di Riccardo Bottazzo
“Lo vedi questo grande spiazzo? Adesso è vuoto ma in quei giorni di inverno era pieno di gente che chiedeva a gran voce ‘lavoro, libertà e dignità’. Avevamo appena saputo Mohamed Bouazizi si era immolato. Lui era un ambulante, un poveraccio, uno di noi. Non voleva fare l’eroe. Non poteva neppure sapere che dal suo gesto sarebbe scaturito quella rivoluzione che qualcuno ha chiamato la “primavera araba”. Mohamed si è ucciso soltanto perché non ce la faceva più a sostenere la vergogna e il peso della corruzione del regime di Ben Alì”.
Siamo a Menzel Bouzaiene, un paesotto nel cuore della Tunisia a 70 chilometri da Sidi Bouzid, la città dove il 4 gennaio del 2011 il giovane ambulante passato alla storia si è dato fuoco. Menzel Bouzaiene, poche case attraversate da una rotaia dove lunghi e sconquassati treni merci portano i fosfati dalla miniere ai porti mediterranei, è famoso più che per altro per essere stata la prima cittadina a ribellarsi. Una ribellione pagata col sangue. “Prima hanno picchiato con i bastoni – continua l’amico Mohamed, attivista dell’associazione tunisina Accum -, poi hanno sparato e hanno ammazzato due dei nostri. Noi gli abbiamo tirato contro le pietre della ferrovia fino a che sono scappati e siamo riusciti a liberare la città. Ma è stata dura. All’inizio erano riusciti a censurare i social network e la nostra paura era quella di non poter far sapere al mondo che ci stavano massacrando. Per fortuna mio fratello ha un internet point e sa smanettare con il computer. Lui ci ha spiegato come eludere la censura. E’ anche grazie ai filmati diffusi da noi che altre città si sono ribellate”.
“Quando c’è stata la rivolta della casbah – conclude Mohamed – siamo partiti a piedi per Tunisi perché non c’erano mezzi. Uno di noi non ha più fatto ritorno. Menzel Bouzaiene l’ha pagata cara la sua primavera”.
Con Accun e altre associazioni locali e italiane come Un Ponte Per, Ya Basta! sta portando avanti una serie di progetti volti a realizzare dei centri multimediali nelle zone più calde della Tunisia meridionale. “Sappiamo bene quando sia importante disporre di un collegamento in rete, noi di Menzel Bouzaiene! Il nostro centro poi sarà un punto di riferimento politico, gratuito e aperto a tutti, giovani, disoccupati e donne”.
Il Social Forum di Tunisi, il primo a svolgersi in un Paese arabo, ha dato l’occasione agli attivisti di Ya Basta! di organizzare una “carovana” verso il sud del Paese e rinsaldare i rapporti con gli amici tunisini impegnati nei vari progetti. “Siamo venuti soprattutto per vedere con i nostri occhi come si vive in Tunisia e cercare di capire in un’ottica di collaborazione euromediterranea cosa sta succedendo nel mondo arabo – spiega Vilma Mazza, portavoce dell’associazione -. Soprattutto abbiamo cercato di uscire dai luoghi comuni e dagli stereotipi con i quali gran parte dei nostri media descrivono i paesi islamici. Cosa abbiamo trovato? Tante persone con le quali è possibile costruire un percorso condiviso e un mondo complesso, tanto ricco di potenzialità quanto di rischi”.
Le stesse potenzialità e gli stessi rischi che hanno caratterizzato il forum tunisino. Una settimana, l’ultima di marzo, ricchissima di incontri, discussioni, proposte su temi che spaziavano dai cambiamenti climatici ai diritti dei migranti, dalle donne allo sport popolare. Chi si aspettava che dal Forum nascesse una proposta forte, sintetica e condivisibile di lotta alla globalizzazione è stato deluso. Ma bisogna considerare che, dopo Porto Alegre, mai nessun social forum ha mai più avuto tale capacità. Piuttosto, l’appuntamento tunisino è stata una grande vetrina dei movimenti che hanno potuto conoscersi, confrontarsi e, in molti casi, mettere in cantiere future battaglie da combattere assieme.
