Masal Pas Bagdadi, quando una bambina in fuga dalla guerra dà voce agli altri bimbi

In occasione dell’Adriatico Mediterraneo Festival, che si terrà ad Ancona dal 24 al 31 agosto, abbiamo intervistato una delle autrici che saranno ospiti quest’anno: la scrittrice e psicoterapeuta siriana Masal Pas Bagdadi, autrice di A piedi nudi nel Kibbutz e Mamma Miriam. Masal nasce a Damasco, in Siria, nel 1938, a soli cinque anni fugge con la sorella in Palestina, dove vivrà in un kibbutz per alcuni anni. In seguito l’amore la porterà in Italia, un paese a lei sconosciuto e che la conquisterà. Le esperienze, positive e negative, vissute nella sua vita hanno portato Masal a intraprendere un percorso interiore grazie al quale è riuscita a superare i traumi infantili più difficili. Ha messo a disposizione le sue esperienze per comprendere gli altri e per aiutare gli altri a comprendere se stessi.

Vorrei iniziare dalla sua infanzia: lei ha vissuto una vita molto intensa, da bambina è stata costretta a scappare dalla Siria ed è arrivata come molti altri ebrei in Palestina, che dopo pochi anni è diventata stato di Israele. Come ha vissuto la separazione dalla sua famiglia e dal suo paese di nascita?

Era il 1944 quando sono stata costretta a scappare insieme a mia sorella dalla Siria e sono entrata illegalmente in Palestina, sono stata allontanata dalla mia mamma, e in seguito anche da mia sorella. Diciamo che le separazioni in generale sono molto difficili, nella vita di ognuno esistono delle separazioni, alcune però sono normali, fanno parte del vivere e le riusciamo a superare proprio vivendo. Ci sono poi separazioni forzate, a causa delle persecuzioni, come quella degli ebrei, non mi vergogno a dirlo, delle guerre. La mia separazione è stata proprio di questo tipo, mi hanno allontanato con la forza dalla mia famiglia e mi hanno portato in Palestina, in un kibbutz di ideali socialisti, dove non conoscevo la lingua (io conoscevo l’arabo e lì parlavano ebraico), non conoscevo il cibo ecc… Il mio primo istinto è stato quello di morire: ho smesso di parlare, di mangiare, non volevo più vivere. Tuttavia l’istinto di sopravvivenza mi ha portato ben presto a buttarmi nella vita a capofitto, come reazione a quello che mi era stato tolto. Non capire chi sei e dove sei ti crea un senso di smarrimento incredibile. Immette in te tante paure, tante nostalgie, della famiglia, della mamma, dei nonni… Io sono riuscita a crearmi un mondo interiore, fatto di ricordi, che mi ha permesso di sopravvivere nel kibbutz. Proprio di questo parlo nel mio libro A piedi nudi nel kibbutz e credo che sia molto importante per i lettori capire che le esperienze traumatiche vissute durante l’infanzia mi hanno portato ad essere quello che sono: una persona complessa, a cui interessa capire gli altri e che utilizza le proprie sofferenze per capire prima se stessa e poi gli altri. Sono un’autodidatta dei problemi psichici e ho dedicato la mia vita ad aiutare gli altri proprio attraverso la comprensione di me stessa per prima.

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Si sente ancora legata alla Siria? O si sente più legata a Israele? Quale dei due paesi considera la sua casa?

Non mi sento neanche un po’ legata alla Siria. Per me è il luogo della persecuzione degli ebrei, il luogo della mia famiglia, ma solo quello. Io non ricordo nulla della Siria e avevo ed ho tantissima paura a tornare lì. Sono invece molto legata ad Israele, che considero la mia terra e sento la cultura e la religione ebraica molto radicate dentro di me. Sono però anche molto legata all’Italia, paese in cui vivo attualmente. In generale mi piace dire che sono una persona, Masal, una ebrea e una cittadina del mondo. In Mamma Miriam parlo proprio di questo.

Da araba ebrea, come vive l’attuale situazione dei conflitti tra Israele e Palestina? Quale sarebbe secondo lei la soluzione ideale?

