di Teodora Malavenda
Tutte le mattine la sveglia suona alle 7. Un caffè veloce, una doccia e poi la scelta dei vestiti e del trucco. Linda è bella ma lo ha dimenticato troppo presto. Scende dall’autobus con un fare impacciato che guardandola non si può fare a meno di immaginarla dentro un film di Woody Allen. Occhi e lunghi capelli neri, sopracciglia folte su una pelle olivastra. Indossa sempre qualcosa di bianco e molto aderente. Impossibile non notarla. È irrequieta, non riesce a stare seduta per più di un minuto. Cammina a fatica sui tacchi – quelle scarpe sono un regalo della sua mamma – e spesso sembra parli da sola, forse immaginando di avere accanto un’amica.
Quando si concede dei momenti di pausa dalla frenesia, mastica nervosamente dei semi di zucca. Li preferisce alle sigarette. Su quei semi scarica tutta la tensione che ha dentro. Li mette in bocca, li rompe e poi sputa il guscio. Così, senza vergogna.
Linda è arrivata in Italia il giorno prima del suo ventunesimo compleanno. Due occhi lucidi le conferiscono uno sguardo ancora più altero quando racconta che per mettere da parte i soldi del viaggio ha lavorato in un bar per sei mesi. In quel periodo sognava i bei vestiti, pregustava il cibo italiano e confidava in una vita nuova, migliore, piena di tutte le cose che non aveva.
Arriva a Reggio Calabria per necessità. In città ci sono dei conoscenti connazionali che possono ospitarla. Lei un affitto non può permetterselo. Vivono in sei in una stanza. Quando ha bisogno di stare sola va in spiaggia e guarda il mare dello Stretto e inizia a giocare con la fantasia. I pochi soldi messi da parte finiscono dopo tre mesi e Linda di certo non li ha spesi per fare shopping. L’unico regalo che si è concessa è una collanina con un delfino. L’ha comprata per la mamma. Aspetta di riabbracciarla per potergliela mettere al collo.
Linda ha fame. Non può chiedere aiuto a nessuno. Non parla ancora bene l’italiano e si fa comprendere a fatica. Una domenica di dicembre esce di casa e si dirige senza esitazione verso la stazione. Non è stupida, sa cosa troverà, sa chi le offrirà una possibilità e sa bene di cosa si tratta. Pensava che a lei non sarebbe mai successo ed invece è finita lì, come tante altre. Ad attenderla trova la disperazione e l’arrendevolezza ad una vita che giorno dopo giorno la spreme fino a lasciarla vuota dentro.
Le giornate si ripetono uguali a se stesse. La sensazione è quella di vedere sempre lo stesso film. Neppure il tempo di leggere i titoli di coda che la pellicola si riavvolge e lo spettacolo ha di nuovo inizio.
Linda è in vendita per pochi euro. A chi l’acquista bastano quindici, a volte venti minuti per esercitare un potere che nella vita di tutti i giorni probabilmente non ha o subisce. Durante quei minuti poche parole, nessuna intesa, solo il tentativo di non rendere per denaro, con il corpo, anche l’anima.
È passato solo un anno da quando Linda ha lasciato la sua Brasov eppure quei giorni sembrano appartenere ad un’altra esistenza. Un’esistenza interrotta dalla speranza di una vita migliore. Per tantissimi ormai retorica, consuetudine. Per lei dura realtà che le sporca la pelle e la gioventù.
Sono passate le nove di sera e nella piazza della stazione riecheggia la voce dell’altoparlante: il treno delle 21.30 per Milano è in partenza al binario 3. Linda ascolta con il suo solito fare distratto o forse rassegnato. È consapevole che per ora l’unico treno che può concedersi è quello dei desideri. Così entra di nuovo al bar e al cameriere chiede sempre lo stesso caffè. Macchiato.
La storia di Linda è la storia di Alina, Madalina, Rachida, Florica e tante altre. Sequenze di vite simili seppur ciascuna uguale solo a se stessa.
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