“La tragedia di Dhaka è il simbolo del nostro fallimento come nazione”. Lo afferma il premio Nobel per la pace Muhammad Yunus parlando del crollo della fabbrica tessile che in Bangladesh ha causato oltre 1.100 morti. In un articolo pubblicato sul quotidiano britannico Guardian, il fondatore della Grameen Bank sottolinea quanto sia necessaria un’azione urgente per migliorare le condizioni lavorative dei 3,6 milioni di impiegati nel settore tessile.
Mentre si continua ancora a scavare sotto le macerie alla ricerca dei dispersi, le indagini hanno stabilito che gli 8 piani del Rana Plaza erano stati costruiti senza rispettare le basilari norme di sicurezza. Poco prima del crollo i lavoratori, che percepivano uno stipendio di circa 25 dollari al mese, si erano lamentati delle crepe presenti sulla facciata dell’edificio ed erano stati minacciati di licenziamento dai loro datori di lavoro.
Yunus si è appellato ai consumatori ed alle aziende occidentali chiedendo loro di aiutare il suo Paese a regolamentare l’industria del tessile che in questi anni ha vissuto un vero è proprio boom senza nessuna tutela per i lavoratori. Di fronte all’imbarazzo causato dall’incidente alle multinazionali dell’abbigliamento, tra le quali l’italiana Benetton, Yunus sottolinea che abbandonare il Paese ora sarebbe un danno ancora più grave. L’economista si dice infatti cosciente del fatto che l’industria del tessile è ormai una colonna portante dell’economia del Bangladesh e propone alle aziende straniere di scrivere un protocollo di intesa che stabilisca al primo punto il salario minimo da garantire ai lavoratori. “Potrebbe attestarsi intorno ai 50 centesimi l’ora, il doppio dello stipendio medio del Bangladesh”, propone Yunus, “Il salario minimo dovrebbe essere parte integrante di una riforma completa del settore, che a sua volta aiuti a prevenire tragedie come quella di Dhaka”.
Il premio Nobel, originario della città portuale di Chittagong, propone inoltre un supplemento di 50 centesimi di dollaro su ogni capo prodotto in Bangladesh. La somma confluirebbe in un fondo fiduciario dedicato ai lavoratori del settore tessile per garantire loro l’assistenza sanitaria, un alloggio dignitoso e la scuola per i propri figli. “Non penso che un consumatore occidentale si faccia dei problemi a pagare un capo d’abbigliamento 35.50$ invece di 35$”, sottolinea Yunus. Con un fatturato annuo di 18 miliardi di dollari, le esportazioni del settore tessile bengalese potrebbero garantire al fondo circa 1,8 miliardi di dollari ogni anno, “questo vorrebbe dire circa 500 dollari per ognuno dei 3,6 milioni di lavoratori del settore”, calcola l’economista. “I capi venduti con il sovrapprezzo potrebbero avere un’etichetta con su scritto Dai lavoratori felici del Bangladesh, con piacere. Il benessere dei lavoratori è garantito”. Secondo Yunus questo potrebbe anche diventare uno strumento di marketing: e se lo dice l’inventore del microcredito c’è da fidarsi…
di Manuele Petri
Profilo dell'autore
- Dal 2011 raccontiamo il mondo dal punto di vista degli ultimi.
Dello stesso autore
- Americhe20 Dicembre 2024Usare l’AI per ridare un’identità a 10 milioni di schiavi afroamericani
- Centro e Sud America20 Dicembre 2024Capoeira, la ‘danza’ che preparava gli schiavi alla libertà
- Nord America19 Dicembre 2024La vita straordinaria di Elizabeth Miller, da Vogue a reporter di guerra
- Europa19 Dicembre 2024La doppia vita di Solomon Perel, nella Hitlerjugend per sopravvivere all’Olocausto