Non vorrei rispondere a questa domanda, perché non mi occupo di politica e non voglio dunque parlare di politica. Dico solo che sono per Israele e per la pace, non ho dubbi su questo, shalom, significa pace ed è questa la soluzione che vorrei.

Come è arrivata ad occuparsi dell’infanzia? La sua di infanzia e quello che lei ha vissuto da bambina ha influito sulla sua scelta?

Per me è assolutamente un filo che parte dal cuore e dalla testa e va ai bambini. Attraverso il mio lavoro vorrei proprio che gli altri capissero i bambini, perché se non capiamo le loro dinamiche, i loro problemi, i loro pensieri diventeranno cattivi adulti. Spesso gli adulti non vogliono capire i bambini, non si sforzano di comprendere i loro bisogni e vorrebbero che fossero ubbidienti e non si lamentassero mai. La vita però è fatta di relazioni, da quando nasciamo a quando moriamo e i pensieri vanno scoperti per essere compresi. Prima di tutto bisogna però comprendere se stessi perché chi non capisce se stesso non può aiutare il prossimo.

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Com’è nato A piedi nudi nel Kibbutz e poi Mamma Miriam? Entrambi i libri sono un viaggio narrativo attraverso la sua infanzia e attraverso i suoi viaggi, ma anche un viaggio dentro se stessa e un percorso interiore che ha trasformato una bambina che correva scalza nel kibbutz in una mamma. Chi è mamma Miriam?

Mamma Miriam e A piedi nudi sono entrambi nati da una spinta interna a raccontare una storia che dopo di me sarebbe finita, sarebbe sparita nel nulla. Volevo da un lato riprendere la mia vita (con A piedi nudi) per non dimenticarla e per tramandarla. Ho una buona memoria, mi ricordo bene tutto quello che mi è accaduto fin da piccolissima. Durante la mia vita l’eco di mamma Miriam (la mia mamma) è stato davvero sempre molto forte anche dopo aver scritto A piedi nudi, così ho sentito il bisogno di continuare a scrivere, raccontare, ricordare, fare riflessioni anche legate all’Italia. Mamma Miriam è un libro di sopravvivenza in un paese straniero. Parla di quello che ci portiamo dentro da un paese all’altro e come ci integriamo nel paese in cui andiamo. Mamma Miriam parla di questo, di me che vado in Italia, un paese che non conoscevo, di cui non conoscevo la lingua, che ho imparato da autodidatta, un paese sconosciuto e completamente diverso da quello in cui avevo vissuto. La fotografia in copertina è quella di mia mamma, Miriam, ma non è solo quello, è una mamma idealizzata, quella che tutti vorrebbero e che c’è sempre e comunque anche se non c’è più, una figura ideale di mamma, ma che nasce dal ricordo e che in fondo sono io stessa. Mi sono spogliata in questo libro da tutte le sovrastrutture e mi sono offerta al lettore così come sono, come una persona con un forte desiderio che il mondo cambi e che le persone possano vivere una vita migliore.

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Mi vuole parlare della sua partecipazione al festival Adriatico Mediterraneo? Come si inserisce questa partecipazione nel contesto del suo lavoro?

Al Festival presenterò Mamma Miriam, leggerò alcuni brani tratti dal libro, che parla proprio di integrazione in un paese non tuo, con una lingua non tua, un manuale di sopravvivenza in un paese non tuo.

A questo punto Masal mi parla dell’affetto che le viene dimostrato tutti i giorni dalle persone e mi legge due lettere ricevute da due lettori molto diversi tra loro, una educatrice che le chiede del metodo del contenimento (un metodo educativo inventato da lei che utilizza il contatto, prima fisico – prendere in braccio il bambino – poi mentale, per comprendere il bambino) e un giovane militare che la ringrazia per aver scritto Mamma Miriam. ” È un libro che arriva dritto al cuore delle persone” dice Masal, “come una mamma generosa”.

“Scrivo per condividere la mia esperienza, non per la gloria, voglio mettere a disposizione degli altri la mia vita e cercare di comunicare con le persone il più possibile. Voglio aiutarle, con la mia esperienza e attraverso la comprensione di me stessa, a capire se stessi e gli altri e a capire i bambini, il cui linguaggio non è affatto semplice da comprendere, va interpretato e spiegato”.


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