La stessa, complessa, situazione politica che la Tunisia sta attraversando ha in qualche modo favorito la pluralità delle associazioni presenti e la loro libertà di esprimersi. Anche quando i risultati sono stati a dir poco discutibili. Mi riferisco ad esempio, allo stand dedicato al dittatore Saddam Hussein. Non sono mancate di conseguenza, tante contraddizioni. Su tutte, citiamo la presenza tanto di attivisti pro Assad quanto del fronte di liberazione siriano. Oppure lo stand che denunciava l’occupazione del popolo Sarawi a pochi metri dal capannone dedicato al “grande Marocco unito”.
Ma in fondo, queste che si sono specchiate nel Social Forum sono le stesse contraddizioni che il mondo arabo sta attraversando nel difficile tentativo di fondare un democrazia capace di tutelare i diritti fondamentali e costruire una forma di partecipazione dal basso che non è detto che debba rispecchiare necessariamente quella che noi auspichiamo per l’occidente. Un percorso senz’altro lungo e difficile.
“Mi chiedi cosa sia cambiato dopo la Primavera? – mi confessa Mohamed – Ben Alì non c’è più, non c’è più la sua cricca ma altri hanno preso il loro posto e l’economia è sempre nella mani degli stessi. ‘Lavoro, libertà e dignità’, lo slogan che urlavamo in quei giorni, è lo stesso slogan che urliamo adesso”.
Profilo dell'autore
-
Giornalista professionista e veneziano doc. Quando non sono in giro per il mondo, mi trovate nella mia laguna a denunciare le sconsiderate politiche di “sviluppo” che la stanno trasformando in un braccio di mare aperto. Mi occupo soprattutto di battaglie per l’ambiente inteso come bene comune e di movimenti dal basso (che poi sono la stessa cosa). Ho lavorato nei Quotidiani dell’Espresso (Nuova Venezia e, in particolare, il Mattino di Padova). Ho fatto parte della redazione della rivista Carta e sono stato responsabile del supplemento Veneto del quotidiano Terra. Ho all’attivo alcuni libri come “Liberalaparola”, “Buongiorno Bosnia”, “Il porto dei destini sospesi”, “Caccia sporca”, “Il parco che verrà”. Ho anche curato e pubblicato alcuni ebook con reportage dal Brasile pre mondiale, dall’Iraq, dall’Algeria e dalla Tunisia dopo le rivoluzioni di Primavera, e dal Chiapas zapatista, dove ho accompagnato le brigate mediche e un bel po’ di carovane di Ya Basta. Ho anche pubblicato racconti e reportage in vari libri curati da altri come, ricordo solo, gli annuari della Fondazione Pace di Venezia, il Mio Mare e Ripartire di FrontiereNews.
Sono direttore di EcoMagazine, sito che si occupa di conflitti ambientali, e collaboro con Melting Pot, FrontiereNews, Global Project, Today, Desinformemonos, Young, Q Code Mag, il Manifesto e lo Straniero. Non riesco a stare fermo e ho sempre in progetto lunghi viaggi. Ho partecipato al Silk Road Race da Milano a Dushanbe, scrivendo reportage lungo la Via della seta e raccogliendo racconti e fotografia in un volume.
Non ho dimenticato la formazione scientifica che ho alle spalle e, quando ho tempo, vado a caccia di supposti fantasmi, case infestate o altri "mysteri" assieme agli amici del Cicap, con il quale collaboro per siti e riviste.
Dello stesso autore
- Centro e Sud America10 Aprile 2022La coppia che strappò spiagge e foreste ai latifondisti per restituirle al popolo costaricano
- Europa9 Gennaio 2022Una sentenza tedesca per non dimenticare il genocidio degli yazidi
- Centro e Sud America7 Novembre 2021Dal Chiapas all’Italia, resistenze “poco social” che si intersecano
- Italia25 Luglio 2021‘Fie a Manetta’, le barcaiole veneziane contro il machismo lagunare