della popolazione. Il dato raccolto bensì illustra come l’Italia stia diventando un Paese ad immigrazione lenta e consolidata, archiviando per sempre la crescita tumultuosa del numero di migranti e tutto ciò che ne è derivato come l’epoca delle sanatorie, degli allarmi immigrazione e della paura dello straniero che ha fatto la fortuna di determinate compagini politiche pronte a cavalcare e a nutrirsi di questa paura.
Aumentano quindi i migranti che soggiornano da lungo tempo, cresce il numero delle concessioni di cittadinanza (70mila nel 2011) e diminuisce la quota di immigrati irregolari (-26%).
Il Bel Paese approda dunque in un nuovo stadio della sua vita in cui la sfida principale è quella dell’integrazione di quelli che ormai vi vivono stabilmente, sarà cruciale tenere a mente il gran numero di ragazzi nati da genitori stranieri che frequentano le nostre scuole e che non possono ottenere la cittadinanza italiana prima dei 18 anni, i dati parlano di quasi 800 mila soggetti.
L’altra faccia della medaglia è rappresentata dagli italiani (+9%) in particolar modo giovani e ben qualificati, che scelgono di fare le valigie e cercare fortuna altrove, ammontano a 4 milioni e 200 mila i connazionali residenti all’estero, un numero che non si allontana molto da quello degli stranieri in Italia. E’ paradossale come spiega ancora Blangiardo: «Da una parte importiamo giovani stranieri laureati che finiscono per trovare un mestiere poco qualificato, dall’altra esportiamo giovani cervelli che soltanto all’estero trovano una professione alla loro altezza», e chi rimane a fronteggiare la crisi in Italia sono proprio gli stranieri, i quali abituati da sempre ad accettare condizioni meno favorevoli si dimostrano più versatili e flessibili all’interno di un modello economico al quale purtroppo l’Italia si sta adeguando, ovvero quello della diminuzione del costo del lavoro a scapito della qualità della manodopera.
Per quanto riguarda invece gli stranieri che decidono di lasciare l’Italia, essi appartengono alle categorie più deboli, come ad esempio chi non percepisce un reddito, emblematico è l’aumento dei capofamiglia che fanno tornare moglie e figli nel Paese di origine perché costa meno mantenerli; o ancora cittadini comunitari come rumeni e polacchi che lasciano il nostro paese temporaneamente per tornare solo quando le condizioni saranno migliorate, questi ultimi sono principalmente muratori, carpentieri, operai e tecnici a cui la crisi dell’edilizia ha tolto il posto di lavoro. Esiste anche un numero rilevante di stranieri possessori della ex carta si soggiorno che possono circolare liberamente in Europa e scelgono mete migliori dell’Italia dal punto di vista economico.
C’è poi chi addirittura si ferma prima nel suo tragitto verso il nostro paese, come ad esempio i migranti provenienti dall’Africa sub sahariana, che durante il viaggio finiscono per stabilirsi nei paesi del Maghreb dove riescono a trovare lavori a condizioni migliori di quanto non troverebbe in Europa, non sono pochi infatti i cantieri finanziati dalla Cina in Marocco.
E’ dunque il sistema Europa nel suo complesso ad essere diventato poco attrattivo nei confronti degli stranieri. La mappa mondiale della migrazione sta radicalmente cambiando, sembrano finiti i tempi delle migrazioni dal Sud del mondo verso il Nord. Oggi un terzo si sposta all’interno dei Paesi più poveri, un terzo continua a voler raggiungere i Paesi più ricchi, e la novità è quel terzo che dai Paesi più ricchi si sposta nei paesi emergenti. Molte nazioni sudamericane, Brasile in testa, ma anche la Turchia, hanno un tasso di crescita maggiore rispetto a molti Paesi Europei e gli studiosi di demografia sanno che non c’è un indice più preciso del fenomeno migratorio per capire dove si sta spostando l’economia mondiale. L’Italia e in generale i Paesi Europei dunque non sono più le terre promesse che erano un tempo e che i migranti sognavano di raggiungere, i migranti di oggi hanno spostato il loro orizzonte dei sogni.
Alex Bizzarri
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