Russia, proposta choc: carcere per i giornalisti che danno brutte notizie

Dimenticate brutte notizie e foto cruente. In Russia dicono “Basta!” alla cronaca nera, in fondo meglio parlare di gossip, matrimoni o delle ultime imprese sportive di Vladimir Putin.

Ogni tre notizie brutte, sette devono essere positive, questo è l’imperativo; in questo modo la Russia tenta di mettere un ulteriore freno al già vessato mondo dell’informazione. L’obiettivo è “proteggere la psiche della popolazione” e la pena prevista per i giornalisti che non si attengono al tetto fissato andrebbe dai 2 ai 6 anni di reclusione.

I Maya sono un ottimo esempio di come si è concretizzato questo diktat; prontamente censurato ogni riferimento alla civiltà precolombiana e alle loro profezie per frenare gli isterismi che avrebbero potuto provocare; non ci si ferma qui tuttavia, è in arrivo una legge che vieta di parlare addirittura di incidenti stradali in modo da non urtare la sensibilità dei russi, quest’ultima potrebbe essere operativa grazie al benestare di Putin già da inizio 2013.

“Proposta di legge per la protezione della psiche della popolazione”; il titolo del provvedimento parla già da sé, tuttavia è labile la concezione di “notizia negativa” e necessita di giusta interpretazione dal momento che tra una catastrofe naturale, un fatto di cronaca nera e una protesta dei lavoratori, un telegiornale avrebbe già esaurito la sua quota di “bad news”.

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Altri interrogativi si pongono inoltre sul problema interpretativo; a tal proposito, un ministro corrotto smascherato e arrestato è da considerarsi una bella notizia? Una protesta anti-Putin è una notizia negativa?

In quella definizione di “negativo” rientrerebbero anche le stragi del Caucaso e le conseguenti repressioni di terroristi da parte della polizia. Nel momento in cui una notizia simile viene censurata tuttavia è come se non fosse mai avvenuta, troppo scomoda forse da far sapere e da raccontare visto dacché non “aiuta a tenere alto il morale”; col risultato che le notizie inizieranno ad essere valutate caso per caso in modo da riuscire a filtrare ad arte quello che si vuole far sapere alla popolazione e quello che si preferisce nascondere.

Stessa sorte toccherebbe alle immagini troppo cruente, addio alle foto-reportage da luoghi di catastrofi naturali o di guerra; niente più racconti di maltrattamenti e molestie.

Oleg Mikheev, il deputato di un partito filo-governativo, ci tiene a precisare: “Per capire la gravità di un episodio non occorre dover subire il trauma della visione di feriti e corpi mutilati”.

La buona intenzione di porre un freno al voyeurismo dell’orrore cozza però col rischio di alimentare una crescente indifferenza.

Un altro dei punti affrontati dal provvedimento riguarda l’eccesso di pubblicità, considerata troppa persino ai margini delle strade.

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“Bisognerebbe mettere un freno a questo bombardamento di informazioni – incalza Mikheev – che confondono le idee e estraniano dalla realtà”.

Ci chiedamo dunque se sia meglio un sano e poco straniante isolamento…

 

 

Alex Bizzarri

 

 

 


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