“Basta essere trasferite come pacchi. Chiediamo un trattamento dignitoso. Vogliamo i nostri documenti e chiediamo di essere trattate come esseri umani e di essere libere di determinare le nostre vite”. Questo l’appello di 45 donne eritree, in Italia come rifugiate politiche, indirizzato al neo presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini, ex portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. “Tra di noi ci sono anche 2 donne incinta e 4 bambini – scrivono le donne, assistite dall’associazione InfoMigrante – Siamo arrivate a Lampedusa ad agosto 2012, da lì siamo state trasferite in un centro di accoglienza a Tivoli, vicino Roma. La posizione del centro era completamente isolata dal centro abitato di Tivoli, mal collegata con Roma e strutturalmente inadatta ad assicurare condizioni di vita decenti: i muri perdevano continuamente acqua perché le condutture erano rotte, i termosifoni non funzionavano e c’erano solo 4 bagni chimici per un totale di 79 ospiti. C’era una mancanza di servizi: all’interno della struttura, nessun dottore è mai venuto a visitarci; per molto tempo non abbiamo avuto nemmeno la possibilità di ricevere trattamenti medici nelle strutture esterne al centro perché, senza documenti, non potevamo chiedere la carta sanitaria; molto spesso gli operatori amministravano le medicine per le nostre malattie ma, ovviamente, non erano persone competenti a comprendere i nostri dolori e spesso davano a tutti noi le stesse medicine. Nonostante queste povere condizioni, siamo state in grado di assicurarci i diritti minimi: carta sanitaria e registrazione dei nostri figli a scuola, ma non un servizio di trasporto”.
LA RISPOSTA DELLA BOLDRINI. “Posso assicurarvi che mi farò carico di veicolare la vostra richiesta al ministero dell’Interno per sollecitare una soluzione che vada incontro alle vostre esigenze e a quelle dei vostri figli”. Repentina la risposta del Presidente della Camera, che su Facebook ha lanciato la sfida ai suoi follower: “Chiedono di essere trattate come esseri umani, con dignità, e di essere libere di determinare la propria vita. Al loro posto, vorreste la stessa cosa?”
“Dopo tanti anni di lavoro con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, – spiega Boldrini – so bene quanto difficile sia la situazione dei rifugiati e in particolare delle donne. La difficoltà di ritrovarsi da sole, in un Paese straniero, senza conoscere la lingua, senza un sostegno, a reinventarsi una vita spesso con i figli piccoli al seguito”. “La lettera che mi avete mandato mi ha colpito. – dice ancora – Sapere della vostra vita in Italia, caratterizzata da continui trasferimenti, con tutte le conseguenze che ciò comporta, soprattutto per i bambini e la loro iscrizione a scuola, evidenzia come l’attuale sistema trascuri le esigenze indispensabili per favorire un processo di integrazione. Mi riferisco in particolare alla difficoltà di dover ricominciare ogni volta da zero, per di più dopo essere state sistemate in zone isolate, lontane dai centri abitati”.
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