Lo scorso mercoledì il crollo del palazzo di otto piani in Bangladesh ha causato la morte di 381 operai e molti altri dispersi. Oggi iniziano ad emergere le prime verità. Dalle macerie del Rana Plaza è stata rinvenuta una camicia di colore scuro, sporca di polvere, con su un’etichetta verde inconfondibile: “United Colors of Benetton”, recita la scritta. Le fabbriche tessili che avevano sede nel palazzo, dunque, producevano capi di abbigliamento per conto di multinazionali occidentali, tra cui Benetton, incastrata da una fotografia.
L’azienda veneta, dopo un primo tentativo di negazione di rapporti con i laboratori venuti giù nel crollo, ha ammesso: “Il Gruppo Benetton intende chiarire che nessuna delle società coinvolte è fornitrice di Benetton Group o uno qualsiasi dei suoi marchi. Oltre a ciò, un ordine è stato completato e spedito da uno dei produttori coinvolti diverse settimane prima dell’incidente. Da allora, questo subappaltatore è stato rimosso dalla nostra lista dei fornitori“.
Eppure gli attivisti accorsi a Savar, il sobborgo dove è avvenuta la tragedia, fin dai primi istanti hanno parlato di capi di abbigliamento prodotti per grandi marchi occidentali rinvenuti tra le macerie ancora fumanti. Tra questi anche articoli firmati dall’azienda di Ponzano Veneto che ha subito smentito: “Riguardo alle tragiche notizie che provengono dal Bangladesh Benetton Group si trova costretta a precisare che i laboratori coinvolti nel crollo del palazzo di Dacca non collaborano in alcun modo con i marchi del gruppo”.
Intanto l’agenzia France Press fa sapere di aver ricevuto dalla Federazione operai tessili del Bangladesh dei documenti contenenti un ordine di 30 mila pezzi fatto nel settembre 2012 da Benetton alla New Wave Bottoms Ltd, una delle manifatture ingoiate dal crollo. La dicitura “Benetton” appariva anche sul sito internet dell’azienda, all’indirizzo www.newwavebd.com, ma fin dalle ore successive al crollo la pagina non è più accessibile e in rete ne resta solo una copia cache. “Main buyers” (Clienti principali), si legge in alto a sinistra; più in basso, sotto la dicitura “Camicie uomo-donna”, l’elenco degli acquirenti: tra questi, numero 16 della lista, figura “Benetton Asia Pacific Ltd, Honk Kong“.
L’elenco delle aziende che hanno usufruito dei servizi a Savar è davvero lunga. Tra le altre troviamo tre imprese italiane, la Itd Srl, la Pellegrini Aec Srl e la De Blasio Spa. Un’altra ditta, Essenza Spa, che produce il marchio Yes-Zee, ha confermato di essersi rifornita al Rana Plaza. Vi sono anche l’inglese Primark, la spagnola Mango e l’americana Cato e la Clean Clothes Campaign, ong con sede ad Amsterdam, ha fatto sapere che la britannica Bon Marche, la spagnola El Corte Ingles e la canadese Joe Fresh hanno tutte confermato di essere clienti delle manifatture crollate. Un’altra società, l’olandese C&A, ha spiegato a France Press di non avere più rapporti con il Rana Plaza dall’ottobre 2011. L’ultima ad ammettere legami commerciali con il Rana Plaza è stata proprio Benetton.
Luca La Gamma
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