Le tradizioni albanesi custodite dalle comunità arbëresh in Italia

Comunità arbëresh a Cosenza

di Arbër Agalliu

LA TRADIZIONE ARBËRESH IN ITALIA. Ormai non mi meraviglio più nel vedere e sentire parlare di cerimonie come quella organizzata dalle comunità arbëresh della Basilicata. Come di consuetudine anche quest’anno essi hanno organizzato nella città di Maschito l’evento in ricordo del 545° anniversario della morte del condottiero Giorgio Castriota Skanderbeg. Sarà perché sono un giovane ragazzo albanese cresciuto in Italia, mantenendo la lingua, gli usi e i costumi del mio paese, sarà perché non ho mai scordato le mie origini o perché ho visto da vicino queste meravigliose terre del sud Italia, le stesse terre che mi hanno fatto sognare e tornare indietro nel tempo, che mi hanno ricordato la terra dove sono nato, sarà perché là il mio nome Arbër ha ritrovato le sue radici o sarà la “mikpritja” di queste comunità che mi ha fatto sentire come a casa mia nel Vulture. Con le loro feste e le loro tradizioni tramandate dai primi che giunsero in queste zone dopo la morte del Castriota, i cittadini di Maschito e delle città limitrofe mantengono viva tutt’oggi una cultura, un modo di vivere e soprattutto una lingua.

Oj e bukura More çё kur tё lashё u mё nëng tё pashë. Atje kam u zotin tatё atje kam u zonjen mёmё atje kam edhè im vёlla gjithë mbuluarë ndën dhe!

Quante emozioni forti può trasmette una canzone, è tanta la commozione che trasmette questo canto arbëreshe di 600 anni fa. Una canzone che narra l’esodo albanese verso il sud Italia, una canzone che col suo testo e la sua fama è nota in tutti i territori dove risiedono albanesi, arbëreshe o arvanitas. Questa poesia ci dimostra come la lingua può tenere unito un popolo che si trova diviso ormai da un mare da oltre 500 anni.

LA STORIA, UN PATRIMONIO DA NON DIMENTICARE. Se da una parte provo orgoglio e mi sento onorato di aver visitato queste belle realtà, dall’altra mi si accappona la pelle nel vedere la patria del eroe Castriota dimenticarsi di lui, dimenticarsi del suo padre, che tanto ha combattuto per difenderla dall’invasione dei turchi e tanto si è dato da fare per creare legami con altri popoli affinchè quel pezzo di terra affacciato sul Mediterraneo potesse riuscire a sopravvivere all’ondata ottomana.

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Un po’ vergognato e un pò deluso, mi rimane difficile accettare la realtà… Molti monumenti che fino a poco tempo fa erano tappe di riferimento per ricostruire la storia di una delle icone più grandi dei Balcani e dell’Europa, oggigiorno sono diventati macerie e detriti che non rappresentano più nulla. Uno su tutti è il Castello di Rodoni costruito nel 1451 da Skanderbeg. Del castello, costruito poco distante dalla città di Alessio (città dove morì il condottiero), oggi non rimane che una cinta di mura che ci lascia immaginare ciò che poteva essere stato più di 500 anni fa. Costruito lungo le coste, in un punto strategico, il castello garantiva al paese uno sbocco sul Mar Adriatico e una via di fuga ai cittadini in caso di estremo pericolo. Oggi il mare è un “mare” di rifiuti, dove bottiglie di plastica e detriti di ogni genere si riversano nelle acque e rovinano l’ambiente e il paesaggio che circonda il castello di Giorgio Castriota.

Un altro sito importante che sta andando perduto è il villaggio dove Skanderbeg è nato. Sinë, questo è il nome del villaggio, è situato nel nord-est dell’Albania, nello stesso territorio dove tutt’ora esistono villaggi che portano il suo cognome appunto Kastriota. Nel 1985 il Regime comunista fece costruire a Sinë un museo dedicato al Castriota, ma dopo la caduta della dittatura nel 1992, il museo è stato abbandonato e nessuno ha mai più pensato di investire in questa struttura. Eppure in questo piccolo villaggio Skanderbeg fece ritorno per riprendere il controllo delle sue terre e dichiarare guerra agli invasori turchi.

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Oggigiorno molti giovani albanesi non solo non festeggiano il 17 Gennaio, anniversario della morte di Skanderbeg, ma nella maggior parte dei casi essi non sanno nemmeno l’esistenza di questa data storica che ha segnato il destino di un popolo e di una regione. Nel mese di Novembre dell’anno scorso, per l’occasione del centenario dell’indipendenza dell’Albania dal dominio ottomano (1912-2012), il governo albanese dopo innumerevoli tentativi è riuscito a riportare in patria le armi dell’Eroe nazionale Giorgio Castriota Scanderbeg. L’elmo e la spada esposte al Museo Nazionale di Tirana, furono usati da quest’ultimo nella seconda metà del ‘400. Le armi sono sempre state conservate al Kunsthistorisches Museum di Vienna, si presume che siano giunte in Austria dopo l’esodo degli albanesi verso il Sud Italia nel 1478 dopo la morte di Giorgio.

Diversi studi hanno portato alla luce il percorso che questi oggetti di valore hanno compiuto fino ad arrivare ad essere esposti nel Museo Nazionale di Vienna. Visto il valore stimato di questi oggetti, dalle ricerche emerge che possano essere stati venduti dagli eredi di Scanderbeg, prima al Duca di Urbino e di Arezzo e successivamente a Ferdinando II d’Austria. Il ritorno “a casa” delle armi di Giorgio Castriota è stato solo di passaggio in quanto le autorità austriache hanno permesso l’esposizione delle reliquie solamente per il periodo delle festività.

Lo stato albanese chiede da anni che le armi del noto condottiero vengano restituite per essere portate in patria, ma d’altra parte non conserva i tanti oggetti di Skanderbeg altrettanto di valore che possiede all’interno dei territori nazionali. A differenza di Giorgio Castriota, il quale è risalito alla storia e si è battuto fino alla morte per unire un popolo sotto una stessa bandiera ed una stessa nazione, i politici albanesi d’oggi invece rimarranno nella storia come un gruppo di mercenari che si battono tra di loro per gl’interessi personali, dividendo il Paese dal nord al sud. Gli arbëreshe sono rimasti fedeli al loro eroe, al loro padre Skanderbeg il quale affermava: “Meglio morire in una terra lontana esiliato, che rimanere schiavo nella tua patria”. Con il rispetto e la volontà che hanno dimostrato nel ricordare le loro origini, gli arbëreshe si meritano di avere in possesso non solo le armi del nostro condottiero nazionale, ma anche altri oggetti di valore che nel paese delle aquile andrebbero persi col passare degli anni. In questo modo, l’icona di Skanderbeg e la cultura albanese insieme alla lingua arbëreshe rimarrebbero vive, in quanto essi sono e si sentono i veri discendenti del Castriota.


Profilo dell'autore

Arber Agalliu
Odio ripetere il mio nome due volte quando mi presento agli altri, come odio rispondere a chi mi domandano se mi trovo meglio in Italia o in Albania. Io mi sento un italiano albanese a Firenze, ed un albanese italiano a Tirana.

Tra le varie collaborazioni in Italia ed in Albania c'è anche quella con ToscanaTv. All'interno del programma "Toscana senza frontiere" riporto la bella faccia dell'immigrazione, attraverso reportage e interviste da me realizzate.

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